“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 02 April 2013 22:54

La modernità spettacolarizzata

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Nel 1992, un trentaquattrenne Baricco – laureato in filosofia con Gianni Vattimo e già autore di un libro su Rossini – riflette sulla relazione tra musica “colta” e modernità in un testo dal titolo L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin.

Il libro è diviso in quattro saggi: l’idea di musica colta, l’interpretazione, la Nuova Musica, la spettacolarità.

 

 

Il titolo

 

Spesso il titolo di quest’opera lascia perplessi: cos’hanno in comune Hegel e le mucche? Certo, in molti conosceranno la critica che Hegel muove contro Schelling sostenendo che egli scambia l’"Assoluto per la notte nella quale, come si suol dire, tutte le vacche sono nere"[1]. Questa visione rappresenta, in fondo, l’idea sotterranea del libro. Baricco si misura infatti con la modernità, concepita come quel tempo – quella notte - in cui la musica, segnatamente in Puccini e Mahler, non riesce più a definire una vera scissione tra l’opera d’arte “colta” e il prodotto artistico di consumo; un tempo in cui nella musica dodecafonica ogni nota risulta paritetica alle altre.

Ma il segreto del libro è svelato subito dallo stesso autore. Il sottotitolo dell’opera infatti è: "una riflessione su musica e modernità". Le frasi in esergo, poi, chiariscono ancora meglio il raggio d’azione dei quattro saggi che compongono il libro. La prima è ripresa dalle Lezioni di Estetica di Hegel: "La musica […] deve elevare l’anima al di sopra di se stessa, deve farla librare al di sopra del suo soggetto e creare una regione dove, libera da ogni affanno, possa rifugiarsi senza ostacoli nel puro sentimento di se stessa"; l’altra da uno studio dell’Università di Madison (Wisconsin): "La produzione di latte nelle mucche che ascoltano musica sinfonica aumenta del 7,5%".

È evidente la dicotomia tra un’interpretazione della musica come elevazione dello spirito e un’utilizzazione della stessa in senso pragmatico-economico. Ed è su questo terreno che si innesta l’indagine di Baricco.

 

 

L’idea di musica colta

 

La prima cosa da fare, per lo scrittore, è quella di esaminare a fondo il più ovvio dei cliché sulla musica colta: secondo l’opinione comune, essa deve elevare l’animo di chi l’ascolta e di chi la crea. "Come tutti i pregiudizi, anche questo ha una sua storia da raccontare. Non è illecito affermare che ne dobbiamo la creazione al romanticismo: e più precisamente al suo protomartire: Beethoven […]. Ciò che accade con Beethoven è che per la prima volta, e sotto la legittimazione del genio, si sovrappongono tre significativi fenomeni: 1) il musicista mira ad evadere da una concezione semplicemente commerciale del suo lavoro; 2) la musica ambisce, anche esplicitamente, ad un significato spirituale e filosofico; 3) la grammatica e la sintassi di quella musica raggiungono una complessità che sfida spesso le capacità ricettive di un normale pubblico […]. I tre differenti tasselli […] dettarono una formula che, complice il fascino patetico del suo creatore (il genio ribelle, malato e solo), conquistò la fantasia del nuovo pubblico emergente, quello borghese, fornendo alla musica dei suoi salotti un’identità elettrizzante che ben rispondeva alla generale aspirazione a una qualche nobiltà. Ideologicamente, l’espressione musica colta nasce lì"[2].

Sennonché questo preconcetto è una verità: la musica realmente colta è proprio quel qualcosa che sguscia dalle mani della propria epoca per elevare lo spirito: "niente può salvare la musica colta […] se non l’istinto a metterla in corto circuito con la modernità […]. Niente di meno dovrebbe pretendere chi davvero è affascinato dalla musica colta. Niente di meno di una simile piccola, salvifica apocalisse. È un’apocalisse che ha un nome: interpretazione"[3].

 

 

L’interpretazione

 

"Le opere d’arte, e completamente quelle di suprema dignità, attendono la loro interpretazione. Se in esse non ci fosse niente da interpretare, se esse ci fossero e basta, la linea di demarcazione dell’arte sarebbe cancellata". Con questa frase, ripresa dalla Teoria estetica di Theodor W. Adorno, si apre il secondo saggio la cui concezione fondamentale è che "la musica diviene al di là di se stessa – non per magia, ma nel fattuale scontro con la realtà di un tempo che non l’ha creata ma adesso l’accoglie. Ciò che la rimette in movimento è la differenza attraverso cui deve incontrare quel mondo. L’interpretazione abita quella differenza"[4] e questo perché, come direbbe Hans-Georg Gadamer, "ogni incontro con il linguaggio dell’arte è un incontro con un evento non conchiuso ed è esso stesso parte di questo evento"[5].

Solo l’interpretazione, quindi, può dare nuova vita all’opera d’arte ed è per questo che essa non può né essere intesa come puro piacere estetico, né soggiacere al pregiudiziale principio secondo il quale l’interpretazione non è altro che la sua copia contraffatta. Si tratta, come appunto dice Baricco, di una piccola, ma strepitosa, apocalisse.

 

 

La Nuova Musica

 

Ed è nel segno del concetto di opera d’arte appena espresso che si inserisce il saggio sulla musica nuova, e segnatamente sulla dodecafonia. Anche in questo studio si cela Adorno, basta leggere il titolo originale della Filosofia della musica moderna (1949) per rendersene conto: Philosophie der neuen Musik. Ma Baricco critica la chiusa del testo del filosofo francofortese in cui la dodecafonia viene descritta come "il manoscritto in una bottiglia"[6], ossia il lascito dell’epoca moderna alla posteriorità.

Per Baricco ciò valeva per la prima fase della Nuova Musica. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, invece, il sistema seriale dodecafonico è divenuto una sorta di caricatura di se stesso, una gabbia superflua: "il fatto è che quella voce – formatasi attorno alla necessità di dire no alla follia [tra primo dopoguerra e secondo conflitto mondiale] – è diventata, una volta sfumata quella follia, stilema vuoto, precetto senza più ragioni, modello supinamente riprodotto"[7]. E questo perché Baricco interpreta l’ascolto della musica come "dialettica di previsione e sorpresa, di attesa e risposta"[8]; l’ascoltatore fa delle domande al testo musicale e questo risponde assecondandone le attese, oppure offrendo delle risposte complicate e sorprendenti.

Con la musica atonale e seriale[9], una musica in cui nessuna nota risulta superiore alle altre perché non può essere riprodotta prima che siano state suonate le altre undici, "cade il meccanismo di attesa e risposta che governa il piacere dell’ascolto. Subentra la realtà di una sorpresa continua e generalizzata»[10], così, «sottratto ai riferimenti della tonalità, l’orecchio collettivo si smarrisce"[11].

Ora, "la modernità è un luogo, e un tempo, che ha infinite vie d’accesso. La Nuova Musica scelse la porta stretta di una radicale e dura rivoluzione linguistica. Ma nel cammino genetico della musica colta esistono altre ipotesi di cammino"[12].

 

La spettacolarità. Puccini e Mahler

 

Due sono, a parere di Baricco, i musicisti di riferimento: Puccini e Mahler. Essi hanno in comune l’aver interpretato la modernità – e quindi la musica che avrebbe dovuto comprenderla – sotto il segno della “spettacolarità”, trattando l’opera d’arte come una sorta di sceneggiatura cinematografica, anticipando la stessa comparsa popolare del cinema.

Puccini ebbe "l’intuizione che stava per cadere una stabile linea di demarcazione fra opera d’arte  e prodotto di consumo: e che l’opera d’arte, se voleva sopravvivere e far sopravvivere le istanze che incarnava, doveva riciclarsi come merce"[13]. Per il compositore italiano non ha più senso quella differenziazione perché ciò che gli interessa è "coniare un’idea nuova di spettacolo […]. A comporlo concorrono gli elementi più diversi. Innanzitutto le storie scelte, così vertiginosamente lontane dalle pretese ideologiche di un Wagner, ma differenti anche da quelle cui era abituato il melodramma ottocentesco italiano […]. È, drasticamente, l’ambizione di una spettacolarità nuova, dirompente"[14].

Le sinfonie mahleriane, invece, distruggono le fondamenta della torre eburnea della musica colta introducendo in essa, come elementi di quella costruzione, oggetti musicali desueti, o del tutto lontani, per la musica classica: "il sinfonismo mahleriano lavora su un materiale spurio, imperfetto, a volte decisamente volgare […]. In questo gesto inizia a vacillare la linea di demarcazione tra prodotto artistico e oggetto musicale puro e semplice […]. Sotto lo sguardo che lo vuole narrare, quel nuovo universo sonoro diventa leggenda, genera fantasmi, produce immagini, recita storie. Il sinfonismo mahleriano entra nella spirale di una spettacolarità alla seconda: spettacolarizzare uno spettacolo"[15].

Dunque, e per finire, mentre la Nuova Musica decise di chiudersi sempre più in se stessa, tanto da rifiutare semplicemente il linguaggio musicale precedente, musicisti quali Puccini e Mahler tentarono di allargare questo linguaggio attraverso l’aggiunta di nuovi elementi, intuendo profeticamente che il segno della modernità sarebbe stato il concetto (e la pratica) della spettacolarizzazione.



[1] G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tr. It. E. De Negri, Milano 1996, p.13.

[2] A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin. Una riflessione su musica colta e modernità, Milano 2009, pp. 17 e 18.

[3] Ivi., pp. 23 e 24.

[4] Ivi., p. 35.

[5] H. G. Gadamer, Verità e metodo, tr. It. G. Vattimo, Milano 1983, p. 129.

[6] Th. W. Adorno, Filosofia della musica moderna, tr. It. G. Manzoni, Torino 2002, p.130.

[7] A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, cit., p. 58.

[8] Ivi., p. 50.

[9] Cfr. Th. W. Adorno, Filosofia della musica moderna, cit. e A. Schönberg, Idea e stile, tr. It. M. G. Moretti e L. Pestalozza, Milano 1980. Mi permetto di rimandare, per una descrizione più profonda anche se non completamente esauriente, pure al paragrafo denominato La musica dodecafonica, nell’articolo Il tipo Leverkühn. Il Doktor Faustus tra tipizzazione e dodecafonia, consultabile su Il Pickwick: http://www.ilpickwick.it/index.php/letteratura/item/292-il-tipo-leverk%C3%BChn-il-doktor-faustus-tra-tipizzazione-e-dodecafonia.

[10] A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, cit., p. 51.

[11] Ivi., p. 50.

[12] Ivi., p. 69.

[13] Ivi., pp. 71 e 72.

[14] Ivi., pp. 73 e 74.

[15] Ivi., pp. 79 e 80.

 

 

 

Alessandro Baricco
L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin. Una riflessione su musica colta e modernità
Feltrinelli, Milano, 2009
pp. 96

 

 

Theodor W. Adorno
Filosofia della musica moderna
traduzione italiana a cura di Giacomo Manzoni
Einaudi, Torino, 2002
pp. L – 209

 

 

Hans-Georg Gadamer
Verità e metodo
traduzione italiana a cura di Gianni Vattimo
Bompiani, Milano, 1983
pp. 644

 

 

Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Fenomenologia dello Spirito (2 voll.)
traduzione italiana a cura di Enrico De Negri
Fabbri Editori, Milano, 1996
pp. 364, 308

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