“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 17 January 2014 00:00

Fratelli d'America

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Il legame che annoda le sorti del rock italiano a quelle del rock in chiave folk di matrice americana data dalla fine degli Anni '60 e da allora sembra non essersi mai più sciolto. E se per tutto lo stivale “complessi” o più internazionalmente band ricantavano nella lingua di Dante le hit anglo-americane del momento o si ispiravano ad esse, spaziando dal beat al pop al garage (inglobando la nuova moda psichedelica e appropriandosi con la dovuta perizia tecnico-compositiva del progressive) solo in Emila sembra che il verbo del folk, principalmente nella versione dylaniana o byrdsiana, abbia ispirato epigoni di fama e spessore.

Ovvio pensare ai Nomadi e a Guccini, anche se ciò non esaurisce il novero di musicisti nostrani che hanno attinto alle fonti del folk (basti pensare alle “scuole cantautorali” sorte nelle varie città in cui si sono formati De Gregori, Venditti, Bennato e in parte De André). Tutto questo per spiegare il retroterra culturale e la tradizione musicale che ispirano alcune delle nuove leve del rock italiano a ridosso del Po. Sarà per una banale somiglianza morfologica del territorio tra le Grandi Pianure Centrali e la Val Padana, ma il “country italiano” ha attecchito bene da quelle parti, confermando l’intuizione dello stesso Guccini per cui la via Emilia conduce fino al West, in una immaginaria geografia dei rimandi emozionali. Certo le “influenze” non sono più solo quelle classiche, ma si estendono al nuovo folk alternativo che nasce nelle etichette indipendenti dalla metà degli Anni '90 e che si esprime grazie a personalità come i Walkabouts, Ani DiFranco, Will Oldham, Elliott Smith, i Sixteen Horsepower, e più recentemente con nomi quali Vic Chesnutt, Iron & Wine, Songs: Ohia, Black Heart Procession, solo per citarne alcuni. Una produzione musicale sottesa da un’attitudine riflessiva e malinconica, volta a dare spessore agli argomenti e ai sentimenti di cui narra, lontana dal clamore della novità fine a se stessa. Una capacità di ascoltare il proprio animo e la natura con pazienza e partecipazione, di dare il giusto peso alle esperienze esterne e a quelle interiori senza per questo sembrare seriosi o monocordi.
Qualità che si ritrovano in alcune nuove interessanti proposte provenienti dalla Bassa, da quella zona tra il mantovano e l’Emilia, abbracciando il Veneto meridionale e la Romagna, e che rispondono ai nomi di Bob Corn, Comaneci, Lovespoon e Threelakes and The Flatland Eagles. Qualità che abbiamo potuto constatare dal vivo per il live di questi ultimi al Godot Art Bistrot di Avellino. Luca Righi è un cantautore mantovano dalle solide radici musicali (Bob Dylan, Bruce Springsteen, Townes Van Zandt) che esordisce nel marzo del 2011 con un ep a cinque pezzi: Four Days (6x6 records). Il lavoro è a firma del solo Threelakes: sono tre canzoni acustiche e due brevi strumentali in cui Luca dà prova delle sue capacità accompagnato da Luciano Ermondi dei Tempelhof anche produttore. Qualche mese dopo, il Nostro conosce i Gazebo Penguins in cui milita Andrea Sologni che si propone come produttore dei pezzi di un eventuale nuovo disco. Le tracce sono registrate all’Igloo Audio Factory di Correggio con l’aiuto di Raffaele Marchetti e Marco Chiussi. Proprio Raffaele Marchetti si unisce al progetto in qualità di chitarrista elettrico, mentre alla batteria siede Lorenzo Cattalani. Con questi tre comprimari, Threelakes suona dal vivo dal giugno del 2012 (in occasione del festival Abbassa, organizzato per ricostruire il circolo Lato B a Finale Emilia danneggiato dal sisma). Ancora un ep, registrato in diretta e pubblicato su bandcamp a febbraio 2013: Uncle T, per dare una rilettura più organica ed articolata di tre brani editi. Finalmente ad ottobre dello scorso anno vede la luce War Tales, il primo full-lenght su Upupa Produzioni. Affidato alla produzione di Andrea Sologni, si avvale della collaborazione di Emanuele Reverberi dei Giardini di Mirò e di altri musicisti provenienti da band amiche come Comaneci, Gazebo Penguins, Three in One Gentleman Suit e dello stesso Ermondi.
La formazione che ha suonato sabato sera era composta, oltre a Luca, da Lorenzo (con solo timpano, tom-tom e rullanti) e da Daniele Rossi al violoncello. Wild Water introduce subito alle atmosfere pacate e malinconiche dell’indie-folk contemporaneo, mentre la successiva D-day è un vero e proprio racconto di guerra fatto da chi ha fermato la sua corsa sulla spiaggia di Omaha. Un disco di memorie e fantasmi, in cui i richiami ai giorni terribili del secondo conflitto mondiale si mischiano a ricordi più generali di un tempo passato dalla matrice personale o letteraria. Threelakes intrattiene il pubblico con garbo ed ironia narrandoci il suo stupore per una terra, la Campania, visitata per la prima volta. Il dato autobiografico ritorna con The accordion player (dal primo ep): il suonatore di fisarmonica del titolo è ispirato al nonno che da ragazzo, in seguito ad una rappresaglia tedesca – poiché possedere una radio era sinonimo di collaborazionismo coi partigiani – si rifugia a Firenze, sfidando i pericoli della Linea Gotica, dove finisce a suonare lo swing per gli Americani. Il canto si fa più sofferto in To do, appoggiato alle preziose variazioni del violoncello, laddove il ritmo si fa più andante per The summer I was born con Daniele che pizzica lo strumento. Il brio degli Okkervil River permea la melodia di The walk e compare l’armonica a bocca di Luca per riallacciarsi con maggior decisione alle radici del folk. Brano ancor più dylaniato è The day my father cried, song ispirata in cui traspare la nostalgia del ricordo commosso di un distacco non riconciliato. Chiude lo show Horses slowly ride con il solo Luca in versione acustica a ricordarci che la guerra è una dimensione transitoria destinata a finire nell’eterno scorrere del mondo, dove i cavalli galoppano lenti come sempre, ogni anno, ogni mese, ogni notte.

 

 

 

Threelakes and The Flatland Eagles
voce, chitarra acustica, armonica Luca Righi
batteria Lorenzo Cattalani
violoncello Daniele Rossi
Avellino, Godot Art Bistrot, 11 gennaio 2014

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