“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 08 April 2016 00:00

Un teatro pieno di bambini

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Molto rumore per nulla... o meglio: molto nulla per fare un po’ di rumore. Il Teatro Carlo Gesualdo di Avellino ospita, in una tiepida mattinata di inizio aprile, frotte di scolaresche per la visione di Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, di Giuliano Scarpinato; e fin qui saremmo pure nell’ambito di un’ordinaria programmazione di uno spettacolo rivolto alle scuole, se non fosse che, nelle settimane antecedenti, detto spettacolo ha visto ingenerarsi intorno a sé un putiferio a dir poco pretestuoso, vedendo schierati a difesa dell’”educazione” (virgolettato necessario) dei propri figli genitori che temevano la potenziale – e fondamentalmente indimostrabile – carica diseducativa di uno spettacolo che affronta il tema del genere sessuale, genitori arrivati a costituirsi in comitato per la difesa della propria prole avanzando la pretesa – rimasta vivaddio inascoltata – che lo spettacolo non fosse proposto in orario scolastico, in maniera tale da poter esercitare un’implicita censura evitando ai figlioli la “pericolosa” visione (hai visto mai che si vedessero tornare a casa un pargolo deviato e irrimediabilmente incamminato sui sentieri del traviamento e della perdizione?).

Spendere parole ulteriori su quanto becero, fuorviante e retrivo sia stato l’innesco ideologico della polemica potrebbe essere superfluo, se non servisse a dare testimonianza – anche alla luce della visione dello “scandaloso spettacolo” (altro virgolettato necessario) – di quanto fuori da qualsiasi logica fossero le pretese avanzate da questo audace comitato ertosi a baluardo del buon costume come usbergo medievale.
È stato perciò per noi sentito come un atto dovuto presenziare a Fa’afafine e farlo nuovamente, dopo averlo recensito nella sua tappa napoletana con uno degli sguardi – quello competente e fanciullo ad un tempo di Sara Scamardella – attraverso i quali più ci piace sentirci raccontare il teatro ragazzi; ci è sembrato importante esserci proprio per spostare, per una volta, lo sguardo panoramicamente dal palco alla platea, per verificare quanto l’oscurantismo censorio avesse inciso; com’è ovvio non abbiamo potuto contare gli assenti veicolati dalla cosiddetta “maggioranza silenziosa” (che più propriamente ci piace definire “dissidenza minoritaria”), ma abbiamo potuto vedere una platea riempirsi di bambini coi loro insegnanti e leggere su cartell poggiati sulle poltrone vuote la presenza di chi avrebbe voluto esserci e non ha potuto; abbiamo visto bambini che forse assistevano per la prima volta ad uno spettacolo teatrale, bambini per i quali forse andare a teatro rappresentava anche un buon diversivo per non far lezione, bambini che nella monelleria di un certo indisciplinato mormorare potevano pure dimostrare un’iniziale disattenzione per il fatto teatrale... Eppure li abbiamo visti progressivamente appassionarsi alla storia di Alex, a quel bambino “diverso” (e qui forse il virgolettato sarebbe pure di troppo, se non riprendesse testualmente lo spettacolo, nel quale poi “diverso” evolve in “speciale”), regalargli la loro attenzione e lasciarsi prendere per mano, dopo quel po’ di spaesamento iniziale, da ciò che avveniva nella piccola stanza di Alex, uno spazio trapezoidale aperto sul davanti in cui Michele Degirolamo dà splendidamente vita ad una delicata parabola adolescenziale di scoperta del sé, delle proprie pulsioni più tenere, dei primi vagheggiamenti non corrisposti.
Fa’afafine è uno spettacolo “serio” (e qui il virgolettato è tutto nostro), nel senso che possiede la struttura drammaturgica di una messinscena adulta, raffinata nell’oculata alchimia delle sue scelte registiche, a partire dalla costruzione di una stanza dei giochi (e dei sogni) di Alex, stanza in cui convivono il pallone e i vestiti da donna, la maschera di Thor e collane di fiori, bambole e amicizie immaginarie e proiettive; questa stanza è il mondo segreto di Alex, un mondo del quale è ancora alla scoperta e che egli per primo percepisce separato dal di fuori, come dimostra quel diaframma invalicabile che s’instaura tra lui ed i propri genitori, che appaiono proiettati sullo sfondo incorniciati in un grosso buco di serratura, incapaci di fronteggiare istanze a cui non sono preparati e che li mettono in difficoltà rispetto al contesto sociale. Nel chiuso del suo mondo Alex vagheggia trasognato e i suoi sogni istoriano il fondale attraverso immagini che coniugano bellezza e funzionalità; l’isola di Samoa è un eldorado lontano, l’approdo idealizzato da raggiungere a bordo di un'astronave a forma di letto, un luogo in cui coronare il desiderio di essere quel che si è, senza l’impostura di un’etichetta di genere appioppata da una società che bolla come “problematici” comportamenti che esulino dal senso comune. L’isola di Samoa è quella in cui i generi sessuali sono tre ed il termine “fa’afafine” designa quello più sfumato, intermedio tra l’uomo e la donna, senza che ciò disturbi o scandalizzi.
Fa’afafine è uno spettacolo “serio” – dicevamo – eppure possiede quel tocco magico e leggero che gli consente di parlare al cuore tanto dello spettatore adulto che bambino, raccontando loro con semplicità e immediatezza una parabola che ha lo stesso candore che Alex adopera per comunicare con Kartika, Natàlia e Mr. Pig, creature popolanti il suo piccolo mondo immaginario.
Un mondo immaginario che riesce a trasfondersi, a confluire nella realtà, pervenendo all’abbattimento di quel diaframma di incomunicabilità coi genitori che ne aveva rappresentato il freno materiale e concettuale.
Un diaframma che si abbatte e che ci appare proiezione necessaria di un’altra barriera, quella del pregiudizio che voleva impedire questa visione, muraglione di pastafrolla che sgretola mentre scrosciano gli applausi.

 


N.B.: su Fa'afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro si veda anche:
Sara Scamardella, Il teatro per ragazzi che serve tanto agli adultiIl Pickwick, 17 marzo 2016



 

Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro
testo e regia Giuliano Scarpinato
con Michele Degirolamo
in video Giuliano Scarpinato, Gioia Salvatori
visual media Daniele Salaris – Videostille
assistente scene e costumi Giovanna Stinga
illustrazioni Francesco Gallo – Videostille
direttore dell’allestimento scenico Antonino Ficarra
progetto scenico Caterina Guia
luci Giovanna Bellini
datore luci Emanuele Noto
produzione Teatro Biondo Palermo
lingua italiano
durata 50’
Avellino, Teatro Carlo Gesualdo, 5 aprile 2016
in scena 5 aprile 2016 (data unica)

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