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Saturday, 17 October 2015 00:00

A Napoli non piove mai. O quasi

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Guadagnando l’uscita del cinema, cercando, in mancanza dell’ombrello, di proteggermi alla bene e meglio dalla pioggia scrosciante (al maltempo non manca di certo l’ironia), avevo cominciato ad elencare a mente i modi in cui avrei potuto investire la somma di danaro che era servita per acquistare il biglietto del film a cui avevo appena assistito: un libro, del kebab, cinque giorni di colazione completa al bar, un tavolino “Lack” 55x55, uramaki mango e salmone, un cd in offerta alla Feltrinelli, pizza e birra dalla “signora” a Monteoliveto, un paio di vasetti di Nutella, della droga.

Chiariamolo subito. Il film non è semplicemente brutto. Non varrebbe nemmeno la pena spendere ulteriormente del tempo a battere tasti per farne descrizione, se fosse solo questa la faccenda. Ma è capitato che stamattina, durante lo svogliato e distratto sfogliare mattutino del web, mi imbattessi in una serie di recensioni a dir poco entusiastiche della pellicola in oggetto. E quindi, nonostante fossi finalmente riuscito a dimenticare la recente disavventura e l’enorme spreco finanziario impiegato, ho  deciso che questa ingiustizia non potesse rimanere impunita. È una questione di principio. Perché questo film, che avrebbe un po’ la pretesa, nemmeno troppo velata, di mostrare l’altra Napoli, per una volta non quella della camorra e del malaffare, dell’immondizia che occlude il passaggio, del pavé disconnesso e degli autobus che non passano mai, riesce invece ad essere ancor più qualunquista, intriso com’è di una serie indescrivibile – ma, in realtà, già ampiamente compiuta – dei più gettonati luoghi comuni su Partenope. Si passa, così, dal tipico fannullone napoletano, il quarantenne protagonista del film che vive ancora con mammà, all’uso, per l’appunto, di espressioni come mammà (come se noi poveri indigeni non facessimo altro che andarcene in giro per la città a sperperare uéué e jammejà); dalla famiglia del nord lavoratore che alla notizia che la rampante figlia – la quale, ovviamente, non fa la cameriera o la commessa da Footlocker, ma la restauratrice – è stata incaricata di un importante lavoro presso una chiesa di Napoli, comincia a disperarsi come se la sfortunata fanciulla avesse deciso di iscriversi alla Facoltà di Architettura, alla madre premurosa, preoccupata per le sorti del fannullone di cui sopra, ma sempre pronta a sdrammatizzare le fatiche della vita con un bel piatto di porpette azzuppate nel raù. Fino a giungere all’immancabile signora impicciona del vicolo, che conosce i cazzi di tutti nel palazzo e che funge anche da citofono, articolo che, come è noto, a Napoli non è ancora approdato.
E questo non sarebbe nemmeno il peggio, dato che potrebbe essere inteso come un veniale tentativo di condurre la scena su di un terreno conosciuto e già ampiamente battuto (e dibattuto), allo scopo, magari, di creare un ambiente in cui lo spettatore si senta comodo, a suo agio nella sequela di immagini e descrizioni che fanno ormai parte dell’idea comune che si ha di Napoli. In realtà qui lo stereotipo viene semplicemente sfruttato, in maniera anche piuttosto maldestra, per nascondere l’inconsistenza della trama. Quello che invece non è proprio possibile nascondere è la fragilità della recitazione, a tratti macchiettistica – mi si passi il termine – e quasi dilettantesca, che riesce a svilire anche partecipazioni e cameo eccellenti, trascinandoli verso il livello generale di mediocrità. Unica eccezione, la prova del grande Sergio Solli, il “Saverio” di Così parlò Bellavista, interprete del ruolo del padre del nullafacente, che riesce ad elevarsi (impresa non impossibile, a dire il vero) sull’imbarazzante piattezza complessiva. A poco o nulla servono le ruffiane citazioni e i riferimenti ai grandi della risata napoletana, che, per rimanere in tema di banalità, si staranno certamente rigirando nella tomba.
In sintesi un film che proprio non funziona da nessun punto di vista, insipido e scontato, tecnicamente sconnesso e confusionario, a tratti irritante ed insopportabile nella sua melensa retorica. Sergio Assisi, regista ed attore protagonista del film, non convince in nessuna delle due vesti. E se questa circostanza può essere considerata come uno scotto da pagare per l’esordio alla regia, meno comprensibile è l’involuzione della qualità della recitazione che, forse, non è ancora pronta per il grande schermo. In conclusione, A Napoli non piove mai lo definirei come un film a metà, ma non nel vero senso del termine. È un film a metà per il tempo massimo che sono riuscito a dedicare alla sua visione, approfittando dell’intervallo per svignarmela indegnamente, ed in maniera così repentina e fulminea, da dimenticare mestamente l’ombrello sulla poltrona di fianco.

 

 

 

A Napoli non piove mai
regia
Sergio Assisi
soggetto e sceneggiatura Sergio Assisi
con Sergio Assisi, Ernesto Lama, Valentina Corti, Benedetto Casillo, Sergio Solli, Nunzia Schiano, Francesco Paolantoni, Giuseppe Cantore, Lucio Caizzi, Gaetano Amato, Massimo Andrei, Magdalena Grochowska, Antonella Morea, Eliana Miglio, Clotilde Sabatino, Luigi Di Fiore, Giancarlo Ratti, Laura Schettino, Antonella Romano, Adelmo Togliani, Susy Del Giudice, Domenico Sgariglia
fotografia Claudio Marceddu
musiche Louis Siciliano Aluei
montaggio Daniele Cantalupo
produzione Sergio Assisi, Mediterranea Production
paese Italia
lingua italiano
colore a colori
anno 2015
durata 90 min.

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