“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 29 November 2014 00:00

Sono dietro di te (parte 6)

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CAPITOLO 5

Quella sera ci incontrammo in centro. Nordavalle è un piccolo paesino che conta solo 15 mila abitanti, ma c’è un po’ di tutto, e soprattutto degli ottimi bar che, dato il freddo invernale, elargiscono con generosità bevande super alcooliche a pochi spiccioli. Barbara esordì immediata: “Voglio bere”. Andammo a “La caverna del mastro birraio” e, sedutici su queste vistose panche di legno massiccio, ordinammo un paio di birre. “E così vieni dal sud” le dissi, “Sì. Da Pescatratta. Sai com’è, lì non c’è molto per programmarsi il futuro e poi dovevo andar via per quella brutta storia. Ma stasera non voglio parlare di cose tristi. Raccontami un po’ di te” e spalancò di nuovo il suo sorriso. “Io sono sempre vissuto qui nella noia più completa e quindi non c’è molto da dire. Dopo il diploma ho fatto qualche lavoretto saltuario per poi specializzarmi come infermiere ed eccomi qua ad aspettare la svolta.” – “Mmm, mi interessa particolarmente la svolta, potresti averla trovata” fece lei ammiccante, “diciamo che ci sto lavorando” le risposi sorridente.

 

La serata stava scivolando in un piacevole flirtare. Alla quarta birra poi incominciò a parlarmi di Freud, Jung, Socrate ed i suoi vecchi amici universitari. Iniziavo un po’ ad annoiarmi ad essere sincero. Erano passate tre ore circa dal nostro incontro e così, di comune accordo, facemmo per andar via. La riaccompagnai a casa a piedi, abitava a pochi isolati da lì. Decisi di fare il primo passo e nel momento di salutarla mi avvicinai al suo viso e le diedi un bacio. Lei mi assecondò allungandosi in avanti e stringendomi leggermente il braccio con una mano. Poi sorridendo aprì il portone e superandolo disse: “Domani non ci sei, vero?” – “Sono di riposo” – “Allora ci sentiamo sul cell?”, al bar tra una chiacchiera e l’altra ci eravamo scambiati i nostri numeri. “Sicuramente” dissi io. Dopo esserci detti per l’ennesima volta ciao chiuse il portone ed io mi avviai a nuova destinazione. Inizialmente ero propenso a tornarmene a casa, avevo delle patatine ed un po’ di cola in frigo, pensai che abbinarle ad un vecchio film non sarebbe stato male, ma una volta giunto sul pianerottolo mi venne un desiderio diverso. Per tutta la strada di ritorno rimuginavo sul bacio che mi ero appena scambiato con la mia collega. Mi sentivo vagamente eccitato, diciamo che mi stava sopraggiungendo una certa voglia, così davanti alla porta feci retromarcia e corsi verso la macchina. Erano circa le 2 del mattino (o della notte, dipende dai punti di vista) e avevo voglia di uccidere.

La cosa fondamentale per sviare gli indizi è non uccidere mai nel luogo di residenza (ma anche di domicilio), così mi incamminai ad ovest di Nordavalle e la superai. Mi sparai 230 km in 2 ore, paese per paese. Di notte guidare mi rilassa e preferisco la strada lunga all’autostrada. Arrivato a Maiorano intravidi un cagnolino. Le strade fino a quel punto erano state deserte, ma dove c’è un cane potrebbe esserci un padrone, un barbone magari. Fermai la macchina in una buia piazzola. Maiorano è una grossa città, una metropoli, forse la più importante del nord, ricca di sfarzi tanto quanto di luoghi bui e degradati. Ovviamente ero in uno di questi. Seguii il cane passo passo ed ebbi ragione. Il bastardello mi portò dietro un cassonetto dei rifiuti dov’era sdraiato un vecchio clochard.  Il vecchio stava dormendo ed il cane gli si accucciò di fianco mordicchiando una pizzetta trovata nei rifiuti. Mi allontanai un attimo per pensare. Dovevo occuparmi prima del cane, si sarebbe messo ad abbaiare sicuramente non appena mi fossi avvicinato al padrone. Aspettai dunque che finisse la pizzetta, poi presi a rovistare nell’immondizia senza sporcarmi troppo. Trovai per mia fortuna uno snack al cioccolato, metà a dire il vero, e incominciai a sventolarlo sul muso del piccolo meticcio che pian pianino mi venne in contro tutto scodinzolante. Ci allontanammo di circa 200 metri, mi sembrava una buona distanza. Lasciai il cioccolato sull’asfalto e mi portai alle spalle del cane che, tutto contento, iniziò a masticare. Mi bastò assestargli un calcione in testa per farlo accasciare. “Ho fatto bene a mettere gli anfibi” pensai. Il cane era ancora vivo, ma agonizzante. Non volli infierire, lo presi in braccio lasciando che la testa penzolante facesse defluire solo sull’asfalto e non sui miei vestiti il suo sangue che gocciolava copioso dall’occhio e dal muso. Non era lui la mia preda, mi interessava solo che fosse fuori combattimento, così lo gettai nel bidone dove in precedenza mi aveva portato e una volta chiuso mi concentrai sul puzzolente vecchietto che seguitava a dormire. Lo svegliai con un pugno ben assestato sul naso. Il barbone si svegliò di soprassalto ed accennò un mugugno, forse voleva urlare, ma io gli strozzai immediatamente l’urlo in gola iniziando a stringergli fortemente il collo. Il vecchio mi guardava fisso negli occhi, ma non c’era terrore nel suo sguardo. Una volta cosciente di quel che stava accadendo mi sembrò quasi indifferente. Continuava a fissarmi, ma aveva un’espressione disinteressata. Le mani gliele avevo bloccate con il peso delle mie ginocchia che le stavano addosso, ma non sentivo cenni di reazione, forse avrei potuto anche fare a meno di bloccarlo. Mi fece ricordare Margaret e la sua apatia, eppure gli ci vollero quasi 2 minuti per schiattare.

Tornai velocemente in macchina, facendo attenzione a non calpestare le tracce di sangue che aveva lasciato il cane. Era ormai l’alba quando tornai a casa. Una doccia veloce e poi accoppiata film e patatine. Barbara mi aveva appena mandato un messaggio: “Sto per andare a lavoro, mi piace pensare che quando ti sveglierai troverai il mio buongiorno, goditi questa giornata di riposo, tu che puoi. Ti invidio hahaha, a proposito; buongiorno”. Carino, pensai, poi mi addormentai serenamente. Il giorno dopo e l’altro ancora comprai vari quotidiani in cerca della notizia del vecchietto e del suo cane. Neanche l’ombra, c’erano per lo più le ultimissime del calciomercato invernale, le elezioni politiche e le indiscrezioni sulle corna dell’ultima velina in voga. La vita che conta continuava alla grande.

Anche della mia vita, in fin dei conti, non mi potevo lamentare. Avevo un lavoro, guadagnavo abbastanza bene e ciò mi permetteva di togliermi ogni voglia. Intendiamoci, non è che potessi permettermi una vacanza di un mese a New York o una Ferrari, ma nemmeno le desideravo. Mi bastava avere la possibilità, di tanto in tanto, di comprarmi un bel film, un elettrodomestico utile, pagare una puttana dell’est, qualche giochino next generation per consolle e il pieno di benzina in macchina sempre pronto. In più, adesso sembrava che avessi anche una ragazza. Insomma, niente di cui lamentarmi. Tornai a lavoro tranquillo e rilassato. L’omicidio di due sere prima mi aveva scaricato alquanto. La vecchietta Margherita, che era arrivata pochi giorni prima, mi raccontò tutta la sua storia. La guerra, gli amori, i tempi che sono cambiati, eccetera. Io la ascoltavo con finto interesse, annuendo di tanto in tanto e facendole qualche domanda, insomma mettevo in atto la già descritta tecnica per sembrare interessato. Poi alla fine mi disse: “Comunque ho saputo, complimenti”. Capii immediatamente che si riferiva alla mia relazione con Barbara. “Ah, la collega le ha raccontato?” – “… e già.”. La vecchietta era tutta contenta di essere partecipe di un nostro segreto. In effetti, la faccenda era un po’ delicata. Non era la cosa migliore far sapere all’equipe sanitaria che due colleghi avevano una relazione sentimentale, situazione per niente professionale. Mi pare infatti ci sia una sorta di etica che vieta a persone legate sentimentalmente di lavorare nella stessa struttura sanitaria, o forse è addirittura una legge scritta, non saprei con certezza. Ad ogni modo Barbara era stata imprudente, anche se, ad onor del vero, a livello giuridico niente ci legava, voglio dire, non eravamo certo sposati. Comunque, la vecchietta sembrò leggermi nel pensiero e disse: “Non preoccuparti, non dirò nulla. Barbara mi ha fatto una confidenza, facendomi capire che era meglio non farlo sapere in giro. Quanto è dolce quella ragazza. Stai tranquillo, ho capito che potrebbe crearvi qualche problema qui a lavoro se i vostri colleghi venissero a saperlo. Sarà il nostro segreto”. Dopo queste parole pensai che in realtà la faccenda mi avrebbe legato ancora di più a questa preda. Da tempo infatti cercavo il modo di entrare nelle grazie di Margherita. Era sicuramente molto gentile e affettuosa, la classica nonnina, ma certamente non sarei potuto andare a casa sua una volta dimessa solo perché ero stato uno dei suoi infermieri per un paio di settimane. Questo piccolo segretuccio invece apriva interessanti prospettive; avrei potuto confidarmi con lei sulla mia relazione, chiederle consigli, insomma tutto quel che serve per instaurare un rapporto più stretto. E, di fatti, così feci. Margherita mi ascoltava divertita e i giorni passavano tra un racconto suo del passato ed uno mio del presente. Intanto con Barbara la storia andava avanti, uscivamo regolarmente ogni volta che ne avevamo la possibilità, a volte cercavamo di far combaciare la turnistica e non sempre era facile. Diciamo comunque che nel giro di quasi un mese uscimmo almeno una dozzina di sere completando poi questa nostra frequentazione con un tetè a tetè a casa sua, dove finalmente facemmo sesso. “Ma tu non hai sempre detto che gli uomini sono tutti degli stronzi e che per questo motivo non avresti mai più avuto una relazione?” feci io, e lei sorridendo: “Bèh, in realtà ho sempre detto che sarei rimasta single, non che non avrei mai più avuto una relazione. Comunque la gente cambia, se non te ne sei accorto” – “Questa tua affermazione ‘la gente cambia’ si riferisce al fatto che tu hai cambiato idea e vuoi quindi farmi capire che per te la storia è seria, oppure, ‘la gente cambia’ in generale ed io sono poco attento ai processi di movimento e mutamento del mondo?” – “Hahahaha, ma che dici?” – “Cerco di interpretare quello che dici tu” – “Mmmm, ma che bravo, abbiamo uno psicologo nel letto stasera” – “Hehehe, diciamo che ce ne sono due, sei tu quella che ha bazzicato l’università” – “Hahahaha, bazzicato?!, ma come ti permetti, villano, hahaha. Ho un’idea; che ne dici se organizzo una cenetta con i miei vecchi amici universitari? Secondo me ti piaceranno un sacco e potrai dar sfogo a tutti i tuoi sillogismi logici di cui dici di essere tanto appassionato” – “E vada per la cena con gli amici. Vorrà dire che mi metterò a leggere un po’ di libri in questi giorni per tenermi pronto per l’interrogazione di questi professori” – “Hahahahaha, che scemotto”. La notte passò così, ridemmo e scherzammo tutto il tempo. Barbara non mi parlò mai più delle cose brutte del suo passato ed io non le chiesi mai nulla a tal proposito. Stavamo bene e all’alba facemmo di nuovo l’amore.

Il pomeriggio successivo (se non ricordo male) eravamo entrambi di riposo e decidemmo di andare al cinema. Il film era: Una donna, due sorelle * (questo lo ricordo bene). Era un film degli anni 70, mi pare del 77 ad essere precisi. Narrava la storia di queste due sorelle gemelle che litigano per lo stesso uomo. In effetti succede questo: il film inizia con le due donne che stanno facendo sesso con due uomini, in luoghi separati, ma allo stesso tempo uniti, nel senso che le gemelle provano contemporaneamente sia il proprio piacere, sia quello che sta provando la sorella da un’altra parte del mondo con un altro uomo. In questo indubbiamente è bravo il regista (chiedo scusa se non ne ricordo il nome) che usa sapientemente sincronismi, sovrapposizioni d’immagini e dissolvenze incrociate per rendere l’idea di totale simbiosi tra le due sorelle. Questa sequenza occupa all’incirca i primi 3 minuti del film, mentre lentamente appaiono in sovrimpressione i titoli di testa. Per tutto il resto del film non si fa più alcun riferimento a questa scena ed al suo significato. L’autore qui, a mio avviso, più che mostrare la classica relazione fisica tra gemelli suggerisce la totale affinità ed empatia che le due donne reciprocamente provano. Successivamente le due sorelle decidono di fare un esperimento; adescare singolarmente un uomo per poi scambiarselo senza che lui se ne accorga. Il problema  è che entrambe se ne innamorano. Ne segue quindi un tremendo litigio che si mantiene comunque nei limiti dello scontro dialettico. In tutto questo l’uomo, un quotato professore di chimica, ancora ignaro di quanto stia accadendo, decide di proporre alla donna (le due sorelle) di convivere. Iniziano qui una sequela di equivoci ed intrecci che spostano a tratti il film sui binari della commedia rendendo il tutto ancora più grottesco, l’idea della convivenza, ad esempio, viene comunicata solo ad una delle due donne, Laura, mentre l’altra, Carrie, ne è ignara. È a quest’ultima però che l’uomo chiede di sposarlo. Insomma, tutta una serie di avvenimenti che servono ad esasperare la situazione. Ad un certo punto però, com’è ovvio che sia, circa dopo un’oretta di film, i nodi vengono al pettine e l’ignaro uomo diventa consapevole di quanto avvenuto finora. Questo avviene semplicemente perché un giorno, per caso, le intravede insieme (cosa che le due donne sempre accuratamente avevano evitato sin qui) dai vetri di un grosso negozio di scarpe (anche questo può essere un messaggio simbolico dell’autore; i nostri vizi, come quello di acquistare un superfluo paio di scarpe, ci rendono banali e vulnerabili). A questo punto l’uomo escogita un piano, dare ad entrambe lo stesso appuntamento. Per farlo deve prima però capire chi è l’una e chi l’altra. Ci riesce applicando nel sonno ad una delle due una sostanza chimica nei capelli che li rende più ruvidi al tatto. Le due sorelle vengono in questo modo messe faccia a faccia con la realtà, rappresentata dall’uomo. Il finale che ne consegue è esasperato e portato ai limiti dell’assurdo. Anziché tornarsene con la coda tra le gambe, le due donne si battono per l’uomo. Combattono nel vero senso della parola, con pugni, calci e tirate di capelli, poi una delle due riesce ad agguantare delle grosse forbici e attacca l’altra. L’uomo, vista la brutta piega, interviene e si becca una bella infilzata nello stomaco. Questa basta a placare la terribile rivalità delle due donne, ma anziché soccorrere l’uomo decidono di lasciarlo morire dissanguato. Nell’ultima scena vediamo le due gemelle dal parrucchiere con casco per permanente in testa a sfogliare delle riviste alla moda, intanto i titoli di coda scorrono.

Usciti dal cinema Barbara disse la consueta frase: “Ti è piaciuto?” – “Non è un film che lascia indifferente, credo” risposi io, e lei aggiunse: “Il finale è un po’ troppo eccessivo” – “Ti ha infastidito la scena delle forbici?” chiesi io, “No. Non è quello, è che mi sembra un po’ troppo estremo come finale” rispose. Credo che il senso del film fosse che l’amore, in questo caso il sentimento che entrambe provavano per quell’uomo, sia l’unica cosa in grado di distruggere e soppiantare ogni cosa lo preceda o gli sia di intralcio. Alla luce del finale infatti prende risalto l’inizio del film, quando le due donne  hanno un rapporto così idilliaco da poter vivere le sensazioni che le accomunano anche a chilometri di distanza e amplificarle reciprocamente. Poi l’incontro con questo nuovo amore distrugge a poco a poco il loro rapporto fino all’inevitabile sanguinolento scontro finale. L’unico modo per recuperare il mondo che stavano perdendo era l’annientamento di questo nuovo amore, ma tale annientamento doveva essere casuale. Nessuna delle due infatti sarebbe riuscita ad uccidere volontariamente il proprio amore (l’uomo viene trafitto dalle forbici per sbaglio), anzi entrambe avrebbero preferito eliminarsi a vicenda pur di salvaguardarlo. Una volta però tolto lui, tutto torna come prima. Mi piacque. Era una bella storia, allegoricamente valida (se è corretta questa mia interpretazione) e la sentivo abbastanza vicina al mio mondo. Non dissi nulla di tutto questo a Barbara, anzi feci finta di essere d’accordo con lei e chiusi il discorso dicendo: “Si, hai ragione. È un buon film, ma il finale è troppo esagerato”.

(continua)

 

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