“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 12 August 2014 00:00

Sybille e Valerie tra erotismo e sogno

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Sybille e Valerie, protagoniste rispettivamente del film della regista Nelly Kaplan Néa – A Young Emmanuelle e del film Valerie a týden divu di Jaromil Jireš, nonostante la diversità dell’esperienza erotica che si trovano ad esplorare (le prime mestruazioni per Valerie e il primo rapporto sessuale per Sybille) hanno in comune l’avvicinarsi al proprio corpo e alla sessualità in modo spontaneo, senza veli, al quale si contrappone tutto un castello di costrizioni e tabù sociali che finisce per sgretolarsi, lasciando sotto di sé scarne rovine d’infelicità e frustrazione: il padre di Sybille, pur di salvare le apparenze, è pronto a tollerare la relazione adulterina della moglie con Judith, sua sorella e anche zia della ragazza; il parroco missionario, invece, è ansioso di affondare la sua libidine nel corpo di Valerie – “vomitare il loro disgusto in faccia a ogni prete e di puntare su tutta la genìa dei 'primi doveri' l’arma a lunga gittata del cinismo sessuale” (André Breton, Manifesti del surrealismo, Piccola Biblioteca Einaudi, 1966, 1987 e 2003, p. 39).

Quale rapporto intercorre tra surrealismo ed erotismo? Il movimento surrealista nasce negli anni Venti del Novecento, ma non si deve dimenticare che prima c’era stata la rivoluzione freudiana, l’esordio della psicanalisi. E difatti, Freud aveva intuito che molti degli impulsi repressi che causano le isterie, sono di natura sessuale. Inoltre la nascita del concetto di “inconscio” assume un’importanza fondamentale nel pensiero dei surrealisti. L’inconscio è il terreno delle nostre ombre, dei nostri impulsi bestiali, del nostro vero intimo, sfibrato, ma soprattutto celato, dalle buone maniere borghesi (“Me ne frego delle vostre buone maniere” esclama in una scena del film, Sybille rivolta ad Axel). Ciò diviene evidente anche nel linguaggio, nel rifiuto delle regole grammaticali: “In ogni caso, la punteggiatura s’oppone indubbiamente alla continuità assoluta di quel flusso che ci occupa, sebbene sembri tanto necessaria come la distribuzione dei nodi su una corda vibrante” (André Breton, Manifesti del surrealismo, Piccola Biblioteca Einaudi, 1966, 1987 e 2003, p.34) e difatti Sybille dirà al suo editore: “L’ortografia è un pregiudizio borghese”. In questo modo tutto ciò che è costrizione, schema e modello diventa per gli autori in questione nemico da combattere. Attraverso l’erotismo più autentico e disinibito, “l’amour fou” (André Breton), ci si avvia verso la 'rivoluzione', una sovversione dei pregiudizi borghesi che lo intrappolano e lo ostacolano. L’importanza data all’eros dai surrealisti è evidente: Breton lo definiva “la vie humaine qui a le pouvoir de l’illuminer ou de l’enténébrer, le point de départ er d’arrivé de tout désir, en un mot l’unique justification de la vie” (Dictionnaire du surréalisme, J.P. Clebert, 1996 Seuil). Tenebre che non potranno essere illuminate, se i desideri sono repressi e le passioni smorzate dalle convenzioni.
Nella pellicola di Jireš il rifiuto per questi valori trova espressione nelle fantasticherie e nei desideri inconfessati della tredicenne, insomma, nel terreno fertile dell’inconscio: le atmosfere sono oniriche, tanto che la distinzione tra 'sogno' e 'realtà' è difficile, in pieno spirito surrealista: “nel discorso di Breton, emerge il tentativo di risolvere l’apparente contraddizione-distinzione, che intercorre tra sogno e stato di veglia, assegnando all’immaginazione un ruolo che ordinariamente non le viene riconosciuto” (Renzo Principe, Corpo e Immagine nella cultura surrealista, Bulzoni editore, p. 202).
Molte di queste immagini simboliche contengono allusioni erotiche: Valerie scalza e vestita di bianco nota una margherita perdere gocce di sangue, si accorge così dell’importante cambiamento in itinere nel suo corpo (emette un grido soffocato, quasi di stupore). Nella scena successiva, la fanciulla osserva da lontano altre fanciulle in una piscina scambiarsi effusioni e giocare con un pesce, altro chiaro riferimento sessuale.
Andando avanti, vediamo Valerie vestita di nero (comunemente il colore del peccato, trasmette un senso di 'sporco') giungere di corsa in chiesa dove il demone/vampiro legge il rosario, contrariamente alle altre vergini, tutte rigorosamente in bianco (perché ancora 'innocenti').
La margherita intrisa di sangue ci spiega il significato di quel termine 'settimana' (nel romanzo originale di Nezvàl, da cui il film è tratto, la traduzione letterale recita: Le fantasie di una tredicenne), alludendo alle prime mestruazioni, così come il vino che cade sulla tavola, macchiando di rosso le stesse margherite. Inoltre il titolo “settimana delle meraviglie” introduce l’elemento del meraviglioso: è in questo mondo onirico popolato da vampiri, mostri e incantesimi che Valerie abbandona la fase tanto decantata dai surrealisti, l’infanzia (“Ciò che si avvicina di più alla vera vita è forse l’infanzia; (...) l’infanzia in cui tutto concorreva invece al possesso efficace, e senz’alea, di se stessi" (André Breton, Manifesti del surrealismo, Piccola Biblioteca Einaudi, 1966, 1987 e 2003, p. 43).
Il sogno svanisce nella scena finale, quando la ragazza accompagnata da musiche e danze, in un’atmosfera gioiosa di totale abbandono, si corica sul grande letto nel bosco; ma si è effettivamente trattato di un sogno? Il film così costruito confonde lo spettatore, che per tutto il tempo ha difficoltà a distinguere il sogno dalla realtà. Vi è l’assenza di un tempo determinato: i surrealisti vedono nel cinema la via d’accesso alla rappresentazione dell’inconscio, insistendo sulla cesura e sull'interruzione del continuum narrativo. Fondato sulla capacità di restringere e dilatare il tempo e lo spazio, il cinema è stato in grado di riportare a visibilità il 'meraviglioso onirico', meglio di qualsiasi altra forma di espressione artistica sperimentata dal movimento surrealista. Esso rappresenta “uno sguardo sul mondo che, sotto certi aspetti, è più reale della realtà, poiché fissa il surreale come percezione interiore dell’uomo, in cui onirismo della realtà e realtà del sogno si corrispondono (Corpo e Immagine nella cultura surrealista, Renzo Principe, Bulzoni editore, p. 216). Nella pellicola della Kaplan, il ritorno al tempo 'razionale' è sancito dal rintocco di un orologio a pendolo, nella scena successiva al rapporto sessuale tra Sybille e Axel. Difatti nell’ottica surrealista il tempo, inteso nella razionale successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in crisi dalla percezione umana, che lo annienta. “È cosa nota da sempre che, tanto nello stato di veglia quanto nel sogno, un’emozione intensa comporta la perdita della nozione di tempo” (Evelock Ellis – Renzo Principe, Corpo e Immagine nella cultura surrealista, Bulzoni editore, p. 207). Così come sono annientati i confini tra la vita e la morte, se è vero che “considerando solo il sogno puro, quello del sonno, non è inferiore alla somma dei momenti di realtà, o meglio, di veglia” (André Breton, Manifesti del surrealismo, Piccola Biblioteca Einaudi, 1966, 1987 e 2003, p.17). La perdita di coscienza ricorre nelle numerose 'resurrezioni', delle quali la stessa Valerie è protagonista: nel momento in cui il prete missionario tenta di farle violenza, ella s’addormenta grazie a una perla magica e lo stesso avviene nella scena in cui Valerie sta per bruciare sul rogo: qui, come Sybille, è strega, colpevole erroneamente di aver sedotto il prete missionario; la sua condanna avviene in quanto ormai donna, quindi strega, seduttrice che attira l’uomo verso il peccato. Numerose sono anche le 'resurrezioni' di cui è protagonista la nonna di Valerie: ringiovanisce grazie a un patto col demone, il quale altri non è che lo spettro del suo amore perduto e della passata giovinezza.
Il confine tra la vita e la morte appare ugualmente labile nel lavoro della Kaplan. Ciò che trasporta l’individuo in questa dimensione è l’erotismo. Lo scrittore e filosofo francese Goerges Bataille nell’opera Madame Edwarda, riferendosi all’orgasmo, conia un’espressione molto particolare, lo definisce una “petite morte”  (“piccola morte”): “Raggiungiamo il piacere solo nella prospettiva seppur remota della morte, di ciò che ci annienta”. Per Bataille, il piacere ci differenzia dagli animali proprio per la sua misteriosa assonanza con il buio terrore della morte. Come la morte abolisce qualsiasi tensione alla vita (che si traduce nella cessazione perenne di ogni bisogno e desiderio), così l’orgasmo altro non è che sospensione provvisoria del desiderio, momentanea perdita del proprio io cosciente in una dimensione sconosciuta, una “piccola estasi panteistica” stranamente connessa con il sublime, con Dio, con la morte, quasi un’esperienza mistica vissuta nella carne. A un certo punto dell’opera, la protagonista Edwarda viene colta da una crisi isterica: si dimena, ride, si denuda, poi, senza motivo, comincia a tempestare di pugni il protagonista. Così anche Sybille, presa dalla gelosia nei confronti dell’uomo con il quale ha avuto il primo rapporto sessuale, mette in atto la sua vendetta e nell’ultimo confronto tra i due, la lite accesa raggiunge massime soglie di violenza, alla quale segue la rinnovata fiamma della passione sessuale, coronazione ultima di quest’afflusso di emozioni, o meglio, di pulsioni. Tutto ciò sembra riportare alla luce l’antico conflitto tra eros e thanatos, amore e morte, topos letterario sin dalla cultura classica, ripreso e studiato dal punto di vista psicanalitico da Freud. Secondo Freud l’amore è eros, cioè libido, pulsione che tende allo scarico delle tensioni e al massimo piacere.
A compensazione di questo eterno risorgere delle tensioni e della sofferenza ci sarebbe la pulsione di morte, cioè la tendenza a tornare in uno stato inorganico, uno stato in cui cessano le tensioni e che viene chiamato stato di 'costanza'. Significa che senza la morte, senza cioè la cessazione delle tensioni erotiche, l’amore sarebbe destinato a rimanere perennemente insoddisfatto ed è così finché si vive.
Non è più, in quest’ottica, l’amore contro la morte, ma la morte come fine dell’amore. Le interpretazioni dell’orgasmo come 'piccola morte' ne sarebbero un esempio.
Il surrealismo sposa quest’idea e distrugge i canoni tradizionali dell’amore romantico. L’amore non esiste per salvare gli uomini, ma come il sogno e il sonno lo avvicina alla morte. È una forza oscura e irrazionale, che nulla ha di elevato. Lo s’incontra tutte le volte che va contro le convenzioni sociali e le regole della convivenza, tutte le volte che è autodistruttivo e borderline. È un amore che non corrisponde a una 'misura', amore eccessivo che fa rischiare la morte nelle forme più disparate dal lasciarsi morire d’amore, al suicidio per amore. Non a caso, in una scena di Néa, Sybille dirà al suo amante: ... Stare insieme cinque giorni, cinque settimane, cinque mesi o cinque anni ma in modo completo, comprendi?”. L’amore è la ricerca dell’assoluto.
Con Néa siamo nel 1976 e bisogna tener conto del periodo. Sybille è definita una Young Emmanuelle, protagonista del romanzo omonimo della Arsan, ma la si potrebbe anche più tradizionalmente chiamare una Lolita. Siamo all’alba degli anni Sessanta, precisamente nel 1959, quando appare a Parigi la prima edizione di Emmanuelle, clandestina. Il grande pubblico, senza rendersene conto, è ormai in attesa di un testo che gli sveli infine “tutto ciò che vorreste sapere di questo erotismo di cui si parla tanto e che non avete mai osato chiedere” (una prova ben evidente di questo la si ritrova nel film, in cui si parla di Néa, grand roman érotique come di un capolavoro da milioni di copie).
Tutto è pronto dunque per Emmanuelle, che giunse al momento giusto, nell’anno di Lolita, l’anno appunto in cui l’ultima esposizione del surrealismo assume come tema l’erotismo.
A proposito di Emmanuelle, scriverà André Pieyre Mandiargues: “Come le storie poliziesche o fantascientifiche, gli scritti erotici sono in genere prigionieri di uno schema, di un sistema e di regole a cui fanno riferimento. Ma alcuni sfuggono a questa struttura, infrangono il sistema e le regole”.
Da qui l’intento della Kaplan, così come quello della Arsan, di dichiarare che “l’erotismo non è patologico, ma un aspetto fondamentale della soddisfazione dell’individuo, che non si sente minacciato da nulla, che si dispiega nella sua armonia con il mondo” (Jean-Jacques Brochier). Ed ecco che non è malato l’atteggiamento di una ragazzina che fa spogliare un ragazzino per esaminarne i genitali, che si masturba leggendo un libro, che spia un rapporto omosessuale, che copula con un uomo sposato e molto più grande d’età.
Per lo spettatore non a caccia di sdegno, nella pellicola della Kaplan, come del resto nel romanzo di Nabokov, il problema dell’amore apparirà molto più forte dei tabù che la regista propone di abbattere (ma a questa categoria non dovevano appartenere i critici del periodo, che lo punirono con la censura). Nel romanzo di Nabokov, dietro al desiderio di Humbert c’è la volontà di fermare i momenti belli della propria giovinezza. C’è una forte spinta narcisistica: è come dire che Lolita rappresenta il tempo che vuole fermare, la propria gioventù. Dietro all’amore di Humbert per Lolita, c’è il ricordo di un amore perduto durante la giovinezza e il desiderio di riportarlo in vita. Così anche in Axel Thorpe, il ricordo della madre che lo aveva abbandonato (in una scena del film, Sybille scopre una stanza piena di oggetti e foto di lei), sembra aver profondamente segnato la sua vita affettiva e forgiato la sua incapacità di amare – altro spunto di riflessione preso in prestito dalla psicanalisi.
Alla luce di tutto questo, è evidente che alla base dei due film presi in esame vi è il nesso diretto tra "corpo e immaginazione: non solo l’immagine/sogno è una manifestazione dell’inconscio, ma è altresì la via psicofisica attraverso cui l’inconscio trasforma se stesso, per essere presente in tutti gli atti della coscienza. Il 'contenuto latente' non è qualcosa da riportare alla coscienza sovraindividuale o al senso comune, ma un luogo intimamente individuale e dialettico, che sempre si modifica e interagisce con tutti gli stati del corpo” (Renzo Principe, Corpo e Immagine nella cultura surrealista, Bulzoni editore, p. 211) E crolla, infine, la distinzione tra amore e sesso, che altro non fa che fuorviare le nostre più profonde passioni, o sentimenti, comunque le si voglia chiamare.

 

 

 


Retrovisioni

Néa – A Young Emmanuelle (Lettere a Emmanuelle)
(da un romanzo di Emmanuelle Arsan)
regia Nelly Kaplan
con Sami Frey, Ann Zacharias, Françoise Brion, Micheline Presle
coproduzione Central Cinema Company Film, Les Films de La Boétie – multimedia Paris/Teleone Film Production Berlin
distribuzione Les Films de La Boétie
paese Francia, Germania Ovest
lingua originale francese
colore a colori
anno 1976
durata 101 min.



Valerie a týden divu (Confessioni di una tredicenne)

(da un romanzo di Vítězslav Nezval)
regia Jamirol Jireš
con Jaroslava Schallerová, Helena Anýzová, Petr Kopriva
prodotto da Jiří Bečka
distribuito da Janus Film
paese Cecoslovacchia
lingua originale ceco
colore a colori
anno 1970
durata 73 min.

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