“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 14 February 2017 00:00

Tutti eroi, nessun eroe

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Sulla scena un alto parallelepipedo che fronteggia la platea con un lato composto da cinque pannelli bianchi e due microfoni a piantana posizionati alla destra e alla sinistra del palco. La scenografia di Giulio Cesare di Shakespeare è tutta qui. Ha il suo significato dall’inizio dello spettacolo perché su tali pannelli sono proiettate le immagini degli uomini e delle donne di potere del passato e del presente per fermarsi sulla celebre foto che ritrae l’ex Presidente degli Stati Uniti Obama con lo staff delle Forze Armate e Hillary Clinton, suo Segretario di Stato, che assistono con pàthos su dei monitor all’azione conclusiva che porterà alla cattura di Bin Laden.

Si sovrappone una scritta bianca che recita sulla contraddizione umana: può un uomo che ha ucciso ricevere il Premio Nobel per la pace? Poi la proiezione di un’altra tristemente celebre foto: Aylan, il bimbo siriano di tre anni, supino, lambito dalle onde del mare turco di Bodrum, con la sua maglietta rossa e i pantaloncini blu, annegato. Una scritta ora: War, guerra.
Le contraddizioni dell’esercizio del potere, la guerra imposta dai potenti della Terra e le sue terribili conseguenze. L’esplicitazione del tema della pièce è tutta in questo prologo visivo, che la parola proiettata Words, parole, introduce sfumando nell’ingresso dei personaggi. Undici attori, alcuni vestiti in camicia bianca con pantaloni scuri sorretti da bretelle e altri impaludati in carnevaleschi pupazzi alla Disney che rappresentano dei lupi che vogliono significare sia la bramosia dell’animale che la festa romana dei Lupercali, celebrati a ridosso della morte di Cesare. Gli attori si muovono occupando lo spazio con gesti veloci e frenetici per lasciare spazio all’ingresso di Giulio Cesare, interpretato da Maria Grazia Mandruzzato (a significare un potere che non fa differenze di genere), in pantaloni larghi e treccia sottile sulla schiena. Quindi è la festa dei Lupercali in onore di Cesare, il giorno che precede la sua morte, le Idi di Marzo del 44 a.C., prevista da indovini e oscuri e terribili presagi ai quali il dittatore non dà retta. Le prime due scene del I atto vedono anche l’esplicitazione della congiura ordita da Bruto e Cassio mentre sui pannelli si vedono le tracce di un sismografo amplificate da suoni acuti e sincopati. Il testo di Shakespeare va in scena nella sua interezza, alternando proiezioni splatter dell’assassinio a monologhi recitati ai microfoni fino alla fine del I atto. Nel II atto la scenografia è smantellata dei pannelli che nascondono all’interno del solido un mucchio enorme di grandi ossa. L’azione si svolge ora a Filippi, dove i due congiurati sono raggiunti da Lepido, Marco Antonio e Ottaviano che devono vendicare l’uccisione di Cesare. Qui, di fronte all’ineluttabilità della loro sorte, preferiranno darsi la morte piuttosto che consegnarsi a loro. Tutti i personaggi sulla scena s’impegneranno a liberare il mucchio di ossa lasciando che emerga lentamente la grossa sagoma di un pupazzo, in pantaloncini blu e maglietta rossa, il piccolo Aylan, supino. Il cerchio si chiude.
Al di là della drammatizzazione spesso spenta, quasi priva di emozione (probabilmente voluta per scelta registica), contrapposta al dinamismo ginnico della gestualità e della gestione dello spazio scenico, il voler attualizzare il dramma scespiriano si percepisce come una forzatura, volendo piegare il Giulio Cesare all’interpretazione di Àlex Rigola là dove il dramma si centra innanzitutto sul tema della vendetta e della ragion di stato. La vendetta intesa non come pulsione umana irrazionale, ma come imperativo categorico voluto da un’entità superiore che è il fato che sottomette a sé la gestione del potere.
Analizzando il testo, la figura di Giulio Cesare è volutamente ambigua, da una parte è l’uomo buono presentato dal suo fedele amico Marco Antonio, dall’altra è anche il dittatore arrivato fino a quel punto mosso dall’ambizione, così come lo presenta Cassio e come lo ha già visto Bruto. Egli si definisce: “In guerra con me stesso” e come colui che è costretto all’assassino del padre “non perché amassi Cesare di meno, ma perché amavo Roma di più”.
Lo spazio lasciato alla presenza di Cesare sulla scena è davvero limitato a parte del I atto, come a voler sottolineare che la sua figura è la semplice realizzazione di un disegno degli dèi che lui ha attuato e che quella Roma repubblicana dovesse essere per forza esautorata dalla sua abilità politica. Il ritratto che ne fanno indirettamente gli altri personaggi non manca di presentarlo come un uomo con le sue crisi epilettiche e i suoi momenti di assenza. Un uomo della Provvidenza, avrebbe detto secoli dopo Manzoni. La fonte storica del dramma è Plutarco, da cui Shakespeare coglie quasi tutti i tratti dei personaggi perché sono i rapporti tra loro il centro della storia a cui il Bardo fa corrispondere una linearità temporale, un piano sequenza lungo dove non vi è cronologia, ma sincronia. Nel testo di Plutarco Cassio non è l’organizzatore della congiura, mentre Shakespeare lo deve trasformare nello strumento che dà avvio alla Nemesi facendo leva sull’ambizione di Bruto che ha già deciso dentro di sé la morte di colui che ha trasformato la Repubblica in una dittatura. Nei due testi il ruolo svolto da Marco Antonio è quello più cesellato a sbalzo. È il fedele amico di Cesare, ma anche scaltro avvocato calcolatore non privo anche lui di ambizione che per ottenere i suoi scopi prima loda Bruto assassino come il più nobile dei romani e finge di voler capire il motivo della morte di Cesare, poi nel celebre discorso funebre al Foro aizza la folla contro i due che poco prima li avevano applauditi come i difensori della libertà. “Vengo a seppellire, non a lodare Cesare”.
Dunque il nucleo del dramma è nella ineluttabilità della vendetta più che nella gestione del potere fine a se stesso: Cesare deve trasformare la vecchia Repubblica, Bruto deve uccidere Cesare che ha oppresso la libertà, Cassio per scopi personali deve eliminare il primo console, Marco Antonio deve vendicare l’amico e la Res Publica, Ottaviano e Lepido devono riportare la giustizia.
Concludendo, la forzatura c’è, ma molto più probabilmente la pièce risulta piatta perché gli espedienti come la videoproiezione, i costumi bizzarri, la scena del pubblico che si trasforma in folla perché i congiurati in platea interagiscano con Marco Antonio sul palco sono ormai obsoleti, déjà-vu. Nota di merito: far interpretare Giulio Cesare alla Mandruzzato.

 

 

 

 

Giulio Cesare
di William Shakespeare
traduzione Sergio Perosa
regia Àlex Rigola
con Maria Grazia Madruzzato, Michele Riondino, Stefano Scandaletti, Michele Maccagno, Silvia Costa, Francesco Wolf, Eleonora Panizzo, Pietro Quadrino, Riccardo Gamba, Raquel Gualtero, Beatrice Fedi, Andrea Fagarazzi
scene Max Glaenzel
musiche Nao Albet
luci Carlos Marquerie
costumi Silvia Delagneau
foto di scena Serena Pea
produzione Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
lingua italiano
durata 2h
Napoli, Teatro Mercadante, 8 febbraio 2017
in scena dall’8 al 19 febbraio 2017

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