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Sunday, 28 June 2015 00:00

Solo musica e aridità

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Sostiene Paolo Sorrentino che il suo interesse non è quello di illustrare storie basate su soggetti ben delineati, su episodi clou delle vite dei personaggi, ma di dar voce (e importanza) ad esistenze (o a loro tranci) che si svolgono nella naturalità e complessità del quotidiano. Una dichiarazione non lontana, almeno a grandi linee, dal pedinamento zavattiniano – che però si è sempre basato su narrazioni lineari incentrate su momenti di svolta nelle vicende dei personaggi. Non è neanche riconducibile ad una – per lui inedita – esigenza di realismo. È più che altro un desiderio di prendersi il tempo necessario a riprodurre le esitazioni, gli intralci, gli inciampi che spezzano la dittatura di una scrittura che costringe la messa in scena in percorsi prestabiliti.

Desiderio (a suo modo) ampiamente realizzato con Youth – La giovinezza più che con La grande bellezza. Lì infatti la pletora di personaggi e situazioni serviva alla costruzione di episodi a se stanti, disseminati nel palcoscenico della città eterna, lungo i quali Jep Gambardella distribuiva ironico le sue perle di amaro sarcasmo sul mondo (o meglio, sul suo ambiente) e contemporaneamente ne ricavava impressioni che alla fine lo spronavano ad uscire dalla gabbia di rassegnato cinismo in cui si crogiolava. Nell’ultimo film invece lo spazio dell’azione si restringe all’esclusivo hotel sanatorio di Davos e il tempo è scandito dai riti consueti dei massaggi, delle nuotate terapeutiche in piscina, delle passeggiate alpestri, dei dopocena all’aperto ad ascoltare musica. Tempo che continua a scorrere inesorabilmente, allontanando sempre più gli anziani protagonisti dalle esperienze di gioventù, di cui faticano a trattenere i ricordi. Tempo che passa tra le piccole preoccupazioni quotidiane, osservazioni sugli altri ospiti, tragiche considerazioni sulla propria e altrui vita, conversazioni, ricordi. All’apparenza tempi morti (ma al cinema le “lungaggini” hanno sempre la loro ragion d’essere) che però a volte vengono illustrati con un gusto eccessivamente coreografico: i pazienti allineati a pelo d’acqua in piscina, la marcia verso la palestra, carrelli e dolly che seguono leziosi il ritmo della colonna sonora, inserti surreali ed onirici. Si avverte il tentativo di Sorrentino di imprimere la propria cifra stilistica lungo tutto il percorso del racconto, di non lasciare nulla al caso (in ogni film è così, o almeno dovrebbe essere), tenendo in tal modo “la vita” imbrigliata in una rigidità di scrittura cui si è dichiarato pubblicamente contrario.
Il senso della naturalità delle cose è quindi sostituito da quello dell’artificiosità, della ricerca ad arte della bella “scrittura” cinematografica. Non mancano momenti di genuina sincerità – come la dura requisitoria che la figlia Leda rivolge al padre compositore Fred Ballinger/Michael Caine – così come non mancavano ne La grande bellezza (i momenti con Ramona/Sabrina Ferilli, la cui storia produce l’unica emozione da ricordare), ma il tutto soggiace all’ansia di imprimere una impronta personale ad ogni scena, di sottolinearne una pregnanza visiva che ne sostanzi quella emotiva. E anche qui Sorrentino (unico sceneggiatore, stavolta senza Umberto Contarello) orchestra la rappresentazione non riuscendo ad evitare il rischio della ridondanza, tematica ed espressiva, e al contempo neanche quello di un’involontaria approssimazione. Alcuni argomenti sono solo accennati e non sviluppati (la parabola esistenziale dell’attore Jimmy, i crucci di scrittura dei giovani collaboratori del regista Mick Boyle/Harvey Keitel, il tradimento di Julian – marito di Leda – con la popstar Paloma Faith, l’incomunicabilità di una coppia matura, le ubbie di massaggiatrici e entreneuse, la rivalsa dignitosa di Miss Universo, gli approcci goffi di uno scalatore), che non riescono a rendere la complessità del reale ma solo ad ingolfare la vicenda principale, senza legarsi ad essa con naturalità. Anche i momenti surreali sembrano assolvere ad una mera funzione esornativa (il concerto dei campanacci, la levitazione del monaco buddista), o banalmente cinefila (l’incubo di Fred che incrocia Miss Universo in una piazza San Marco allagata – e qui Michael Caine sembra la reificazione di un autoritratto di Fellini, mentre la location e le luci rimandano alla pubblicità più logora – ; la rievocazione che fa Mick delle protagoniste dei suoi film, tra i momenti più imbarazzanti dell’opera).
E le circostanze in cui c’è davvero bisogno di calore e umanità sono organizzate rispondendo alla consueta esigenza di esemplarità, a scapito di uno sguardo empatico verso i singoli personaggi (l’urlo muto della moglie mostra tutta la bulimia rappresentativa del regista).
Sorrentino si conferma esperto utilizzatore di musiche inedite e non. Continua il suo affaire con il pop e il rock (e plauso a Paloma Faith che si lascia impietosamente prendere in giro con un falso video pacchiano di una sua hit, simbolo della brutta muzak da classifica), stavolta filmando le performance della Retrosettes Sister Band (da Manchester, dediti al cult del vintage soul) e di Mark Kozelek (presente con ben tre brani) e utilizzando pezzi di Dalida, David Byrne (immancabile), Bill Callahan. A questi si aggiungono brani di Stravinskij, Debussy, Mercadante e le Simple Songs frutto dell’estro di David Lang.
Youth – La giovinezza sancisce la definitiva acquisizione di una cifra ben riconoscibile. Sarà difficile per l’autore napoletano derogare in futuro da questa formula, fatta di soggetti originali, attori internazionali (in questo caso Caine, Keitel, Dano e la Weisz sono garanzia di misura e professionalità; peccato per la parte affidata ad una caricaturale Jane Fonda), movimenti di macchina coreografati su musiche contemporanee fluide ed accattivanti, dialoghi eclatanti, frasi ad effetto. Un cinema che ambisce ad essere un’ambiziosa partitura musicale ma che non riesce – se non in brevi momenti – a dialogare sinceramente con l’anima.

 

 

 

 

 

Youth – La giovinezza
regia Paolo Sorrentino
sceneggiatura Paolo Sorrentino
con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, Alex Macqueen, Ed Stoppard, Paloma Faith, Mădălina Diana Ghenea, Chloe Pirrie, Tom Lipinski, Alex Beckett, Nate Dern, Marc Gessner, Robert Seethaler, Roly Serrano, Sumi Jo
fotografia Luca Bigazzi
musiche originali David Lang
montaggio Cristiano Travaglioli
produzione Indigo Film, Bis Films, Pathé, Number 9 Films, Medusa Film, Barbary Films, France 2 Cinéma, Film4
distribuzione Medusa Distribuzione
paese Italia, Francia, Svizzera, Regno Unito
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2015
durata 118 min.

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