“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 03 October 2016 00:00

Abbiamo ancora bisogno di film come "Dukhtar"

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دختر, Dukhtar.
Figlia.
Quello di Allah Rakhi (Samiya Mumtaz) non è un viaggio per salvare la vita della sua unica bambina, ma un viaggio verso la vita attraverso un vorticoso intreccio di vite.
Le immagini sulla locandina sono chiare: questa non è una commedia bollywoodiana, ma la tragedia di una bambina che si prepara inconsapevolmente al suo matrimonio combinato, usanza islamica molto comune.

Zainab ha dieci anni, amiche più grandi a cui espone piccoli dubbi innocenti ed il un sorriso radioso dell’attrice Saleha Aref.
Ha una mamma di venticinque anni, a cui insegna ogni giorno l’alfabeto e i primi rudimenti di scrittura e lettura affinché lei possa migliorare se stessa.
Quest’ultima, data in sposa al vecchio Daulat Khan all’età di quindici anni, non può che chinare il capo alla decisione del marito che ha offerto la mano della bambina al capo di una tribù rivale, al fine di trarne accordi di pace.
Non potendosi opporre al volere dell’unica persona in diritto di prendere decisioni in quella casa tra le montagne pakistane, la donna prova a parlare alla figlia di ciò che significhi sposarsi, mostrandole il sangue sul lenzuolo su cui lei, sua madre e la madre di sua madre avevano dormito la prima notte di nozze. Vuole prepararla perché nessuno lo aveva fatto per lei e vorrebbe salvarla da un destino del tutto simile al suo, spaventata dall’idea che ella si veda precluse possibilità che per lei sono porte già state sbarrate.
Il matrimonio è alle porte e la bambina ne sembra quasi felice, all’idea dell’abito sontuoso e ben ricamato che potrà indossare, che la renderà tanto simile ad una delle sue bambole.
"Cos’è un'illusione, mamma?”.
"È qualcosa che non vedi, che non esiste realmente".
Insieme, le due vorrebbero abbracciare l’illusione di una vita in cui la libertà del sesso femminile, che Oriana Fallaci avrebbe definito “inutile”,  non venga violata.
In un attimo, quando ormai tutto è sul punto di essere compiuto ed è stato ben confezionato anche il drappo con cui Zainab dovrebbe coprirsi il capo da lì a quel momento in segno di fedeltà ai voti matrimoniali, la donna decide di sfruttare per scappare il tempo concessole affinché vesta la bambina per le nozze.
La loro fuga scatena le ire del vecchio capo famiglia e soprattutto quelle di Tor Gul, futuro sposo di Zainab, che perseguita le due giovani.
Ogni figura maschile, nel film, incarna un potere coercitivo molto forte, da cui le due cercano di scappare con ogni sotterfugio possibile. La voce della loro scomparsa corre veloce di bocca in bocca in tutta la regione del Panjab. Gli uomini che le inseguono hanno armi, Allah Rakhi ha solo il suo corpo per far scudo alla bambina che vogliono condannare all’infelicità.
Con il burbero quanto coraggioso Sohail (Mohib Mirza), autista di un camion molto vistoso da cui vengono inaspettatamente aiutate nel corso del loro viaggio verso la libertà, le due scoprono un mondo di colori che Zainab non aveva mai conosciuto e che Allah Rahki pensava di aver dimenticato, dopo dieci anni lontana da momenti di spensieratezza.
Sohail è una boccata di vita vera: con lui, lei torna a parlare di sé sentendo l’interlocutore interessato alla sua storia e comprende il senso di aiuto disinteressato. Salvare Zainab significa salvare se stessa, come moglie e come figlia che non vede sua madre da ormai dieci anni e dovrà vedere in una festa religiosa confondendosi tra la folla.
Allah Rakhi è un’eroina di etnia pashtun, ma questa non è la storia di una madre che vuole salvare sua figlia, né di una bambina che deve essere salvata, ma la storia di tre generazioni di donne che rappresentano centinaia di generazioni di donne. La meta ultima della loro fuga è Lahore, capitale del Punjab, che appare quasi una terra promessa.
Al forte messaggio di speranza lanciato dalla pellicola si lega la storia di Iqbal Masih, venduto dal padre per pagare un debito a un venditore di tappeti e divenuto simbolo della lotta contro il lavoro infantile e primo giovane sindacalista e attivista pakistano. Ambientare una storia di liberazione infantile nella città in cui trovò la morte il bambino che con un atto del tutto rivoluzionario scappò dalla fabbrica in cui era tenuto in catene accanto al telaio e si prodigò per sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti calpestati dei bambini lavoratori pakistani, significa dar voce ancora una volta al dibattito internazionale sull'infanzia.
Prodotto da Zambeel Films, una compagnia di produzione cinematografica nata nel 2008 e specializzata in produzione di film indipendenti locali da portare sul mercato internazionale, Dukhtar risponde al desiderio della fondatrice della compagnia e regista della pellicola Afia Nathaniel di poter mostrare una pellicola che “non fosse costruita sull’ ego e sulla fantasia maschile”.
A far rabbrividire infatti non è la storia, poiché i matrimoni tra minori e uomini ben più vecchi sono un tabù sdoganato e lo stupore ha lasciato il posto solo all’indignazione, ma la presenza di oggetti che ne attestano la contemporaneità.
Nel film, premiato al Toronto International Film Festival del 2014, fanno bella mostra di sé macchine da cucire, radio, telefoni.
È un film di cui abbiamo ancora tutti bisogno, perché loro ne hanno bisogno.

 

 

 

Dukhtar
regia
Afia Nathaniel
sceneggiatura Afia Nathaniel
con Adnan Shah Tipu, Samiya Mumtaz, Mohib Mirza, Saleha Aref, Asif Khan, Ajab Gul, Samina Ahmad
musiche Sahir Ali Bagga, Peter Nashel
produzione Afia Nathaniel, Muhammad Khalid Ali
casa du produzione Zambeel Films – The Crew Films
distribuzione  Geo Films
paese Pakistan
lingua originale urdu, pashto
colore a colori
anno 2014
durata 93 min.

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