“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 31 May 2015 00:00

Ancora sulle finali di In-Box

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Proseguiamo il nostro resoconto su quanto andato in scena a La Spezia durante le Finali di In-Box, Tre gli spettacoli apparsi in assito come nel giorno precedente, uno di seguito all’altro alternati nei due spazi teatrali spezzini, l’Auditorium Dialma Ruggiero e il CRDD – Teatro della Marina.


Donna non rieducabile
La storia portata in scena è quella di Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata in circostanze mai del tutto chiarite, invisa al regime per le sue battaglie, o più semplicemente per aver interpretato il proprio lavoro ponendolo al servizio della verità. Nel rendere teatro una storia permeata di afflato etico, Elena Arvigo si avvale di una scena sostanzialmente spoglia, unico elemento significativo che giostrerà tra le sue mani, spostandolo, attraversandolo, sedendocisi su, un uscio, una soglia vuota, che pare essere l’unica componente simbolica destinata a condire una narrazione ponderata su elementi concreti, a partire dagli scritti della stessa Politkovskaja, dai suoi resoconti ceceni, dalle sue denunce, dai suoi memorandum.
La soglia virtuale che ella attraversa è quella che separa il vero dal verosimile, la verità vista e vissuta da quella raccontata e inquinata, e rappresenta anche il bilico perenne, quel filo sottile lungo il quale la giornalista ha condotto la sua esiziale danza in nome della verità e dei diritti umani. Elena Arvigo, appassionata interprete del testo approntato per la scena da Stefano Massini, tiene la scena ottimamente per l’ora e venti di monologo (probabilmente meritevole di un’asciugatura), mantenendo una tensione narrativa costante, che però non frequenta variazioni tonali, in un testo che già non possiede scatti drammaturgici che affranchino lo spettacolo dal vizio di forma di certo teatro cosiddetto civile di intridersi di narratio e realtà rendendo marginale la componente teatrale. È per questo che, pur sposando il senso e l’essenza di quanto raccontato, non si riesce ad entrare in empatia con uno spettacolo che appare in scena più come una memoria documentale che come un lavoro drammaturgicamente significativo.

Breve racconto domenicale
Quattro personaggi in scena, tutti e quattro seduti; sono i quattro protagonisti, ma anche i quattro narratori del breve racconto a cui si riferisce il titolo; un testo asciutto per una drammaturgia minimale; forse troppo asciutto e minimale, al punto che, quando termina lo spettacolo si ha come la sensazione di un che d’inconcluso, o comunque di qualcosa che, nella semplicità della sua composizione, tende a voler scivolare via dalla memoria come un quadro d’anticamera, non sufficientemente interessante da meritare l’onor del salotto, benché la mano che l’ha dipinto sia ferma e capace.
Nel complesso al lavoro di Psicopompo Teatro non si possono rimproverare difetti di fattura, ma solo una sorta di peccato originale residente nella sua esiguità di partenza; esiguità che sulla scena non si sostanzia di pregnanza nonostante la buona idea registica di strutturare i quattro personaggi come monadi che concorrono a comporre il racconto, in un sottile gioco delle interrelazioni psicologiche che progressivamente prendono corpo e conducono all’emersione delle dinamiche interpersonali in atto tra i quattro personaggi che – ciascuno seduto sulla propria sedia prima, alzandosi poi – finiscono per tratteggiare bozzetti delle proprie esistenze, ciascuna correlata alle altre per nessi diretti o indiretti. Emergono così le insicurezze, le paturnie, le tenerezze ricambiate e quelle mancate, le attenzioni eccessive e quelle solo vagheggiate, in vite pensate prima che vissute, in desideri larvali prima di poter essere frustrati e di appassire nel tragico acquattato nella quiete irreale di un mattino domenicale.

Le vacanze dei signori Lagonia
C’è un destino nel nome : “Lagonia”, tutt’attaccato,  il cognome dei coniugi messi in scena da Teatrodilina rimanda ad un apostrofo che, mancando, accorpa in un più compatto destino sospeso i due protagonisti: una coppia attempata che trascorre una giornata al mare; una giornata al mare che racchiude un senso ed un significato più profondi, costituendo prodromo e prologo di una scelta estrema, ponderata e minuziosamente programmata; una giornata al mare che costituisce anche (e soprattutto, da un punto di vista strettamente teatrale), l’occasione per inteatrare una storia d’affetto e sentimenti, in cui tenerezza ed ironia si frammischiano e si sovrappongono, raccontando con la modulazione calibrata delle voci e dei silenzi, dei gesti e degli sguardi, i meccanismi ora oliati ora cigolanti di un rapporto di coppia datato, eppure che ancora sa coltivare la tenera malinconia del ricordo ed il gusto della celia condivisa, ma anche la riprovazione del battibecco e la rabbia della maledizione. Eppure il tutto possiede un’ironia amara, a tratti aspra, che fa sì che la giornata al mare dei signori Lagonia non divenga mai né un quadretto idilliaco, né una semplice pantomima grottesca. C’è di più, nella strutturazione di questa drammaturgia di Francesco Colella e Francesco Lagi: c’è un senso del tragico strisciante che mentre si percepisce è esorcizzato dal tono da commedia, dalle iperboli vocali della moglie (un ottimo Francesco Colella en travesti) e dai silenzi e dai consensi appena annuiti del marito (l’altrettanto convincente Mariano Pirrello); il tutto in un clima surreale, in cui il mare non è mare, la spiaggia è di carta argentata e le pinne vengono infilate sulle calze bianche. Ed è così che il senso del tragico rimane perennemente in bilico, evocato di tanto in tanto da accenni alla decisione presa di un duplice suicidio programmato (come quando ad esempio Marisa si preoccupa di come troveranno la casa gli inquirenti dopo l’estremo gesto), fino ad essere completamente sbaragliato dal paradosso comico e da una evoluzione drammaturgica sorprendente che ribalta la prospettiva iniziale e che finisce per comporre una storia dai finali multipli (o almeno come tali percepiti, fino all’applauso definitivo), per lo più funzionali a cambi di scena che corrispondono ad altrettanti ribaltamenti prospettici.
Una drammaturgia sorprendente a cui corrisponde una messinscena congrua, di quello che, insieme ad Amleto Fx di VicoQuartoMazzini, ci è parso lo spettacolo più interessante di queste Finali di In-Box.

Teamina In-Box, con le premiazioni e le menzioni di rito, nel suo clima disteso e fattivo, in una tre giorni di teatro che lascia una scia di vitalità, un solco da seguire e proseguire. In attesa della prossima edizione.
Lasciamo La Spezia sostanzialmente soddisfatti per quello che abbiamo visto, per come lo abbiamo visto, animati dal desiderio e dall’entusiasmo di poterne vedere ancora.

 

 

 

Finali In-Box dal vivo
Fuori Luogo

Donna non rieducabile
di Stefano Massini
progetto di e con Elena Arvigo
a cura di Rosario Tedesco
luci e video Andrea Basti
produzione Santarita Teatro
lingua italiano
durata 1h 20’
La Spezia, Auditorium Dialma Ruggiero, 23 maggio 2015
in scena 23 maggio 2015 (data unica)

Breve racconto domenicale
di Matias Feldman
traduzione e regia Manuela Cherubini
con Luisa Merloni, Marco Quagli, Alessandro Riceci, Patrizia Romeo
immagini e suoni Ale Sordi
organizzazione Camila Chiozza
produzione Psicopompo Teatro
lingua italiano
durata 55’
La Spezia, CRDD – Teatro della Marina, 23 maggio 2015
in scena 23 maggio 2015 (data unica)

Le vacanze dei signori Lagonia
di Francesco Colella, Francesco Lagi
regia Francesco Lagi
con Francesco Colella, Mariano Pirrello
disegno suono Giuseppe D’Amato
scenografia Salvo Ingala
organizzazione Regina Piperno
produzione Teatrodilina
lingua italiano
durata 1h 5’
La Spezia, Auditorium Dialma Ruggiero, 23 maggio 2015
in scena 23 maggio 2015 (data unica)

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