“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 14 March 2013 23:26

Passato/Presente – Sogno/Realtà

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In piccionaia all’Harold Pinter Theatre. La birra l’abbiamo bevuta prima di entrare, al pub di fronte, ma avremmo potuto portarla con noi. Venerdì sera. Il teatro è pieno. Davvero. È la settima settimana di replica e lo spettacolo, come recita il flyer e i cartelloni pubblicitari in metropolitana, durerà solo (solo!) dodici settimane.
Prima della scena siamo separati dal palco da una leggera cortina, come di nebbia. Buio. La cortina si leva alle note leggere e malinconiche di un pianoforte.

Un interno illuminato da una luce smorzata. Si vede una finestra al centro, con una donna di spalle, che guarda fuori, in ombra. Al centro una poltrona, rosa. Vi è seduto un uomo, fuma. A destra un divano, marrone. Vi è seduta languida una donna, con i capelli neri corti (Kate, stasera Kristin Scott Thomas), pantaloni di velluto bordeaux e maglioncino bianco. A sinistra un altro divano, vuoto. I due conversano annoiati, come una coppia molto compassata e forse male assortita. Sembrano prescindere dalla figura femminile in ombra, alle loro spalle, come se non ci fosse. Ma stanno parlando di lei, Anna (stasera Lia Williams), la migliore e unica amica di Kate. Le due donne non si vedono da vent’anni (in pratica da quando ne avevano venti...) e Anna improvvisamente le ha annunciato una visita. Lui, Deeley, le chiede dell’amica, viene a scoprire che le due donne vivevano insieme, condividevano un appartamento. Eppure Kate sembra non serbare alcun ricordo di quel tempo e di quella che era la sua migliore amica, la sua unica amica, ricorda solo che era una ladra, le rubava l’intimo. Non sembra in grado di definire nulla di lei, o del loro rapporto: “Se hai solo uno di qualcosa non puoi dire che sia il meglio di nulla”.
Luce. La donna alla finestra si gira, fa il suo ingresso in scena, con un vistoso abito turchese, e comincia a parlare concitatamente. Kate resta seduta, impassibile, mentre Anna si siede sul divano vuoto, ma poi si alza, irrequieta, mentre rievoca la loro giovinezza, le spumeggianti giornate trascorse nel fermento della vita culturale, tra teatri, musei e gallerie, artisti, ballerini, scrittori... Kate resta impassibile, come se non ricordasse, come se non fosse stata la sua vita, come se non conoscesse più la persona che ha di fronte, nel soggiorno della sua casa, in qualche remoto, tranquillo e indeterminato luogo della costa inglese.
Per un po’ duettano l’amica e il marito, parlano del passato, della ritrosia di Kate, il suo essere così timida, così appartata, così sola... i suoi unici amici erano quelli di Anna. Kate la sognatrice. Kate dal sorriso luminoso, descritto dall’amica come il marito, per sua stessa ammissione, non avrebbe potuto meglio. E piano, impercettibilmente, dal comico si trascolora nell’onirico e nel surreale. Kate è sempre statica, pronuncia poche parole, mentre i due parlano di lei in terza persona, come se non ci fosse. Una leggera tensione erotica pervade la scena. Deeley e Anna continuano a duettare, a colpi di vecchie canzoni degli anni ’40, per attirare la sua attenzione, di Kate. E poi la svolta. Anna siede nella poltrona al centro e comincia a raccontare, i suoi ricordi, premettendo che talvolta ci sono cose che si ricordano, che possono non essere mai avvenute e che lei ricorda cose che non sono mai avvenute, ma che quando le ricorda diventano reali. Ricorda di essere tornata una notte e aver trovato nella loro stanza un uomo sconosciuto, che piangeva, mentre Kate era seduta immobile sul suo letto. Poi l’uomo era andato via.
Il primo atto si chiude con Kate che va a fare il bagno e Anna che siede languida sul divano. Poi buio. Il suono della risacca. Le note malinconiche del pianoforte.
Secondo atto. Camera da letto. Al centro sempre la poltrona, ma i divani sono diventati due letti. Deeley porta la colazione ad Anna e le ricorda il loro primo incontro, vent’anni prima, quando lei era una escort in un locale abbastanza malmesso, frequentato dal sottobosco dell’intellettualità londinese, scrittori, ballerini, controfigure, giocolieri... Lei nega, eppure lo provoca, il suo corpo freme, dondola, e una strana tensione pervade la stanza, umida e appiccicosa, mentre parlano del bagno di Kate e della cura necessaria per asciugarla, affinché ogni traccia di umidità sia tolta via. E Kate appare, elegante nella sua vestaglia verde, austera e altera, mentre i due ricominciano a duettare, reclamandone il possesso. Passato e presente si mescolano e le due donne, rievocando quegli anni lontani, sembrano confondersi l’una nell’altra, sembra che l’una sia stata l’altra in un continuo e ambiguo scambio di ruoli di cui partecipa, ai margini, anche Deeley, che sembra aver amato, o comunque desiderato, entrambe e l’una attraverso l’altra. Poi Deeley scoppia in pianto, come l’uomo misterioso del ricordo. Infine Kate prende vita e comincia anche lei a ricordare: “Mi ricordo di te morta. Mi ricordo di te che giacevi morta”, o come morta, il ricordo incalza e la spinge giù dal letto. Anna resta in scena. Sdraiata. Come morta (nel testo di Pinter non ci sono indicazioni in proposito), mentre Kate, trasognata, come in trance, continua a raccontare del suo viso sporco di fango e poi racconta di lui, Deeley, nella loro stanza, ormai vuota del corpo di Anna (si usa il termine cadavere), del suo tentativo di sporcare anche il suo viso (ucciderlo?) e poi il matrimonio. Deeley cerca ricetto nel grembo di Kate, si siede sul letto e cerca di poggiare la testa sulle sue gambe, mentre lei è seduta, immobile, altera, austera, lontana. Non ci riesce. Si alza e si siede in poltrona. Anna si alza e si sdraia sull’altro letto. La risacca. Gli applausi perplessi.
Potrebbe essere una storia reale, un banale triangolo. Oppure potrebbe essere una torbida storia: Anna uccisa dall’amica tanti anni prima e tornata come fantasma alla sua coscienza. Oppure lei potrebbe aver ucciso anche Deeley e rievocare, rendendole reali, le loro figure. Oppure Anna a Kate potrebbero essere la stessa persona (le due attrici si scambiano il ruolo ogni sera, a sottolineare l’interscambiabilità delle due personalità), potrebbero essere due facce della stessa medaglia, così diversamente simili o così similmente diverse, da rendere necessaria la morte violenta, l’eliminazione fisica di una delle due personalità, tanto che quando Deeley le chiede chi dormisse prima di lui nell’altro letto, lei risponde “Nessuno. Assolutamente nessuno”. Non è così importante conoscere la risposta, la realtà di ciò è nascosto nel racconto esposto. La vicenda, il fatto, è transeunte. Ciò che resta è l’eterno, la dicotomia di due donne che sono state come una sola cosa, una sola personalità declinata in due versioni, anche molto diverse tra di loro, opposte. E, dopo tanto tempo, il tempo e lo spazio e la vita e le sue vicissitudini scavano dei solchi tra due persone, solchi che sembrano fossati, da riempire nel lavacro della morte dell’altra, la sua eliminazione dal presente, dalla realtà, per confinarla nel passato, nel sogno che ciascuno di noi sogna quando tesse il proprio passato.

 

 

 

Old Times
di
Harold Pinter
con Kristin Scott Thomas, Rufus Sewell, Lia Williams
regia Ian Rickson
musiche originali Stephen Warbeck
scene Hildegard Bechtler
luci Peter Mumford
responsabile suono Paul Groothuis
lingua Inglese
durata 80’
London, Harold Pinter Theatre, 8 marzo 2013
in scena dal 12 gennaio al 6 aprile 2013

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