Una striscia di mare, che scorre realmente sul proscenio, divide la povera classe di pescatori, barcaioli, mendicanti presunti o tali dalla nuova borghesia che si riempie la bocca di ostriche, champagne ed improbabili francesismi ai tavoli del ristorante.È un piccolo microcosmo rappresentativo dell’epoca, una testimonianza del modo in cui Viviani percepiva la società di allora. L’elemento corale, centrale nella drammaturgia del commediografo napoletano, rende tutti protagonisti allo stesso modo. La struttura narrativa poggia sulle classiche basi dell’intreccio amoroso ostacolato dalle differenze di classe.
Il bel barcaiolo Jennariello, povero in canna e promesso sposo di Carmenella, rimane irretito dall’attraente femme fatale di turno, la seducente Fanny, salvo poi giungere all’ovvia conclusione che ceti sociali differenti non possono contaminarsi. Perché se il mare non conosce confini, non è così per la società dell’epoca marcata dai limiti intestini di un Mezzogiorno ancora fortemente contrapposto.
Sul gioco delle contrapposizioni, poggia dunque la commedia che si avvale della forte caratterizzazione di personaggi, come Bebè, il marchesino annoiato della vita che anticipa il gagà di Capri, reso poi celebre da Totò. Contaminazioni artistiche si ritrovano anche nel personaggio del mendicante che si finge tale per mestiere ed è immediato il parallelo con L’Opera da tre soldi di Brecht: così come nella bottega di Peachum si vendono “corredi per mendicanti”, così nel finto povero di Viviani troviamo la stessa vocazione alla messa in scena fittizia del questuante in cerca di soldi per andare in villeggiatura in campagna, alla stregua di come fanno i ricchi.
Nello stesso raggio d’azione si inserisce l’imbonitore che trascina stanco il carretto della moglie-maga a cui nessuno dà più credito.
L’anelito dei poveracci a raggiungere quel mondo patinato fatto di bollicine e condito di sostanze stupefacenti è costante in tutta la rappresentazione, ma si spezza inesorabilmente di fronte alla presa di coscienza che “siamo povera gente” così come recitano le battute di chiusura di Zì Taniello, il pescivendolo consapevole di dover rimanere attaccato al suo scoglio.Il potenziale per un degno omaggio al testo di Viviani c’è tutto, c’è infatti una fedele riproposizione della commedia che però tradisce qualche momento di incertezza.
Una recitazione, del nutrito cast di attori, a tratti eccessivamente didascalica inibisce la verve più spontanea che il testo richiede. Un bravo Lello Arena può dare più brio alla gag dell’imbonitore, verve che riesce invece a conferire al personaggio del poeta-scroccone. Gleijeses risulta a suo agio nei panni del marchesino, così come la Bargilli in quelli della mangia uomini.
Buone le prove musicali che stemperano la tensione di alcuni momenti interpretativi troppo ingessati.
Merito va anche alla trovata scenica del proscenio a specchio d’acqua, ma gli espedienti scenografici rischiano di prevalere su una rappresentazione che non convince appieno il pubblico, nel non facile compito di armonizzare le scene corali su cui l’opera tutta si snoda.
A Santa Lucia
di Raffaele Viviani
regia Geppy Gleijeses
con Geppy Gleijeses, Lello Arena, Marianella Bargilli, Daniele Russo, Gigi De Luca, Gina Perna, Angela De Matteo, Luciano D’Amico, Gino De Luca, Antonietta D’Angelo, Rino De Luca, Vincenzo Leto, Giusy Mellace, Salvatore Cardone, Aniello Palomba, Eduardo Robbio
costumi Adele Bargilli
scene Pierpaolo Bisleri
musiche Guido Ruggeri
luci Luigi Ascione
produzione Teatro Stabile di Calabria, Teatro Quirino Vittorio Gassman
lingua italiano
durata 1h 15'
Napoli, Teatro Bellini, 19 febbraio 2013
in scena dal 19 al 24 Febbraio 2013