“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 24 February 2014 00:00

Giobbe e il riscaldamento globale

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Disporsi alla visione di uno spettacolo di Giobbe Covatta è un po’ come prepararsi all’incontro con un vecchio amico, uno di quei vecchi amici che prim’ancora di ritrovare al luogo ed all’orario convenuti, già sai grossomodo quel che ti dirà e come te lo dirà; eppure ciò in nessun modo inficia la piacevolezza del ritrovarsi, perché sai che proprio ti piace ascoltare quel che sai ti verrà detto, perché sai che proprio ti piace il modo in cui sai che ti verrà detto.

Sarà che a questa buona disposizione d’animo contribuisce la memoria di una piccola innovazione comica, di cui Giobbe e qualche altro furono portatori sul finire degli anni Ottanta ed agli albori dei Novanta, quando trasmissioni televisive come Sportacus (piccolo cult dei circuiti televisivi minori che aveva fra i protagonisti, fra gli altri, anche Enzo Iacchetti e Francesco Paolantoni) venivano a soffiare una ventata d’aria fresca su un panorama comico tristemente impantanato in Bagaglini e stanchi epigoni di Drive in. Di quella stagione comica – durata circa un decennio, prima di essere soppiantata da quell’inflazione di comicità televisiva nuovamente stereotipa e ciclostilata che a tutt’oggi si ripete riproducendo stancamente se stessa – era stato Giobbe uno dei protagonisti, portatore di uno stile e di un linguaggio personali, e soprattutto dotato del pregio principale che deve possedere un comico: saper far ridere.
Così, quando questo vecchio amico si presenta sul palco del Teatro Troisi sulle note epiche dell’incipit di Also Sprach Zarathustra di Strauss e comincia il suo monologo comico, si è disposti ad essere indulgenti se sulle prime il suo motteggiare risuona come qualcosa di già sentito.
Un pallone mappamondo da un lato, un leggio e poco altro occupano la scena, sulla quale Giobbe si presenta con un lungo impermeabile rosso aperto e scarponi slacciati, come chi, sulla falsariga delle sue parabole bibliche, debba disporsi ad affrontare un diluvio o una calamità naturale, ma con la nonchalance che il caso suggerisce. E il tema su cui il suo spettacolo verte è proprio quello della futuribile catastrofe ambientale e degli effetti bislacchi della mancata applicazione del “Protocollo di Kyoto”: i sei gradi che danno il titolo allo spettacolo sono quelli dell’incremento termico che il pianeta dovrebbe progressivamente far registrare nell’arco dei prossimi cento anni e rappresentano il pretesto per scandire in sei parti – una per ciascun grado d’aumento, ad intervalli ciclici – il monologo comico che racconterà, in chiave ironica e grottesca, le conseguenze nefaste del riscaldamento globale.
Che il punto di partenza sia la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, piuttosto che i sette vizi capitali, o il collasso dell’ecosistema mondo, poco muta nella costruzione comica di Giobbe: il suo monologo spazia su temi consueti, affondando a piene mani in un repertorio collaudato, sul quale si ride a fiducia, perché in ogni caso piace e diverte riascoltare parabole e iperboli che, nel peggiore dei casi, strappano facilmente il sorriso.
La farcitura comica di una tematica seria quale è il riscaldamento globale finisce per rendere l’argomento pietanza non indigesta ma piacevole e, con collaudata capacità affabulatoria Giobbe intrattiene il suo pubblico, divertito e compiaciuto, riuscendo a parlargli in tono leggero di obsolescenza programmata, della dittatura del mercato, della retroazione positiva dei raggi solari, dell’effetto serra, con ironia ed al contempo con cognizione di causa.
C’è, come si diceva, molto repertorio, molto ‘già sentito’ nella performance comica di Covatta, eppure ciò non dispiace, quantunque si avverta e si desideri l’esigenza di un rinnovamento maggiore di testi ormai così noti – ancorché comicamente validi e di consolidata resa – che viene facile anticipar le battute conosciute prima che lo stesso Giobbe le pronunci. Sarà anche che si è sempre avidi e bramosi di novità e poco propensi ad accontentarsi, però se un limite c’è – ma è neo perdonabile – in questo spettacolo è proprio la ripetizione di brandelli di repertorio diventati ormai intercambiabili in ogni diverso spettacolo del comico partenopeo. Ci piace però segnalare la rivisitazione che Giobbe fa della canzone comica La strana famiglia di Giorgio Gaber, che pur senza aver la pretesa di compararsi col ben più illustre precedente, si risolve in un omaggio molto divertente.
Non mancano riferimenti alla politica ed alla società contemporanea, parodisticamente proiettata nel futuro che queste stesse classi dirigenti stanno contribuendo a preparare per il mondo (e nella fattispecie per l'Italia), ma è come sempre nei riferimenti e nelle proiezioni pseudo-bibliche che Giobbe produce il meglio della sua inventiva comica. Egli tiene il palco senza mai accusare momenti di stanca, coinvolge il pubblico, ci interagisce, lo diverte e lo conquista. Conquista che non costituisce un’impresa poi così ardua, visto che il pubblico, dispostosi verso di lui come ci si dispone verso un vecchio amico, non si sorprende ad averlo ritrovato così come se l’aspettava, conoscendo ed apprezzando quanto già sapeva che dalla scena gli sarebbe stato ammannito.
Alla fine si applaude, felici di aver ritrovato un vecchio amico.

 

 

6 gradi
di e con Giobbe Covatta
con la partecipazione di Mario Porfito, Ugo Gangheri
lingua italiano e napoletano
durata 1h 40’
Napoli, Teatro Troisi, 21 febbraio 2014
in scena dal 21 al 23 febbraio 2014

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