“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 02 March 2016 00:00

I Genesis e il teatro rock. Donato Zoppo racconta

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Gli amanti del progressive-rock appartengono alla razza degli irriducibili e coltivano la loro passione con la cura che si riserva alle cose preziose che abbiamo avuto la ventura di incontrare e che ci hanno affascinato come una fata in un bosco, come una sirena su uno scoglio bagnato di luce lunare, come una Fenice che rinasce, mutando le proprie ceneri in nuova fiammeggiante energia.
Si accendono di luce gli occhi del “progger” quando pronunzia come un mantra i nomi dei protagonisti di una stagione, collocata tra i tardi anni '60 e i primi anni '80, che partorì grande musica, opere rock e concept album che pescavano a piene mani negli stilemi della musica classica, contaminandola con il jazz e l'elettronica, il folk celtico e le immaginazioni lisergiche.
La prima perla di questo “mala” musicale è sicuramente quella dei Genesis cui è dedicato l'ultimo libro del giornalista musicale Donato Zoppo, una delle voci critiche italiane più ferrate sul progressive-rock.

All’amatissima band inglese, ai suoi primi anni di rock sinfonico e teatrale, quelli della pubblicazione di Foxtrot (1972) o The Lamb Lies Down on Broadway (1974), il giornalista beneventano Donato Zoppo ha dedicato il suo ultimo libro La filosofia dei Genesis. Voci e maschere del teatro rock, appena pubblicato da Mimesis nella collana Musica Contemporanea.
Giornalista e conduttore del fortunato programma Rock City Nights per l'emittente Radio Città Benevento, redattore per Rockerilla, Audio Review e Movimenti prog, Zoppo realizza con questa pregevole opera un quadro che, incentrandosi sulla band capitanata da Peter Gabriel, include tuttavia tutto ciò che si muoveva in Europa e negli Stati Uniti attorno ad un concetto forse più grande del genere progressive, l'ingresso del teatro nella musica, la fusione tra arti performative diverse e il rock, destinata a cambiare per sempre il concetto di “live”, meticciandolo con quelli di “teatro” e “performance”.
Elegante, sagace, ironico, il critico musicale ha già pubblicato saggi su: Lucio Battisti, la PFM, gli Area e i King Crimson.
Zoppo ci porta a spasso nella Londra creativa della seconda metà degli anni ’60, per un rigenerante tuffo nella creatività colta e feconda dei Genesis, che avrebbe avuto la forza di durare con successo, tra cambiamenti di formazione e di stile, per quasi mezzo secolo.
“Al cammino gnostico in cinema e letteratura che incuriosisce Gabriel" – scrive Zoppo – "si aggiungono le letture junghiane sugli archetipi, l’inconscio collettivo, il mito, le tradizioni e le comparazioni religiose, il viaggio dell’eroe, che gli forniscono materiale utile per una trama dal potente vigore visivo, derivato dal surrealismo alla Jodorowsky: teatro musicale sciamanico”.
È davvero preziosa l’occasione, offerta dal libro di Zoppo, di rileggere la storia e la musica dei Genesis da una prospettiva diversa, contestualizzandola nei cambiamenti artistici e sociali di quel periodo, lo stesso, per intenderci, che vide in azione anche Warhol, Bowie, Reed e Zappa. Giganti  della creatività di cui, oggi più che mai, sentire la mancanza.


Donato Zoppo, hai scritto su PFM, King Crimson, il progressive rock nella sua interezza: ora il tuo nuovo libro parla dei Genesis, come mai?
In Prog. Una suite lunga mezzo secolo (Arcana, 2011) avevo raccontato l'esperienza dei Genesis in una cornice più ampia, quella di cinquanta anni di prog: in questo nuovo libro ho pensato invece di isolare una caratteristica importante, forse quella più amata e ricordata dal pubblico (soprattutto italiano), ovvero la teatralità rock della band e di Peter Gabriel. Un paio di settimane prima dell'uscita avevo scritto un post su Facebook, comunicando che il mio nuovo testo sarebbe arrivato in libreria di lì a poco, e avevo lanciato come unico indizio l'immagine di una volpe: pensavo che pochi appassionati avrebbero colto, invece ho ricevuto una marea di like di persone – anche non maniaci rock come il sottoscritto... – che ricordavano con autentica emozione la celebre "foxhead", la maschera di volpe di Peter Gabriel! È una sciocchezza se vuoi, ma indicativa dell'amore verso il rock theatre dei Genesis. In questo saggio per Mimesis Edizioni ho indagato tra le motivazioni, le caratteristiche e gli sviluppi artistici del teatro rock genesisiano, incarnato nella figura di Peter Gabriel, con le sue maschere, i suoi costumi e il suo carisma.

I Genesis però non erano gli unici: basta pensare al contributo di David Bowie...
Certamente, i Genesis non hanno “inventato” il teatro rock, ma hanno perfezionato e definito – con grande abilità – un modulo espressivo inaugurato in maniera diversa da Doors, Mothers Of Invention, Pink Floyd, Arthur Brown, Velvet Underground, e interpretato successivamente da David Bowie, coevo dei Genesis in questi esperimenti, da Alice Cooper in America, dai nostri Osanna. Tutti costoro si affrancarono dall’idea scheletrica e “primitiva” del concerto come semplice performance, e arricchirono le loro esibizioni con elementi più o meno teatrali, dal light-show psichedelico dei Pink Floyd al siparietto provocatorio e satirico alla Zappa. I Genesis scelsero di prolungare visivamente, sul palco, quei brani che avevano una straordinaria forza narrativa, con maschere, costumi, mimiche e scenografie ad hoc: partirono dalle prime, timide storielle di Gabriel tra un brano e l'altro (un intrattenimento necessario poichè si dovevano accordare le chitarre...) fino alla grande opera rock The Lamb, in cui Peter era autore, performer, attore e elemento-guida di tutta la narrazione. 

Quali furono i momenti più alti dal punto di vista teatrale nella carriera dei Genesis?
Il mio libro si focalizza sul periodo gabrieliano, in particolare dal 1971, anno di Nursery Crime, al 1974, anno di The Lamb Lies Down on Broadway, ultimo disco di Gabriel con la band. Sottolineo spesso due cose: la provenienza sociale e culturale dei Genesis, rampolli dell'alta borghesia britannica che fondano la band all'interno del prestigioso college Charterhouse; la potente frattura generazionale partita poco prima del '68 e che durerà tutti gli anni '70, alla quale anche dei timidi e introversi figli della upper class come i Genesis non resteranno indenni. Il teatro rock del gruppo nasce anche da queste premesse e trova, a mio avviso, nelle performance di The Musical Box (con la celebre maschera da vecchio), nella sequenza di maschere (il fiore, il sacerdote, il costume bianco della New Jerusalem etc.) della suite Supper's Ready, nell'invenzione del tagliaerba Jacob di I Know What I Like e nell'intero allestimento di The Lamb i momenti più riusciti. I cultori dei Genesis sanno bene che queste scelte, da accreditare pienamente a Peter Gabriel, non erano molto condivise dai quattro colleghi, che avrebbero preferito una musica slegata dall'armamentario visivo: la famosa maschera da volpe che ho citato prima fu una vera e propria sorpresa, infatti Peter salì sul palco di Dublino (28 settembre 1972) senza comunicare nulla al gruppo... ne seguirono grandi litigi ma anche, finalmente, le prime pagine dei giornali!

Pensi che quell'esperienza visiva abbia avuto una sua continuità? Ci sono degli eredi?
Se ci riferiamo all’allestimento da palco, alle luci e agli effetti speciali, gli eredi dei Genesis sono tantissimi e lo stesso Peter Gabriel, figura sempre attenta all'elemento multimediale e tecnologico (come scriveva Cesare Molinari nel suo On the Stage), partì proprio da quell'esperienza. Io però credo che il teatro rock di cui ho scritto sia qualcosa di diverso, sia il completamento di un percorso che partiva dalla copertina del disco, esplodeva nei brani – pensa al filone di “operette rock” come Harold The Barrel, Get ‘Em Out by Friday e The Battle of Epping Forest – e si perfezionava in concerto, come se Gabriel volesse prendere per mano gli spettatori, accompagnarli in un mondo fiabesco, fantascientifico, mitologico e talvolta anche surreale e sarcastico. In questo senso non mi sembra ci siano stati eredi, spesso prevale l'atteggiamento tipico dello "shock rock", ovvero turbare lo spettatore, altre volte invece si dà rilevanza all'apparato tecnologico di luci ed effetti.

 

 

Donato Zoppo
La filosofia dei Genesis. Voci e maschere del teatro rock
Milano, Mimesis, 2015
pp. 112

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