“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 28 January 2014 00:00

Il sangue di Delbono

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Mentre grandi cineasti come Leos Carax allestiscono film come cerimonie funebri al cinema − in Holy Motors si compie un viaggio a bordo di una bianca Limousine per portare l’estremo e raffinatissimo saluto del regista al caro, amato estinto: il cinema − Pippo Delbono, invece, rilancia con una sua già collaudata alternativa, portandoci in quel luogo della sua mente dove cinema e teatro si fondono dando vita a nuove mutanti forme di arte. La sua è una creatura con le branchie e le ali che ha ricevuto il patrimonio genetico di entrambi i genitori.

L’evoluzione è sempre il frutto di una selezione più o meno naturale, e come il Dr. Frankenstein per esaminare le cause della vita fa ricorso alla morte osservando il naturale decadimento del corpo presso tombe e crematori, allo stesso modo il Dr. Delbono, anticipando la prevedibile fine di un’epoca cinematografica, con il suo nuovo ibrido, Sangue, ci parla della vita, dell’amore, della morte e del ‘mostro’.
Sangue, pur non essendo stato esente da critiche, ha vinto il Premio Don Chisciotte alla sessantaseiesima edizione del Festival di Locarno e la Menzione d’Onore al Doclisboa Festival. Il film è “un viaggio dentro la morte, dentro la verità. Perché per ricominciare bisogna conoscere il proprio passato”.
Delbono ha conosciuto Giovanni Senzani, l’ex capo delle brigate rosse, a Napoli dove il brigatista, da poco libero per fine pena giuridica, si era recato per assistere alla sua Cavalleria Rusticana. Tutto ha inizio e fine a L’Aquila, ridotta a città fantasma. Poi un funerale, quello in cui veniva data sepoltura a Prospero Gallinari e a tutti gli ideali di un’epoca che sembra ormai lontana anni luce, con i brigatisti lì in piedi come cipressi, testimoni di un mondo che ha scelto di andare nella direzione opposta.
Un passato di sangue è rievocato da Senzani, che con lo sguardo, più che con le parole, rivela un ‘fine pena mai’ che lo perseguita come un interminabile urlo. Lui non rinnega, anche se per descrivere l’atroce omicidio di Roberto Peci, del quale si è macchiato, si schermisce dietro parole come ‘decisione politica che doveva essere in qualche modo conclusa’ o come ‘collaudata prassi rivoluzionaria’, ‘esecuzione’, ma l’eco del ‘NOO’ di Peci subito prima del compiersi di quella ‘prassi rivoluzionaria’ non lo ha mai abbandonato così come la consapevolezza che certe azioni, simili alle macchie di sangue sulla chiave di Barbablù, restano indelebili e nessun perdono può essere invocato. Vedere quei due uomini a passeggio nelle strade di Parigi, Delbono il gigante misericordioso e l’assassino piccolo e avvolto nella fragilità di cartapesta della vecchiaia, mi ha fatto capire il motivo per cui Senzani è voluto entrare nella vita di un artista buddista ed estraneo alla politica. La ragione è la stessa per cui Bobò, il piccolo sordomuto cresciuto per cinquanta anni in un infernale manicomio della provincia napoletana, aspettava tutte le mattine l’arrivo di Pippo con una bandiera in mano: per essere salvato. Evidentemente, nell’uomo capace di accogliere, con un caritatevole sorriso, parole che hanno il suono di una supplica al limite del blasfemo, Senziani deve aver intravisto il volto del suo salvatore.
La vita li ha avvicinati ancora di più nell’esperienza della morte. La madre di Delbono si ammala e anche Anna, la compagna del brigatista che ha atteso per quasi trent’anni il suo ritorno, viene colpita da una malattia incurabile. Pippo ha bisogno di uno sguardo lucido che lo aiuti a non abbandonarsi a quel dolore enorme e lo trova nella telecamera che lo accompagna nella sofferenza. Per la prima volta ci mostra dal vero la donna tanto amata alla quale, da sempre, ha dato voce e corpo in tutte le sue rappresentazioni teatrali e cinematografiche.
Tutto questo ci aiuta a dire che in ciò che Delbono ha deciso di mostrarci non c’è nulla di “morboso”, “gratuito” o “vituperoso”, per riprendere alcuni degli epiteti scagliati dalla critica, al contrario assistiamo all’ultimo coraggioso atto d’amore di un uomo la cui carità non è mai stata una finzione.
Il film si chiude sulle immagini di una città orfana e delusa dalle promesse politiche non mantenute con una riflessione: “A volte mi chiedo se non sarebbe logico prendere ancora le armi per combattere i soprusi, le menzogne, gli sfruttamenti, gli abusi di potere... Ma poi penso a una frase che ho letto. Diceva che il Buddha sorride comunque, perché crede che nella vita il bene sia radicale e il male sia successivo, storico, e che la forza che ci tiene in vita su questo pianeta è più forte di quella che vuole farci morire, e che l’uomo ha la possibilità di stroncare l’illusione, e di manifestare il bene di cui è fatto nel profondo e che nessuno può sfuggire alla vita, nemmeno con la morte”.
“Non una parola si azzardi all’inchiostro se prima non ha conosciuto il sangue” scriveva Léon Paul Fargue, scagliando un anatema contro la falsità della parola, e questo sì che sarebbe pornografico, aggiunge chi scrive. Ebbene, tutto quello che Delbono ha detto, rappresentato e mostrato è stato accuratamente lavato nel sangue.


 

Sangue
di
Pippo Delbono
regia Pippo Delbono
con Pippo Delbono, Margherita Delbono, Giovanni Senzani, Anna Fenzi
paese Italia, Svizzera
anno 2013
colore colore
lingua originale italiano
durata 90 mn.
Napoli, Sala Assoli, 25 gennaio 2014

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