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Sunday, 30 November 2014 00:00

To the end of... violence

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Posto che non ci attarderemo, ora, a rispondere a domande su cosa sia il cinema dal punto di vista tecnico, o industriale, o ancora, sociale, politico e culturale, vogliamo provare a scrivere, questa volta, della funzione comunicativa del cinema; che poi, in realtà, non prescinde dagli aggettivi elencati sopra.
Ma in fondo, che significa comunicazione cinematografica? Quando si può dire che un film ha assolto al suo ruolo comunicativo? Qualcuno potrebbe dire che una comunicazione avviene sempre, a prescindere da cosa viene proiettato sullo schermo; e questo tecnicamente sarebbe corretto, ma noi ci vogliamo divertire, per un attimo, a giocare e scartare teorie altre, per proporne una, forse un po' snob e settaria, sicuramente già enunciata da illustri pensatori, di cui però sentiamo fortemente il bisogno. Vogliamo porre un principio a priori per poter poi scrivere, con lucidità e convinzione di Miss Violence di Alexandros Avranas.

Il cinema assolve al suo ruolo comunicativo solo quando è in grado di porre in realtà storie necessarie; e per storie necessarie intendiamo storie di cui l'animo avverte il bisogno, di cui la mente si sazia e alla cui visione il corpo non può non fremere e sussultare. Tutto il resto è scarto.
Alexandros Avranas è un grande comunicatore. Ci vien da pensare che l'essere cresciuto in una terra, la Grecia, violentata dalla corruzione, le cui unicità, bellezza e preziosità hanno ceduto il passo alla sciatteria amministrativa, una terra denudata e abbandonata alla mercé di altri Stati, di altri interessi e mitteleuropei diktat finanziari, figlio di un popolo che stupisce per dignità e coraggio, di una civiltà che ha, veramente, esportato la democrazia, abbia, in qualche modo, determinato la forza del suo sguardo; uno sguardo attento, rigoroso, preciso e, realisticamente, spietato; uno sguardo in grado di svelare relazioni occulte e corruzioni, di denunciare perversioni e violenze. Il taglio delle inquadrature – strette fino a scalpare le teste – la focalizzazione della macchina da presa sulle figure umane, la scelta di privilegiare gli interni, evidenzia l'intenzione registica di limitare – nel senso di tracciarne i confini – la vita familiare. Perché di famiglia si tratta, o per meglio dire, ad occhi distratti sembrerebbe tale.
C'è un padre-nonno padrone (Themis Panou, Coppa Volpi come miglior interpretazione maschile), che agisce ogni genere di violenza su chi condivide il suo stesso tetto: è violenza fisica, sessuale, economica, psicologica e assistita. Un padre-nonno padrone, ragioniere a termine, bastardo stabilizzato. Una bestia con abiti da uomo. Un immondo esercitatore di potere che è riuscito, con il terrore, ad instaurare legami di connivenza e sottomissione, di omertà e patologica complicità. Colpisce la colonna musicale che affida al Leonard Cohen di Dance Me to the End of Love la scena del suicidio di Angeliki (figlia-nipote di undici anni), che segna l'inizio della narrazione; c'è molto in quelle frasi: "Oh let me see your beauty when the witnesses are gone, let me feel you moving like they do in Babylon, show me slowly what I only know the limits of. Dance me to the end of love", che non siamo ancora in grado di prevedere ma che brucerà, a fuoco vivo, le nostre membra; e colpisce ancor di più L'italiano di Toto Cutugno, a sigla del marciume paterno in uno dei luoghi più repellenti del film, una canzone che dice del, solo apparente, benessere italiano; l'inno al patriottismo ha come risultato l'annichilimento dello spirito davanti a quel che si presagisce, ed allora suona più come: lasciatemi sfogare, ho la tua vita in mano, lasciatemi sfogare, ti sto annientando piano piano, lasciatemi sfogare, sono un pezzo di merda disumano. Eh sì, ci sono spietati giudizi morali nelle nostre parole: bestia, marciume, repellenti, merda; perchè la comprensione, ammesso che ci possa essere, arriva dopo, prima è forte la rabbia e l'istinto omicida, sì, proprio così, siamo seduti sulle nostre, più o meno comode, poltroncine rosse e vorremmo poter fare giustizia con le nostre mani. Miss Violence è un film che non ti molla mai, sei sempre lì con il fiato sospeso a sperare di non aver capito bene, a pregare che, le tue, siano previsioni sbagliate, perché non si può arrivare a tanto, sarebbe disumano; è disumano! È disumano il silenzio di Eleni (madre) di fronte all'implorante miagolio di Alkmini (sua figlia di iotto anni); ci squarcia il petto perché in quello sguardo vinto, in quella carne piagata e deflorata ci sono gli occhi e il corpo dei nostri figli, dei figli dei nostri figli, di tutti i figli del mondo. È disumana la complicità delle donne-mamme-nonne a danno di altre donne, di altre figlie, di altre nipoti. È disumano il ruolo dei soldi sulle vite degli uomini, È disumana l'omertà. È disumana tutta la violenza che si mostra, senza veli, in questa opera seconda del regista ellenico, Leone d'argento a Venezia. È il racconto del disumano umano, ma ci ha fatto tanto bene fruirlo, usciamo dalla sala cinematografica profondamente turbati ma più ricchi di prima. Siamo incazzatassimi e frustrati, sconvolti, senza parole ed agitati ma maggiormente consapevoli. Non v'è dubbio sulla capacità comunicativa del lungometraggio e di chi l'ha girato. La reazione è la stessa che ci provocò l'incompleta trilogia della morte di Pasolini, l'amara presa di coscienza al Fine di tutto il neorealismo italiano.
Scegliamo di non scriverne la trama, rischieremmo di banalizzare le scene selvagge a cui abbiamo assistito, rischieremmo di non suscitare sufficiente curiosità; crediamo invece sia un film assolutamente da vedere, da proiettare nelle scuole, nei bar al posto della pay-tv sportiva, nelle Chiese, nelle palestre, nei centri estetici e nelle piazze dei più remoti paesi delle remote province del Mondo. È un film necessario ed urgente che non può essere etichettato come “a favore” o “contro” questo o quell'altro principio; è un film che dice il vero nel modo più vero possibile, e proprio per questo sconvolge, inquieta e disturba a tratti; perchè la verità fa male, ma non possiamo nasconderci, come gli struzzi, con la testa sotto la sabbia, non possiamo fingere di non conoscere le brutture dell'uomo, non possiamo scegliere di chiudere occhi e orecchie; l'uomo è tale, solo se è uomo accanto all'uomo, con l'uomo in mezzo all'uomo, dalla parte dell'uomo; altrimenti è bestia.

 

 

 

Miss Violence
regia Alexandros Avranas
sceneggiatura Alexandros Avranas, Kostas Peroulis
con Themis Panou, Rena Pittaki, Eleni Roussinou, Sissy Toumasi, Kalliopi Zontanou, Constantinos Athanasiades
fotografia Olympia Mytilinaiou
montaggio Nikos Helidonidis
paese Grecia
lingua originale greco
colore a colori
anno 2013
durata 98 min.


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