“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 07 August 2014 00:00

Il calcio secondo Rasmus Elm

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Per favore non dite niente è un romanzo sul calcio, sulla vita e sulla morte.
Marco è stato un calciatore di quelli che fanno bene ciò che devono fare, non un campione, non uno dei grandi, ma affidabile; diventato un allenatore importante, cultore del bel gioco, dinanzi alla grande occasione deve passare la mano. Una scelta di vita: la moglie, Carla, è malata di cancro, e Marco le vuole stare vicino. Sembra la storia di Cesare Prandelli, e in effetti l’ex c.t. della nazionale è fonte di ispirazione, ma non si tratta di fedele biografia, né di biografia romanzata, e ciò va sottolineato a causa delle speciose polemiche che sono seguite alla pubblicazione.

Qui, in questo libro, troviamo:
1 − una passione e un lutto;
2 − il mondo del calcio in cui i parametri etici e i ‘discorsi’ sono modificati dal troppo denaro e dalla gloria – una volta giunti a certi livelli è difficile restare normali e si può capire l’accenno dell’autore a Rasmus Elm, unico calciatore di cui viene fatto nome (un caso?), con quella strana patologia consistente nel voler restare anonimo, sfuggire alle Erinni della ‘fama’, nel non voler essere ‘uomo pubblico’ fino al punto di sperare che le partite non si giochino –;
3 − un uomo riservato ed educato, Marco, che quando l’ombra oscura della malattia cala sulla famiglia sente l’esigenza di abbandonare il calcio, in punta di piedi, e ciononostante il calcio non lo abbandona, perché lui oramai è un personaggio, ha oltrepassato il livello della gloria come tutti quelli che guadagnano milioni, che i tifosi amano, che i giornalisti inseguono, e così un gesto tanto umano, compito, necessario, non può che diventare ulteriore narrazione del percorso del personaggio, di questo eroe che vorrebbe essere normale ma che non può più: che il calcio ti cambi per sempre? Essendo il mondo dell’eccedenza e della decadenza – per rifarsi liberamente al Discorso su due piedi (Bompiani, 1998) di Carmelo Bene ed Enrico Ghezzi – la risposta non può che essere affermativa.
Marco ha tanto rispettato la vita e la morte da non avere avuto bisogno del conforto dei massimi sistemi, religiosi e non, per capire, “bordeggiando” (per usare un termine di Ciriello) Albert Camus, che “il dolore non serve a niente”, non aiuta, non migliora, è semplicemente “assurdo”.
Marco Ciriello sembra porsi sulla scia di Vladimir Dimitrijević; per lui, come per l’autore di La vita è un pallone rotondo (1998; Adelphi, 2000), il calcio è tutto: mito, epica, filosofia, letteratura, sociologia, antropologia, storia, geometria e altro. Basta leggere un paio di articoli-racconti dal blog Mexicanjournalist (http://mexicanjournalist.wordpress.com/) per avvalorare un parallelo tanto impegnativo, per capire quanto le seguenti parole di Alfonso Berardinelli, fatte le giuste proporzioni, possano essere calzanti anche per lui: “Dimitrijevic è un intelligentissimo mitomane del calcio, uno di quelli, per intenderci, che lo amano in modo così tenero e assoluto da leggere in esso storia e antropologia dei popoli, politica ed estetica: e amando di un amore non meno violento e maniacale i libri, la letteratura e chi la scrive, vedono il calcio in termini di letteratura universale” (Panorama, 13 luglio 2000, in Cactus, Ancora del Mediterraneo, 2001, pp. 91).
Ciriello è uno scrittore di varia e tanta cultura, una cultura che trasuda da ogni suo articolo, racconto, romanzo. Per favore non dite niente, scritto con linguaggio elegante, un romanzo di qualità indubbia, di intelligenza, la cui struttura frammentaria si fregia di notevoli momenti aforistici (“nel calcio la normalità spaventa”; “di calcio bisognerebbe parlare sempre a freddo, come dell’amore”; “la vita vista da vicino? Un campo vuoto, ancora tutto da sbagliare, nessuno sugli spalti, e tu al centro che provi a immaginare”), patisce tuttavia la ‘presenza dell’autore’.
Scritto in prima persona (e dunque secondo il punto di vista dello sportivo), il livello della scrittura e dei contenuti è tale da indurre il sospetto che a parlare non sia ‘Marco: allenatore’, bensì ‘Marco Ciriello: scrittore’ che indossa i panni dell’allenatore. Un allenatore che teorizza su Mahler e che guarda Bergman e che ha sempre la cosa più giusta da dire e nel modo migliore, pur destando la nostra simpatia e pur conciliandoci col buon gusto, non può non rasentare l’incredibile o sorprenderci quantomeno per eccezionalità, non può non contrapporsi con eccessiva nettezza a un ambiente, quello del calcio, in cui ignoranza e volgarità sono sin troppo diffuse. È pur vero che l’allenatore sa di sembrare, al cospetto dei figli, un professore, e che ammette di dover teorizzare su tutto, ma ciò non ci ha impedito di percepire come una stonatura, tanto ci è arduo immaginare (che sia un nostro limite? non lo escludiamo) uno sportivo che sia anche un intellettuale.


 

 

 

Marco Ciriello
Per favore non dite niente
Milano, Chiarelettere,  2014
pp. 120

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