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Thursday, 09 January 2014 00:00

Un Munch senza voce

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È Munch, il vate dell’Espressionismo, il pittore che precorre il nuovo fare pittorico, l’uomo inquieto che squarcia il Novecento; il genio che urla le sue sofferenze, i suoi profondi dolori, che sovverte per sempre l’ispirazione pittorica, frutto non più di una risultante del contatto empirico della realtà, ma parto devastante delle paure, delle sofferenze, delle angosce interiori.

La pittura con Munch non imprime più la realtà en plein air ma esprime la turbolenta quotidianità della propria coscienza. L’io sofferente e maniacalmente irrequieto genera l’arte e stravolge la realtà. Ed è questo Munch che cercavamo a Palazzo Ducale, nella mostra sbarcata a Genova, per i 150 anni della nascita di un autore non replicabile e non facilmente reperibile; le sue opere impreziosiscono soprattutto collezioni private. E chi custodisce una sua anima dipinta su tela non è mai propenso a privarsene. Ed è questo Munch che cercavamo in quello che sarebbe potuto davvero essere l’evento dell’anno, ma che invece ci ha lasciato un’acre sensazione di non finito, inconscia delusione per un’irripetibile occasione persa di stupire e restare stupiti.
Certo nella mostra non mancano capolavori, come Giardino con casa rossa,un piccolo quadro del periodo giovanile durante il quale il pittore non ha ancora esteriorizzato i grandi drammi della propria esistenza familiare, morte e dolore che devastarono la sua infanzia. Eppure nella semplicità dell’opera, dà prova delle sue immense qualità artistiche; alberi spogli, erbe floride ed incolte, rami secchi, una casina rossa. Spaccato agreste dall’elegante cromatismo immerso nell’equilibrata perfezione rappresentativa; ben presto tutto diverrà eccesso estremo, di luci, tonalità, colori, ma giammai verrà meno l’armonia pittorica della sua opera.
In Dopo il bagno, la figura nuda quasi accennata, delicata, è rappresentata nell’atto di asciugarsi le membra in una stanza dalle pareti delineate prospetticamente, mura vuote ed inconsapevoli. Già qui emette una sua energia, non è ancora turbamento e dispersione, è quasi riflessione, attesa: una quiete pria della tempesta. Il gioco dei colori e delle sfumature è infatti già rapito dal corpo femminile, i tratti ancora dolci e tenui la contornano, la delineano; sono un vortice concitato di là da venire, quasi un ultimo tentativo dell’autore di cercare riparo e serenità, un volgere verso una finestra che dia luce e speranza.
Un anno dopo i colori da tenui diverranno accesi, forti, devastanti; i tratti decisi, impetuosi. L’essere umano non sarà più pacata esaltazione delle forme, ma palese rappresentazione morfologica di un infinito attimo di terrore. La figura non guarderà più verso il futuro, verso una luce prospettica che genera attesa ed illusione, ma mostrerà una tale atroce intensità da oltrepassare il quadro e stravolgere la realtà. E tutto sarà profondamente turbato da quel grido. L’Urlo, incredibile, terrificante, agghiacciante, unico che sconvolgerà per sempre il significato, l’essenza, l’immensità della pittura.
Ed è questo Munch che cercavamo invano, perché non vi è esposta nessuna delle quattro versioni originali di tale immenso capolavoro e le due serigrafie presenti non riescono a darne senso e valore. Ed in una mostra che ha lo scopo di consacrare il talento puro dell’artista norvegese è fatto grave che non ammette né alibi né giustificazioni.
Ed è per questo che Edvard Munch a Palazzo Ducale di Genova, è un pittore senza voce; un tenore cromatico, afono. Un genio intrappolato in quadri, pitture, serigrafie, che non riesce a gridare il ruolo fondamentale che la storia dell’arte gli ha dato; che non può strepitare il sublime valore della sua vis creativa e della sua inquietante personalità.
Il suo urlo rimane strozzato tra le mura dello storico palazzo genovese, e nessuna delle sua altre opere esposte eviterà alla nostra sorda delusione di sfociare in un triste ed amaro mutismo.

  

 

Edvard Munch
Genova, Palazzo Ducale
dal 6 novembre 2013 al 27 aprile 2014

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