“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 06 January 2017 00:00

Immagini del desiderio: "L'Atalante" di Jean Vigo

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Il volume realizzato da Giacomo Ravesi indaga le peculiarità di un'opera cinematografica entrata nella leggenda passando in rassegna le interpretazioni storico-critiche che si sono accumulate nel corso dei decenni. Il saggio sottolinea in apertura come le vicende familiari di Jean Vigo finiscano col riflettersi sulla sua produzione cinematografica. Jean Vigo passa parte della sua adolescenza in collegio dopo essere stato allontanato dalla famiglia quando il padre, Eugène Bonaventure de Vigo, noto con lo pseudonimo di Miguel Almereyda – collaboratore e fondatore di diverse testate anarchiche come Le Libertarie, La Guerre Sociale e Le Bonnet Rouge – muore sucida in carcere, in circostanze mai chiarite, ove finisce nel corso della Grande Guerra con l'accusa di essere un collaborazionista della Germania. La permanenza in collegio e la personalità del padre segnano inevitabilmente la personalità di Jean Vigo.

Nonostante l'opera cinematografica del regista sia racchiusa in sole quattro opere realizzate tra il 1929 ed il 1934, essa occupa un ruolo importante nel cinema francese a cavallo tra gli anni Venti e Trenta. È in questo periodo che registi come Louis Delluc, Jean Epstein, Abel Gance, Marcel L’Herbier e Germaine Dulac lavorano sulla specificità filmica rispetto alle altre arti. Ad introdurre Jean Vigo al cinema è proprio Germaine Dulac (pseudonimo di Germaine Saisset-Schneider), una delle prime registe e teoriche francesi d’avanguardia.
Alla fine degli anni Venti Vigo realizza À propos de Nice (1929), la sua prima opera cinematografica ove miscela documentarismo e sperimentazione linguistica sul solco delle “sinfonie urbane”, opere cinematografiche particolarmente diffuse nella seconda metà degli anni Venti, volte a “dare a vedere” la vita quotidiana delle grandi metropoli, si pensi al capolavoro Berlin – Die Sinfonie der Groβstadt (Berlino – Sinfonia di una grande città) realizzato nel 1927 dal tedesco Walter Ruttmann.
Il decennio successivo si apre con un breve documentario, Taris ou la natation (1931), sul nuotatore francese Jean Taris, in cui Vigo si cimenta con varie sperimentazioni linguistiche (sovrimpressioni, inversioni, ralenti, immagini subacquee...).
Poi è la volta del celebre mediometraggio di finzione Zéro de conduite (1933), opera con evidenti riferimenti autobiografici. “Il film inaugura una personale rappresentazione dell’infanzia al cinema, interpretata attraverso la lente deformante del grottesco e del lirismo memoriale, che restituisce una visione partecipe dell’universo infantile come stato della condizione umana libera e lontana da ogni condizionamento. Irriducibilmente estranea al mondo degli adulti, l’infanzia è ritratta nei suoi aspetti occulti e sconosciuti, rispettandone l’indole più autentica in un quadro stilistico ostinato e dirompente, sospeso tra gioiosa e commovente rivolta, che diventerà un prototipo anche per il cinema successivo” (p. 22).
Zéro de conduite viene faticosamente ultimato nel 1933 dopo mille traversie produttive ma viene bloccato dalla censura fino al 1945. Nonostante le difficoltà incontrate, il regista decide di cimentarsi con la realizzazione del film L'Atalante (1934), opera che rappresenta il primo e solo lungometraggio di finzione realizzato da Vigo.
“Nel suo intento complessivo, si tratta di un cinema cosiddetto d’avanguardia, che si pone in opposizione alle forme narrative, rappresentative e industriali egemoniche. È l’utopia di un cinema alternativo, poiché depurato dalle logiche economiche del mercato e dalle pratiche discorsive delle altre arti, nell’ipotesi di realizzare le specificità del cinema come arte autonoma” (p. 24).
Nel saggio di Ravesi si sottolinea come in Francia il cinema d’avanguardia raccolga l’eredità del dadaismo, del cubismo, dell’astrattismo e del surrealismo; si tratta infatti in buona parte di un cinema di poeti, pittori, artisti e fotografi che intendono applicare le loro ricerche estetiche al mezzo cinematografico. Dziga Vertov esercita sicuramente un'influenza importante su Vigo che intende applicare le ricerche sperimentali degli anni Venti in chiave sociale.
Nel decennio successivo il panorama cinematografico francese muta decisamente, tanto che la stagione delle sperimentazioni sembra ormai terminata: “Il cinema d’avanguardia, gravato dalla crisi economica mondiale ed esautorato dalla sua dimensione di forma alternativa di mercato, viene riassorbito in un nuovo assetto ideologico ed estetico legato alle trasformazione politiche, sociali e culturali della nazione. L’intensificarsi delle contraddizioni interne, il crollo generale dei prezzi, l’aumento della disoccupazione e del malessere collettivo, congiuntamente all’avanzata dei totalitarismi in diversi stati europei, conducono artisti, registi e intellettuali a unirsi in nome della democrazia e a riscoprire un’urgenza di denuncia sociale che confluisce nell’esperienza del Fronte Popolare, costituito nel luglio del 1934 da socialisti, comunisti e democratici” (pp. 29-30).
Il cinema francese degli anni Trenta, in linea con la tradizione del romanzo naturalista dell'Ottocento, è attraversato da storie sociali che vedono come protagonisti i ceti popolari, gli emarginati ed i fuorilegge. Il cinema di Vigo, pur restando sostanzialmente “altro” rispetto a tutto ciò, è ben radicato in tale clima di interrelazione tra cinema e società. Guido Oldrini a tal proposito scrive che nei suoi film Vigo “concretizza sempre più le sue virulenze e intemperanze anarchiche in direzione storico-sociale, fino a interpretarle come un momento organico del concepimento della lotta democratica dal basso” (G. Oldrini, Il cinema francese e il fronte popolare, in Cinema Nuovo, n. 168, 1964, p. 102).
Venendo al film L'Atalante, questo nasce da un soggetto firmato con lo pseudonimo Jean Guinée, rielaborato da Vigo che vi toglie gli intenti moralistici presenti. La sinossi del film è presto detta. Jean, conducente della chiatta Atalante lungo i canali della Francia del Nord, sposa Juliette, una giovane di origini contadine che entra così a far parte dell'equipaggio composto, oltre che da Jean, da un vecchio marinaio, père Jules, e da un giovane mozzo. La vita a bordo per la giovane si rivela presto noiosa e gli spazi angusti non lasciano grandi occasioni di intimità alla coppia di sposi. Durante una sosta a Parigi la donna resta affascinata dalla città suscitando la gelosia di Jean che finisce col malmenare un venditore ambulante che invita la moglie a ballare.
I rapporti all'interno della coppia si fanno burrascosi tanto che Juliette decide di fuggire dall'imbarcazione e di raggiungere autonomamente la Ville Lumiere per poi accorgersi, al ritorno, che il marito è partito abbandonandola. Improvvisamente la metropoli si svela a Juliette nei suoi lati meno scintillanti fatti di file di disoccupati ed atti criminali.
La lontananza dall'amata riduce Jean alla disperazione e, ricordando che Juliette gli aveva raccontato della possibilità di vedere sott'acqua la persona amata, decide di tuffarsi nella Senna ove ha modo di vedere la moglie in abito da sposa. Toccherà a père Jules cercare e recuperare la giovane per poi ricondurla a bordo ove i due sposi si ricongiungono.
Ravesi nell'analizzare la modalità narrativa del film segnala come questa proceda con sequenze autosufficienti accostate in cui le situazioni appaiono autonome ed auto-concluse nell'unità di spazio, di tempo ed azione. Gli spazi si presentano come contenitori narrativi che “delineano una linea drammatica sostanzialmente statica e involuta che ritorna ciclicamente su se stessa. Gli avvenimenti assumono un carattere episodico, lasciando numerose zone d’ombra e sviluppi scarsamente motivati [...]. Considerando come personaggio principale Juliette, l’evoluzione drammaturgica complessiva si riduce a uno schema di Privazione-Allontanamento-Ritorno” (p. 39).
Il film si dipana lungo un percorso circolare determinato dall'opposizione dialettica tra universo terrestre ed universo acquatico. L'ambito terrestre è rappresentato dalla metropoli parigina, “luogo dello smarrimento del soggetto nella moltitudine e nell’anonimato, nell’esaltazione delle antinomie e degli scompensi tra individuo e società” (p. 40), mentre l'ambito acquatico è rappresentato dal mondo dell'imbarcazione, “un’isola felice, fatta di relazioni spontanee e naturali, dove le suggestioni e i magnetismi della società borghese e del mondo esterno giungono solo come feticci e proiezioni immaginarie” (p. 40).
Circa i diversi personaggi Ravesi individua il motore drammaturgico dell'opera di Vigo nel percorso psicologico e comportamentale di Juliette, personaggio che vive un difficile equilibrio tra infanzia ed età adulta, dunque tra due diversi tempi/modi di vivere la vita. Jean pare invece vivere la schizofrenia del doppio ruolo capitano/sposo, scisso tra piacere/dovere, desiderio/obbligo amore/lavoro. Sul finale del film Jean perde le sue rigidezze e riesce, grazie al ricongiungimento con l'amata, ad accettare lo straordinario e l'inconsueto.
Oltre che sui personaggi di père Jules, il vecchio marinaio, e del giovane mozzo, prevalentemente spettatore passivo degli eventi, nel saggio ci si sofferma anche sulla figura dell'ambulante parigino malmenato da Jean in preda alla gelosia indicando in esso l'espressione dell'opposizione dialettica alle relazioni costruite sull'imbarcazione di cui tale personaggio ne prospetta un’alternativa. “Centro catalizzatore del ribaltamento narrativo del film, l’ambulante tratteggia una figura super-attiva perennemente in movimento, dai modi socievoli e affascinanti e dai comportamenti bizzarri e trasformisti. Personaggio magico e letteralmente venuto dal nulla (la sua apparizione è improvvisa, da dietro una collina in sella a una bici), il venditore ambulante è un uomo di spettacolo, più che un semplice commerciante: infatti, sa cantare, danzare, rimare, fare giochi di prestigio e acrobazie. È in lui che Vigo convoglia quelle fantasie e suggestioni legate al circo e all’illusionismo dello spettacolo viaggiante che caratterizzano tutta la sua opera” (p. 44).
Ravesi sottolinea anche come, nonostante sia strutturato da una successione di sequenze autosufficienti, il film risulti attraversato da una tensione dinamica derivante “dalle relazioni di seduzione e repulsione fisica, perdita e ritrovamento, che connettono i vari personaggi” (p. 45). Si pensi a come il rapporto amoroso tra i due sposi si manifesti continuamente nel corso del film come celebrazione dell'attrazione che lega/divide i due corpi e le rispettive pulsioni.
Rifacendosi agli studi di Mario Verdone (I libri. Jean Vigo, in Filmcritica, n. 95, 1960) e Patrice Rollet e Stéphane du Mesnildot (contenuti nell'importante volume curato da N. Bourgeois, B. Benoliel, S. de Loppinot, L’Atalante: un film de Jean Vigo, 2000), Giacomo Ravesi scrive che la “'suggestione della carne' e 'la verità della pelle' sviluppano nel film un’'erotica del contatto' basata su 'corpi conduttori' che 'materializzano il desiderio conducendo da un corpo all’altro l’elettricità della pulsione, il calore dell’amore, la luce sorda del cinema'” (p. 48).
“Nel film i corpi vivono d’altronde di una ostentata nudità che ne accentua la connotazione erotica e sensuale: i torsi nudi di Jean, la sottoveste di Juliette, il corpo tatuato di père Jules. Anche i segni sulla pelle (tagli, graffi, tatuaggi, linee delle mani) muovono una feticistica e sadica pratica di seduzione fondata sulla rilevanza dei dettagli anatomici e sullo smembramento dei corpi attraverso la scala dei piani (i particolari delle mani, i dettagli degli oggetti, i primi piani di Juliette) e i processi di messa in quadro mediante la duplicazione degli specchi e delle porte (la cabina di père Jules, i riflessi delle vetrine)” (p. 47).
Nel saggio vengono analizzati i rapporti tra i corpi dei diversi personaggi ed i rapporti tra corpi e spazi, dunque si confrontano gli spazi angusti, promiscui ed opprimenti dell'imbarcazione e gli spazi aperti, illimitati e dispersivi degli esterni. “L’artificialità e inumanità degli automi e dei manichini delle vetrine si prolungano nell’indifferenza e nell’anonimato della folla urbana, costretta in un paesaggio portuale e industriale desolato e astratto. Si instaura tra personaggio e ambiente una dialettica disumanizzante, espressa da campi lunghi e fissi in cui domina il rigore asettico e geometrico delle impalcature che assorbono la figura umana, fino a farla scomparire” (pp. 50-51).
Le scelte fotografiche operate da Vigo accentuano il carattere espressionista dell’ambiente. “La Parigi del film definisce una mostruosità architettonica (le infrastrutture dei cantieri portuali), sociale (le file di disoccupati davanti ai cancelli del porto) e morale (il linciaggio del ladro che ha derubato Juliette, da parte di una folla famelica che rivendica un iniquo bisogno di giustizia), totalmente aliena alla visione organica, unitaria e comunitaria con la quale viene caratterizzata l’immagine della città nel cinema francese degli anni Trenta” (p. 52).
Una parte del saggio è dedicata al “motivo dell'acqua” come elemento caratterizzante L'Atalante. A proposito del ruolo giocato dall'acqua nei film francesi dell'epoca vengono passate in rassegna le riflessioni di studiosi come Gilles Deleuze (L’immagine-movimento, 1984), Dominique Païni (Au film de l’eau, nel volume già citato L’Atalante: un film de Jean Vigo, 2000) ed Antonio Costa (La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock. Il senso delle cose nei film, 2014).
L'Atalante è un film incentrato sul mondo popolare e proletario e secondo Giacomo Ravesi, che riprende l'analisi di Émile Breton (Le repérable et le reste. L’ancrage social de L’Atalante, nel volume già citato L’Atalante: un film de Jean Vigo, 2000) “l’analisi sociale del film è di natura dialettica, incentrata sulla rappresentazione di una nazione oppressa dalla crisi economica e impreparata a uno sviluppo industriale repentino, poiché ancora legata a una cultura rurale e a un’economia contadina. Il dissidio tra innovazione e tradizione configura la natura simbolica della stessa imbarcazione, mediante la doppia conformazione di cellula separata e inserita nelle dinamiche sociali. L’Atalante costituisce un nucleo in sé autonomo e autosufficiente, alternativo agli stili di vita ordinari, che viene continuamente alimentato dalle suggestioni che provengono dall’esterno” (p. 58).
Circa i motivi stilistici e iconografici che caratterizzano il film, il saggio si sofferma sulla scena in cui Jean con gli occhi aperti sott'acqua guarda in macchina alla ricerca di Juliette. Lo studioso individua in tale scena il simbolo della volontà di spingersi “fino al fondo ultimo delle immagini per trovare uno stato di “veggenza” e un’avanguardia dello sguardo. All’iconoclastia Vigo sembra opporre l’iconofilia del vedere tutto ovunque e comunque [...]. Vigo riporta il cinema alla sua elementarità e funzionalità ottica di lente attraverso la quale osservare il mondo, amplificandone ed esasperandone i contorni e le sfumature [...]. Servendosi della forma acquario come metafora dello schermo cinematografico, l’inquadratura assume una duplice funzionalità rappresentativa: limite costrittivo e soglia trasparente. Gli sguardi in macchina – quello di Jean nella sequenza subacquea e quelli degli sposi separati durante la notte insonne – ostentano il paradosso di un’inquadratura concepita come bordo terminale della visione (i personaggi che sembrano sporgersi, guardare verso di noi spettatori) e portale d’accesso per nuovi stati di percezione (il carattere lirico e onirico delle apparizioni subacquee). Allo stesso modo, l’uso diffuso dell’inquadratura in plongée estende a livello della messa in quadro il carattere claustrofobico degli ambienti interni dell’imbarcazione e sottolinea la dimensione soggettiva della ripresa, legata a una sottomissione compositiva dello spazio che viene come controllato da uno sguardo a distanza” (pp. 64-65).
Lo studioso sottolinea anche come il paesaggio eserciti una pressione iconografica nei confronti dei protagonisti resa attraverso campi medi e lunghi, perlopiù in profondità di campo, in maniera da assecondare una diagonale prospettica duplicante i rapporti di forza e di scala tra personaggi e sfondo. Negli interni il regista ricorre ad inquadrature ravvicinate realizzate con macchina da presa a mano ed in movimento. Alla maniera del cinema d'avanguardia sovietico Vigo ricorre frequentemente ad inquadrature angolate dal basso che mostrano gli attori nell'atto di avanzare attraversando diagonalmente l'inquadratura dal campo lungo al particolare, quasi a suggerire un “desiderio di contatto” della macchina da presa con i corpi.
“Completamente estraneo al mercantilismo e al condizionamento commerciale, il metodo di lavoro di Vigo esprime un’innocenza e una purezza nei confronti dell’opera filmica e della sua filiera economica, che sembra anticipare idealmente forme alternative di produzione e distribuzione cinematografica prolifiche nella nostra contemporaneità, e basate su piattaforme telematiche di finanziamento partecipato come il crowdfunding” (p. 71).

 

 

 

Giacomo Ravesi
L'Atalante (Jean Vigo, 1934). Immagini del desiderio

Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2016
pp. 112

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