“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 22 May 2016 00:00

Otto artisti giapponesi a Villa di Donato

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Villa di Donato, con il suo essere così nel mezzo delle cose della città, ed allo stesso tempo distinguendosene ed elevandosi dalla “norma”, dai vicoli più contorti, dagli angoli solo abbozzati e dai modesti dettagli dell’abitato circostante, fascinosamente incongrui, è in grado di guidarci in uno scenario a parte, in una porzione al di fuori dell’urbe, come calatasi in quel luogo per incanto. Ma fa questo senza alterità, senza volontà di trionfo sugli anditi più dimessi, bensì restando “aperta” a ciò che l’attornia, e soprattutto a coloro che vogliono scoprirla.

Ecco perché è la sede perfetta per un progetto di scambio come Latitude 36-40, che proietta le menti e gli esseri di otto artisti giapponesi, oltre che l’ombra delle loro presenze fisiche, sulle pareti bianche degli ambienti interni al piano terra del nobile palazzetto, adiacenti al giardino e sullo sfondo del lungo viale d’accesso, primo varco da attraversare per integrarsi con quel piccolo mondo messo a disposizione di tutti i visitatori. Nel percorso pezzi di immagini a cui non ancora ci siamo approcciati in modo completo vengono registrati qui e là, di sfuggita. Forme rigide morbidamente piegate come nodose gambe di donna ci guardano, stese sul pavimento, sottili frange color rosa shocking si calano dall’alto a coronare scarpette da ginnastica, scatti di paesaggi isolani ottenuti utilizzando un rotondo galleggiante come camera oscura, quadretti fotografici con stralci di natura riconformata su toni irreali, e poi ancora sfere dipinte adagiate su specchi che le riverberano, e quadri con sciolte, sfrangiate trame di segni, dipinti giocati su singoli toni, “d’atmosfera”, che scandiscono le lunghezze e gli angoli delle mura, e dunque una teoria di tenui sostrati pittorici, la quale sembra continuare a scorrere.
L’evento, seconda tappa del progetto curato dall’associazione ART1307, vede gli ospiti giapponesi protagonisti di questa mostra, successiva a quella degli altrettanti artisti campani, i quali avevano partecipato allo scambio artistico e riproposto (a Villa di Donato, dal 27 aprile al 4 maggio) le opere già presentate nel mese di marzo al Metropolitan Art Museum di Tokyo. Lì dove erano state accolte con entusiasmo e poste a confronto non solo con le opere dei colleghi giapponesi ma anche con quelle di grandi maestri italiani del passato, esposte nel museo in occasione dei centocinquanta anni di rapporti diplomatici tra il nostro Paese e quello del Sol Levante (tra esse un Leonardo da Vinci). Alla collettiva Tokyo Experience, che ha visto esporre i campani Marco Abbamondi, Stefano Ciannella, Max Coppeta, Mina Di Nardo, Dino Izzo, Amedeo Sanzone, Ttozoi, Carla Viparelli, si alterna così questa seconda mostra degli artisti Yuki Kamide, Shoko Miki, Syuta Mitomo, Keisuke Miyashita, Yasunari Nakagomi, Saki Onishi, Naomi Shigeta, Mariko Tamura. In una città come Napoli, per vocazione da sempre propensa al contatto ed al confronto pacifico, all’interazione costruttiva e creativa con altre culture ed altre realtà del mondo, il lavoro di questi ospiti provenienti da un Paese tanto lontano presenta un valore umano ed artistico particolarmente accentuato. E l’essenzialità che ai nostri occhi contraddistingue le forme della creatività nipponica può essere rilevata, ma solo al di fuori di semplici concezioni date per scontate. Sono otto differenti espressioni che si fregiano anzitutto dell’attingere ad una dimensione ampia, inter-continentale, che è poi la stessa in cui navigano anche i nostri artisti e quelli di ogni altro luogo del mondo, in un momento storico in cui le frontiere, almeno nell’arte, sono sempre più labili, in favore di una decentralizzazione dei nuclei “operativi” i quali, già a partire dagli ultimi decenni, da pochi e compattati quali erano, si sono frantumati in modo libero e vitale in una miriade di poli nevralgici sparsi su tutto il pianeta (nell’introduzione si usa l’espressione “Global to Glocal”).
Infinite sono adesso le possibilità di nuovi fenomeni artistici, talvolta interessanti, da seguire ed osservare, provenienti da potenzialmente infinite periferie e non più soltanto da delimitate e privilegiate aree a cui tutte le altre dovrebbero essere ingiustificatamente subordinate. È chiaro però che l’identità, composta di quella nazionale e soprattutto di quella personale, intima, che sempre resta imprescindibile in ogni creazione, muove ciascuna opera in tante diverse direzioni, portandola a dialogare da un lato con il suo proprio creatore, dall’altro con il fruitore ed il suo diverso bagaglio umano, culturale, sociale, con il suo rapportarsi alla propria patria ed al suolo straniero. Così dentro l’ondata globale le sfumature della vita quotidiana, dei toni dell’animo sperimentati in quell’altro parallelo, in tale occasione riavvicinato alla nostra realtà e sempre più fortemente aperto all’incontro con la nostra e le altre culture, costituiscono una zona imprescindibile dello spirito dell’opera, che di conseguenza si riflette nella sua struttura. Come in Shigeta, (Like water), dove una modulazione intricata è sciolta nella delicata impronta di vaghe e fumose sovrapposizioni cromatiche e flebilmente formali. L’artista ci parla di quegli stralci di elementi come l’acqua, il fuoco, che continuano a muoversi, a guizzare diremmo, con più o meno impeto, ma seguitando una fase di alternanza visibile fra loro, dell’apparire e dello scomparire, in costante sostituzione gli uni degli altri, senza che il movimento cessi mai. Laddove la dolcezza ma anche la determinata sapienza, le emozioni sussurrate e non gridate, risuonano come le antiche sonorità giapponesi, il movimento è interno ad ogni pannello nella serie dei sei e li attraversa tutti al contempo, ottenuti con una particolare ed accurata tecnica di riporto di un’immagine fotografica su di un altro supporto su cui si dipinge. Il risultato ci fa pensare ad una sorta di piccola, personale Orangerie.
C’è poi l’eleganza impalpabile degli affetti in Embody di Tamura, di una nobiltà quotidiana, fatta di piccoli gesti e grandi pensieri, nel materico avvilupparsi dei pannelli di carta che rivestono l’interna struttura in rete metallica, quali involucro legnoso ed astraente, eppure concreto nella sua forma di gambe femminili accavallate e “annodate”, rappresentanti quelle della madre dell’artista.
La facoltà di dissolvimento in Nakagomi (artista e direttore della Association of International Artists) crea invece, attraverso un lento lavoro rituale di stesura del colore per strati e poi la sottrazione di una parte di questo, una superficie liscia la quale rende scoperta e vulnerabile la scarna visione, rafforzandone la suggestione nell’osservatore. Di queste e di tutte le altre opere esposte si può tracciare una mappatura che riconduca per certi aspetti ad un tipo di ricerca del passato come anche ad alcuni dei più recenti studi e spunti del contemporaneo, e subito l’opera suggerisce l’intreccio tra riflessioni di ieri ed oggi, tra quelle della propria terra e degli altri Paesi. Ma bisogna osservarle il più liberamente possibile, senza cercare alla base quell’intreccio, piuttosto godendo dell’alto livello di spontaneità e genuinità che pare sostanziarle, pur in un’orchestrazione tecnica talvolta molto sofisticata. Una minuziosa progettazione scientifica è infatti da subito rivelata, fin nei dettagli, sui pannelli esplicativi, a monito di quanto la personalità di questi lavori d’arte, e la loro qualità comunicativa, non siano dipendenti da quest’ultima ma autonome nel loro “auto-formarsi”, in quel sempre insondabile momento nel quale l’apparato tecnico è “scansato” dal potente, imponderabile fattore artistico.

 

 

 

 

 

 

Latitude 36-40
(Yuki Kamide, Shoko Miki, Syuta Mitomo, Keisuke Miyashita, Yasunari Nakagomi, Saki Onishi, Naomi Shigeta, Mariko Tamura)
promossa da Associazione ART1307
a cura di Cynthia Penna, Yasunari Nakagomi
con i patrocini di Ambasciate di Italia in Giappone e di Giappone in Italia, Regione Campania, Istituto Italiano di Cultura di Tokyo ed il Matronato del Museo Madre
Villa di Donato
Napoli, dal 12 al 25 maggio 2016

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