“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 22 February 2016 00:00

"Gran Serata Futurista" a Napoli

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Lo spazio bianco della sala inizia ad essere rapidamente intriso di un’atmosfera che si legge, e si vuole, ad un tempo sognante e concreta. Tra, e sul pubblico, s’insinua ed aleggia la consueta calma in attesa della performance, ma stavolta qualcuno si starà figurando quale relazione, quale contrasto potrà esservi tra la silenziosa concentrazione degli spettatori e l’irruenza, la quale è da considerarsi promessa, di un’esibizione che s’immagina, molto più di altre, conformata in un corpo di pura energia, saettante missione creativa.

Perché futurista. Perché contro il sonno, la stasi ed il contegno borghese. Perché provocazione guizzante di una fantasia libera e spregiudicata, di una speranza nel futuro spogliata del romantico pallore di un’inamidata nostalgia. Perché vibrante ambizione alla costruzione diretta e coraggiosa di questo nuovo futuro, all’autocostruzione.
L’alta figura dell’attore in frac con cilindro e valigia, il kajal a segnare la rima inferiore di limpidi occhi azzurri, è sia preludio allo spettacolo che sostanza della scena. Ci si interfaccia con essa e ci si lascia coinvolgere, molto agevolmente, da quella dimensione di primo Novecento che subito si avverte con chiarezza, in un mutuo dialogo fra i propri occhi, orecchie e “labbra assorte”. Proiettato alle spalle dell’uomo teatrante, campeggia il noto ritratto di Filippo Tommaso Marinetti (Rougena Zàtkovà, 1920), come prima visione che poi svanisce e viene sostituita da altre delle opere realizzate da quella “squadra” autodefinitasi di urlatori, di fautori del caos e facinorosi buffoni guidati dallo scopo di dare una generale ed epocale svegliata al popolo italiano.
Il tutto scorre cadenzato da parole, gesti, musica e danza avvolti in suggestivi toni. Viaggiando sui testi di Papini e sui quelli marinettiani che in questa sede comprendono l’immagine di Capri, e di come l’isola si rapporti alla città di Napoli, si culmina, nel momento centrale del corso dell’eloquio, in un’interpretazione intensa e brillantemente surrealista, che esprime in immagini eccentriche, in disinvolte, allegoriche ed aggressive immersioni ed emersioni dal mare, un trionfale circo di strambi elementi che sono inanimati e vivi ad un tempo. Ed in questo racconto in continuo divenire appaiono splendenti, e su tutto e tutti, Boccioni con la sua “scure di luce”, e Baudelaire, per l’appunto colui che comprese la necessità ed insieme profetizzò la “perdita dell’aureola” del poeta, significativamente sotto “aureole morbide ed elastiche”. Massimiliano Finazzer Flory esalta (ed è stimolante vedere questo gioco voluto tra la personalità dell’artista che interpreta tali idee e quella dell’uomo che le adotta, e un po’ recita quest’adozione) una visione che prende atto della “mobile orchestrazione di immagini e suoni”, contro il pedante eccesso della troppa cultura che “ossifica il cervello”. Originalità diventa la parola d’ordine, la base per l’aspirazione ad un’arte più italiana, “ad una sensibilità più eroica”, che combatte la mera logica del guadagno e della falsa profondità, che lotta per l’affermazione dei giovani creativi, i soli che possano vivificare tutta l’arte e la vita stessa. Quella lezione di svecchiamento, la possibilità estesa a tutti, senza distinzioni di sorta, di pensare e creare, il bisogno di rompere vecchi schemi per dischiudere nuovi orizzonti, sono anche argomenti dei giorni nostri. Pur con i suoi limiti, il futurismo, avanguardia tutta italiana, così programmatica, talvolta meno rivoluzionaria nei risultati di quanto affermasse d’essere nella teoria, ha il grandissimo merito di aver portato alla luce un problema fino ad allora per lo più ignorato. Si tratta dell’attaccamento totale, comodo quanto inutile, al passato, congiunto ad un’ipocrisia sterile e ad una situazione ristagnante dell’arte e della società di quel tempo. L’esigenza era quella di un forte rinnovamento, della libertà di plasmare qualcosa di realmente moderno, ricusando il peso della convenzionalità e del conformismo.
Nel progetto della gran serata, già presentata in molte altre città, la puntuale, sapiente espressività vocale e gestuale di Finazzer Flory e gli interventi della danzatrice Michela Lucenti, hanno dato vita un evento molto interessante e gradevole, come lo stesso Pierpaolo Forte (Presidente Amministrativo del Madre) ha anticipato nella presentazione. Per quel che concerne la danza, i movimenti della Lucenti non si sono mai sviliti in una solita, inflazionata sensualità, ma sono stati veri impulsi di tensione, vivaci reazioni del corpo a frizzanti desideri, ad inebriate velleità creative. I suoi muscoli si contraevano, precisi, in meccanici o armoniosi scatti, e si distendevano in decise traiettorie, coordinandosi su di una linea temporale senza confini.
Dietro le quinte, dopo il termine dello spettacolo, l’attore e regista ci parla di una sua visione di Napoli come città passatista per via dell’ampia e profonda stratificazione storica. C’è però anche da riflettere sul fatto che lo stesso Madre sia il primo museo d’Arte Contemporanea italiano edificato nel centro storico di una città la quale, specie a partire dalla fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, e grazie a personalità del calibro di Lucio Amelio, ha sempre dimostrato una forte vocazione al contemporaneo (basti pensare all’aspetto della nuova metropolitana, con le sue stazioni). Potremmo credere che una serata futurista come questa oggi non presupponga un taglio così netto con il passato, come si anelava alla ormai lontana nascita del movimento. Il nuovo esempio futurista, ben esplicitato nella performance, potrebbe certo essere l’idea di tendere all’arte di oggi e non di ieri, considerando dunque che quest’ultima è stata a sua volta arte del proprio tempo. In un mondo in cui tutta la produzione degli ultimi due abbondanti secoli si reputa contemporanea, il desiderio di contemporaneità che fece ardere la rapida fiamma futurista ritorna attuale, ed uno spettacolo come quello di cui stiamo ora parlando pungola, nello scenario di una città che è di San Gennaro tanto quanto di Mimmo Paladino, le coscienze di coloro che seguitano nel portare avanti il “falso pudore” nei confronti della coraggiosa novità.

 

 

 

 

Gran Serata Futurista
regista e interprete
Massimiliano Finazzer Flory
coreografie Michela Lucenti
musiche Igor Stravinskij, Alfredo Casella, Ryuichi Sakamoto
lingua italiano
durata 1h 15'
Napoli, Museo Madre – Sala delle Colonne, 17 febbraio 2016
in scena 17 febbraio 2016 (data unica)

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