“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 20 January 2015 00:00

Parata di paradossale umanità

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Il piccolo palcoscenico del Centro Teatro Spazio di San Giorgio a Cremano e il sipario verde, che si apre e si chiude cinque volte per raccontare altrettante storie apparentemente ordinarie, sono il microcosmo di Human Parade n.1 di Antonio Iavazzo.
Il nome della performance è indicativo di ciò che verrà mostrato sul palco, cioè una parata, una breve carrellata di tipi umani che nell’arco di una scena presentano il loro mondo e i loro abissi esistenziali: le prime due storie, infatti, riflettono questo assunto.

La prima vede un uomo ben vestito uscire dal sipario ancora chiuso e collocarsi sul proscenio a sinistra, su uno sgabello alto. È un uomo ancora giovane, un comune impiegato, dalla vita e dalle aspirazioni ordinarie. È una vita condotta su un’assoluta mancanza di consapevolezza che si manifesta in una serie di “non so” monocordi. Anche la confessione del delitto commesso poche ore prima ai danni di una donna anziana come la madre con cui ancora viveva è raccontato senza pathos, senza tradire emozioni, senza cercare una reale motivazione o una giustificazione salvifica. Una vita avvilente senza il bagliore del dramma.
La seconda scena è la breve storia triste di una prostituta, interpretata da un giovanissimo attore, dall’attillato abito nero che fende lo spazio avvolta in un lenzuolo bianco mentre accenna a passi di danza cantando sulle note di una musica francese di altri tempi. Si rivolge spesso a Rogna e a Desiderio, due nomi comuni che appartengono alle lettere maiuscole a designare un ragazzo che ha accolto in casa sua facendosi chiamare “mammina”, mentre il secondo è forse un animale domestico. Una vita desolante, anche questa artificiosamente condotta dal bisogno che terminerà sotto quel lenzuolo bianco tra spasimi di morte. Questa volta la recitazione è struggente, ma risente in qualche punto di un’ eccessiva enfasi e di movimenti scenici non sempre convinti.
Dalla terza scena in poi si assiste ad un ribaltamento delle situazioni esistenziali precedenti che disorienta perché, probabilmente, ci si ostina a cercare un senso tra di esse. Se i quadri precedenti si relativizzano in un’umanità attuale, il terzo personaggio sulla scena entra accompagnato dalla musica di Angelo Branduardi. È un giovane cavaliere medievale, come si intuisce dalla croce rossa sulla camicia bianca, ma si vede subito il suo essere un crociato improbabile nei pantaloni maldestramente infilati nei calzini bianchi, nel cucchiaio che pende come se fosse una spada dalla cinta fissata con una spilla da balia e dal cappellino turco che si trova in qualsiasi negozio di souvenir. La scena presenta solo un leggio a sinistra, dove il cavaliere si posiziona per leggere e declamare con tono aulico la storia assurda di una battaglia tra cristiani e saraceni con frequenti digressioni in basso vernacolo partenopeo. La storia narrata vuole essere la parodia sconclusionata alla maniera dell’Armata Brancaleone e il giovane attore riesce a passare con disinvoltura da un tono all’altro, ammiccando al pubblico nella giusta misura, senza esitazioni nel ritmo serrato della narrazione, infatti la platea ride molto divertita.
La quarta storia è della tipologia assurdo-paradossale meno contestualizzata delle altre. Presenta un barman allegro e canterino dalle spiccate doti deduttive che analizza rapidamente i più piccoli dettagli del suo cliente per raccontargli non solo quello che gli è già accaduto, ma anche prevedendo le mosse future del giovane avventore, solo che non tutto finirà così come lui aveva puntualmente vaticinato.
L’ultimo episodio è ambientato nel vetusto salotto del Čechov di Proposta di matrimonio, dove un padre ed una figlia, piccoli proprietari terrieri, accolgono come ospite uno strampalato spasimante. Si assiste ad una parodia della vicenda cecoviana che enfatizza le ossessioni materialistiche dei personaggi. La loro caricatura diventa volutamente esagerata (aggiungo inutilmente esagerata), soprattutto nell’interpretazione dell’unico ruolo femminile che è l’imitazione un poco stucchevole di Anna Marchesini.
Quindi, queste cinque storie, sono legate tra loro solo attraverso una presentazione temporanea diacronica, sconnesse non solo tra loro, ma anche all’interno del loro contesto.
Nel complesso è uno spettacolo godibile, che scorre nei suoi cento minuti circa senza rallentamenti del ritmo grazie sicuramente alla bravura degli attori, abbastanza padroni del gesto e del movimento scenico ma, passando da un piano letterale ad uno simbolico-allegorico, l’operazione di decodifica diventa più lenta e forzata.
Un piccolo appunto è doveroso nella cura degli abiti che non è sempre precisa, soprattutto nell’ultima storia in cui la giovane fanciulla, sotto un abito adatto all’epoca, indossa un paio di stivaletti molto moderni nella foggia e nel colore.
Forse perché si voleva sottolineare la caricatura della caricatura?

 

 

 

 

 

Human Parade n.1
di
Antonio Iavazzo
regia Antonio Iavazzo 
assistente alla regia Alessia Gambella
con Giovanni Arciprete, Vincenzo Di Marco, Andrea Iacopino, Raffaele Iavazzo, Luigi Leone, Claudia Orsino, Angelo Rotunno 
direttore della fotografia Vittorio Errico
produzione Il Colibrì & Il Centro Pro Arte
durata 1h 40’
San Giorgio a Cremano (NA), Centro Teatro Spazio, 17 gennaio 2015 
in scena dal 16 al 18 gennaio 2015

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