“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 01 February 2015 00:00

L'eleganza della vendetta

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È arrabbiato, molto arrabbiato. È un killer “a riposo” pronto a riesumare i ferri del mestiere per mettere a punto una terribile vendetta. Lui si chiama John Wick e ha il volto di Keanu Reeves. Svestiti i panni dell’Eletto di Matrix e quelli dell’ascetico Siddartha ne Il piccolo Budda, a cinquant’anni (e non sentirli!) l’attore “faccia d’angelo” di Sweet November si presenta sullo schermo nei panni di un assassino senza scrupoli, che ammazza con la naturalezza che avrebbe chiunque altro nel saltare una pozzanghera.

E il pubblico gli crede. Volto leggermente (ma non troppo) segnato dagli anni che sono trascorsi, e fisico appena irrobustito, ma quel poco che basta per trasformare un ragazzino in un uomo, Reeves incarna perfettamente il ruolo di un individuo disincantato e stanco che vede naufragare la speranza di emanciparsi da una vita segnata dalla violenza e vissuta gomito a gomito con la malavita.
John Wick è un film di David Leitch e Chad Stahelski, presente nelle sale italiane dal 22 gennaio. Il solito film che parla di vendetta? Assolutamente no, perché, accanto al tema del “rendere pan per focaccia”, la pellicola presenta tanti spunti ironici, piccole chicche che rendono quello poteva essere un film “fracassone” come tanti, un piccolo gioiello. John Wick è un ex killer professionista che lavora con la malavita. È un uomo stimato nel suo ambiente, talmente rispettato che, quando decide di lasciare il lavoro per amore di una donna, nessuno ha da ridire. La moglie, però, muore per una grave malattia, ma gli fa consegnare un cagnolino per fargli compagnia, ultima testimonianza del suo amore. Wick si attacca all’affetto del quadrupede e si predispone a ricominciare un’altra volta la sua vita, da solo, ma ancora da persona onesta. Il suo passato, però, lo perseguiterà. In una stazione di servizio litiga con Iosef, giovane delinquente, che si scoprirà essere il figlio di Viggo Tarasov, il boss con cui Wick ha lavorato per anni, che con fare strafottente e troppo sicuro di sé gli offre dei soldi per la sua macchina, una Mustang d’epoca. Non soddisfatto del diniego ricevuto, nella notte, Iosef con un suo scagnozzo, irrompe in casa sua, lo riempie di botte, gli uccide il cane e gli ruba la macchina. Questo è l’antefatto, consumato brevemente nei primi minuti della pellicola, che scatena la furia del protagonista (non per niente il sottotitolo del film recita “non provocarlo”).
John/Reeves recupera tutto il suo arsenale e parte per la sua vendetta che ha come obiettivo l’uccisione del giovane e sprovveduto Iosef, ma che causerà, prima del suo compimento, molte più morti. Wick ha anche bisogno di una base a cui appoggiarsi. Prende una stanza in quello che sembra un hotel, ma in realtà non è altro che una comunità di assassini, una zona franca dove questi possono riposarsi tra un omicidio e l’altro. È un albergo che ha le sue regole: al suo interno, infatti, non sono ammessi omicidi o vendette tra killer, pena l’espulsione previa eliminazione fisica. È questa la trovata che regala al film la sua particolarità e gli dona l’ironia che basta per far sì che il pubblico non lo prenda troppo sul serio. Nell’albergo, bisogna dirlo, c’è anche un medico, in servizio ventiquattro ore su ventiquattro, pronto a curare le ferite provocate dagli “incidenti sul lavoro”. Magistrale, inoltre, la figura del concierge che accoglie i clienti/assassini senza battere ciglio, con la stessa educazione formale degna di un qualsiasi hotel a cinque stelle. Da qui comincia la vendetta vera e propria del protagonista. Lo spettatore assiste a un crescendo di violenza tra sparatorie e lotte a mani nude, che poco ha di trash o di splatter, ma che, al contrario, viene perpetrata dal protagonista con estrema precisione ed eleganza, anche perché – va detto – un killer che si rispetti, veste sempre in giacca e cravatta. Ad accompagnare questo liberatorio spargimento di sangue è un rock aggressivo quanto ritmato che scandisce il tempo dei colpi di pistola. La morte, insomma, va a tempo di musica e le lotte corpo a corpo e le sparatorie hanno l’eleganza di una coreografia orchestrata nei minimi dettagli.
John Wick, inutile dirlo, otterrà la sua vendetta, anche se a un costo molto alto. Perderà, infatti, il suo unico amico, Marcus, interpretato da Willem Dafoe, l’unico che non lo tradirà nemmeno quando su di lui verrà messa una taglia da due milioni di dollari. Sarà l’unico a vegliare su di lui e a proteggerlo, permettendogli di portare a termine la missione. Insomma, la vendetta si compie e, tutto sommato, si può dire anche che giustizia è fatta, anche se con metodi poco ortodossi. Peccato per il finale, tirato un po’ per le lunghe come se il regista non sapesse come porre fine al massacro, e che non è all’altezza delle aspettative che si creano durante la visione.
Lo spettatore va comunque via dal cinema contento perché, se è vero che nel mondo reale non si può rispondere ai soprusi (chi non ne è vittima di tanto in tanto?) impugnando una pistola, è quanto meno liberatorio assistere a una simulazione tanto veritiera.

 

 

 

 

John Wick
regia David Leitch, Chad Stahelski
sceneggiatura David Kolstad
con Keanu Reeves, Michael Nyqvist, Alfie Allen, Willem Dafoe, Dean Winters, Adrianne Palicki, John Leguizamo, Daniel Bernhardt, Bridget Moynahan, Jason Isaacs, Ian McShane, Lance Reddick, Bridget Regan, David Patrick Kelly, Clarke Peters, Keith Jardine, Kevin Nash
produttori Basil Iwanyk, David Leitch, Chad Stahelski, Eva Longoria, Mike Witherill
distribuzione M2 Pictures
musiche Tyler Bates, Joel J. Richard
paese Stati Uniti
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2015
durata 101 min.

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