Il pubblico è seduto intorno agli attori in modo da delimitare la scena. La sala è un grande salone di un palazzo nobiliare risalente al 1724. Si trova alle spalle del Palazzo Sannicandro con il quale divide tutta la sua storia e la sua influenza, popolarmente noto come il Palazzo Sant’Alfonso, per esser stato nei secoli ereditato da Francesco De Liguoro, principe di Presiccio, cugino carnale di Giuseppe De Liguoro, papà di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ed una nicchia del Santo oggi ancora resiste ai piedi della scala a doppia rampa a destra del vestibolo. La facciata esterna dal lato dell’Arena che aggancia le propaggini sud del Rione Sanità, oltre ad apparire chiaramente frutto di un rinnovamento di fine Ottocento, è arretrata rispetto alla via che le scorre innanzi, ugualmente come testimoniato dalla carta Carafa del 1775 e a partire dal 1953 occupata da botteghe.
Lo spettacolo è il frutto iniziale della collaborazione tra l’Associazione “Imprenditori di Sogni” ed il regista ed attore Stefano Jotti ed è ispirato al dramma di Oscar Wilde. Il testo,
infatti, ha una storia un po’ a sé rispetto all’opera dell’autore irlandese. Fu scritto in un unico atto ed in lingua francese durante un soggiorno a Parigi per essere interpretato direttamente dall’attrice Sarah Bernhardt, che, dopo alcuni giorni di prove, rifiutò di continuare a causa dello scandalo che aveva coinvolto Wilde.
L’opera è ispirata dalla figura di Salomè, figlia di Erodiade, conosciuta per aver chiesto ad Erode, il tetrarca di Giudea, marito di sua madre, la testa del profeta Iokanaan, che Erode aveva fatto imprigionare in una cisterna. La storia è quindi una passione amorosa che diviene sangue umano. Il tetrarca, durante un banchetto, è infatti molto attratto da Salomè e le chiede di ballare per lui e di realizzare in cambio tutto ciò che lei desidera.
L’attrice che interpreta Salomè (Roberta Astuti) ha un vestito rosso, simbolo di una passione malsana, mentre, invece, la madre Erodiade (Martina Liberti) indossa un vestito nero, simbolo di una passione ormai spenta o mai accesa. La danza di Salomè è chiamata “danza dei sette veli” e la donna la esegue a piedi nudi con molta sensualità e sinuosità. La richiesta di Salomè ad Erode è la testa di Iokanaan, il profeta, liberato intanto dalla prigionia nella cisterna. Erode è inorridito da questa richiesta: come si può voler uccidere un uomo di Dio?
Ma non può venir meno a quella proposta e quindi decide di far uccidere Iokanaan ed esaudisce quel malsano desiderio della donna innamorata.
La rivisitazione ed esecuzione di Stefano Jotti è molto fedele al testo ed ha una chiarezza visiva e narrativa che permette al pubblico di seguire la scena come se vi fosse all’interno e di fatto lo è.
La compagnia è composta da attori molto giovani e la scelta di raccontare questo mito attraverso il testo di Wilde è molto complessa e quindi benevolmente ambiziosa e, direi, ben riuscita. Il pubblico, dopo il buio dell’ultima scena, esce contento dal salone e si trattiene a fare un giro della casa pensando ancora a quell’ultima danza di Salomè.
Salomè
da Oscar Wilde
rielaborazione drammaturgica Fulvio Calise e Stefano Jotti
regia Stefano Jotti
aiuto regia Mario Vezza
con Roberta Astuti , Yuri Napoli, Stefano Jotti, Martina Liberti , Raffaele Imparato, Fabio Balsamo
costumi Marina Mango
scenografia Anna Seno
trucco MarySameleMakeUp
Napoli, Palazzo de' Liguoro, 24 Febbraio 2013
in scena il 23 e 24 Febbraio 2013 ore 18 e 21.