“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 09 October 2014 00:00

La macchina del tempo

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Il computer è già acceso. Ci sistemiamo piano, uno per volta, in modo da riempire tutti i posti disponibili sulle panche di legno. Qualcuno è appoggiato alla parete, qualcun altro ha uno schienale. La tenda si chiude, si fa buio poi si accendono le luci. Si parte! Non ci sono scossoni e il motore non è rumoroso. In realtà non ci spostiamo di tanto: il viaggio che stiamo intraprendendo non lo facciamo nello spazio ma nel tempo. Il Rostocco, stasera, è una macchina del tempo.

Il nostro capitano è vestito di nero, ha un microfono, un leggio e ci chiede di lasciarci trasportare. Noi gli diamo ascolto ed ecco che subito, grazie a lui e alla sua voce che varia, ai suoi gesti che lo trasformano, riusciamo a raggiungere gli anni tra il XIX e il XX secolo. Restiamo a Napoli e la prima persona che incontriamo ha il viso tondo e un bel paio di baffi. Si tratta di un poeta e autore di teatro, si chiama Salvatore Di Giacomo. Attraverso le parole dei suoi versi si materializza l’intera città. Una folla che va e viene lungo la strada, Dio in carne ed ossa che scende dal paradiso per conoscerla, una folla di poveri, sofferenti, afflitti che vengono rapiti in cielo, trasportati da un enorme telo bianco. Sono tutti lì, davanti a noi e il modo in cui li vediamo permetterebbe di fare altrettanto ai due ciechi apparsi dietro un’altra manciata di versi.
Più giovane e affascinante, proprio dietro l’angolo di una decina di anni, riconosciamo Raffaele Viviani e la sua schiera di lavoratori. Poveri e sofferenti anche loro ma con una certa ironia che ci diverte, tranne che nella tragedia di una caduta. Dal quinto piano, una mattina, un muratore. La guerra, invece, con le sue bombe e suoi fucili sembra quasi una salvezza per chi ha fame ed un lavoro non ce l’ha. Noi però ce ne andiamo, lasciamo i paesaggi devastati, avanziamo negli anni.
Così, d’un tratto, è arrivato il momento in cui abbiamo chiuso gli occhi. La voce sembrava proprio la sua. Si lamentava del ragù della sua moglie americana Eduardo De Filippo. Al suo cospetto, uomini e donne dai tratti così ben definiti dalle parole che lui ha creato per loro. Ogni frase detta è un gesto, ogni racconto un’espressione su un volto e quello increspato della vecchina alla finestra è il volto della signora Morte. Quasi ci avesse messi in fuga, torniamo indietro al nostro oggi. Ci imbattiamo nei rasoi di Enzo Moscato, nelle tre prostitute, nei tre bazzeriote e nelle tre facce toste, nei potenti che si servono del popolo e poi lo rinchiudono in prigione.
È la fine del viaggio. Come ogni ritorno a casa, ci portiamo dentro un po’ di nostalgia. La macchina si ferma, la tenda si riapre per farci uscire nel nostro presente.
Quello che Pierluigi Tortora ci propone è la possibilità di conoscere gli autori della nostra terra, ascoltando versi noti e meno noti. La sua più grande dote è la capacità di dare un volto e una voce a tutti i personaggi chiamati in causa. È da solo ma è al centro di una moltitudine di individui che vogliono parlare e farsi vedere attraverso il suo corpo di attore.
L’idea è quella di farci compiere un viaggio nel tempo. Riusciamo a farlo. Riusciamo a percepire atmosfere, luoghi e persone. Un buon inizio di stagione per un piccolo teatro di provincia pronto a venir fuori e accendere i motori per portare gli spettatori ovunque essi vogliano essere condotti.

 

 

 

Incanto napoletano
tratto da Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Eduardo De Filippo, Enzo Moscato
scritto, diretto e interpretato da 
Pierluigi Tortora
lingua italiano e napoletano
durata 50’
Acerra (NA), Teatro Rostocco, 4 ottobre 2014
in scena 4 e 5 ottobre 2014

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