“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 20 February 2016 00:00

Tarantino mago dello storytelling

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Il nome del regista Quentin Tarantino è ormai diventato sicurezza, sigla di azione e piacevolezza, sigillo di un microcosmo dai tratti peculiari.
Anche nel caso del suo ottavo film, The Hateful Eight, il regista non si smentisce: affiorano tutte quelle caratteristiche che ne costituiscono l’inconfondibile firma. Si parte con il solito omaggio alla cinematografia italiana degli anni Settanta, quella degli intransigenti tutori della legge degli spaghetti-western di Sergio Leone.

Un omaggio coerente in tutto e per tutto, a partire dalla font scelta per i titoli di testa per arrivare fino agli stilemi propri del genere. Senza tralasciare l’uso sapiente e non troppo celato degli stilemi di Leone stesso, come i primissimi piani sui dettagli della scena.
Il film si apre proprio così, con un primo piano su una croce sperduta nella candida neve, accompagnata dalle musiche di Ennio Morricone (tra l’altro preda, giorni fa, di un’infamante accusa di plagio da parte del gruppo alternative rock Subsonica). Il primo piano leoniano arriva sui cavalli in corsa, in una scena al rallenty che introduce alla storia.
Non mi dilungherò sulle caratteristiche di Tarantino come regista, che gli estimatori hanno imparato a conoscere nel corso della sua carriera – la scelta del cast, con Samuel L. Jackson sempre omaggiato di ruoli d’onore, le scene di retaggio palesemente pulp, dove fiumi di sangue colorano artificialmente la scena – ma della grande capacità del regista di raccontare storie.
"Sai che novità!" direte voi. Giusto, il film è già di per sé una storia, tanto più se viene diviso in capitoli, come è abituato a fare di Tarantino. In senso strettamente strutturale, i suoi film sono molto più vicini ai romanzi di altri, in cui la storia si dipana in maniera fluida, senza soluzione di continuità. Non che la divisione in capitoli sia strettamente necessaria all’avanzamento della vicenda – come d’altronde è nei libri – ma la loro presenza permette di fare il punto della situazione, di dare un’impronta stilistica ad un film, neanche troppo breve, che si appresta a unire molte informazioni tutte assieme.
Ci sono infatti diversi livelli di narrazione, o meglio, diverse narrazioni parallele, che si incrociano, che si influenzano l’un l’altra e che, inglobate nella macronarrazione dell’intera vicenda, la modificano, la incalzano, ne deviano il presupposto corso. C’è la narrazione di sé che fa ogni personaggio, a volte vera, il più delle volte presunta. È proprio su questo doppio binario di realtà e finzione che la storia si sviluppa, continuando a sferragliare fino a che non rovina miseramente su quei binari interrotti dallo smascheramento. Per dirla secondo gli stilemi del regista, lo spettacolo va avanti fino a che la messinscena regge: dopodiché si finisce per annegare – letteralmente – in un lago di sangue.
Affascinati da questa grande capacità di Tarantino di scrivere i dialoghi, ascoltiamo questi otto personaggi parlare di sé tra gli spifferi di un emporio sovraffollato, scena perfetta per un film incentrato sulla bellezza delle storie e non su quella dei paesaggi. Li ascoltiamo narrare le vicissitudini che li hanno condotti fin lì; poi un altro personaggio aggiunge un’informazione ulteriore, acquisita personalmente o tramite amici di amici di amici.
Ecco che la trama va tessendosi, ecco che il passaparola e le parole dette a mezza bocca finiscono per divenire cifra importante nella composizione dell’ordito. È stranamente calma, questa fase. Sembra che non succeda niente per molti minuti; lo spettatore ascolta rapito queste storie a tozzi e bocconi, mantenendo uno stato d’animo insolitamente cauto, avvezzo com’è ai colpi di scena tipici del cinema di Tarantino. Colpi di scena che, ovviamente, non tardano a venire, corredati della solita esplosione di sangue e equivoci e dialoghi. Quelli di Tarantino, mago dello storytelling.

 

 

 

 

The Hateful Eight
regia, soggetto e sceneggiatura Quentin Tarantino
con Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Demián Bichir, Tim Roth, Michael Madsen, Bruce Dern, James Parks, Channing Tatum, Dana Gourrier, Zoe Bell, Lee Horsley, Gene Jones, Keith Jefferson, Craig Stark, Belinda Owino
fotografia Robert Richardson
musiche Ennio Morricone
produzione The Weinstein Company
paese USA
lingua originale inglese, spagnolo
colore a colori
anno 2015
durata 187 min.

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