“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 16 November 2013 01:00

Gli eredi spirituali di Maria Pocchiola

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“Chi era Maria Pocchiola?” 
Iniziava così uno dei momenti più divertenti del film Sua Eccellenza si fermò a mangiare (1961) di Mario Mattoli con Totò, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, alcune belle attrici di quel periodo (su tutte, una giovane Virna Lisi) e una serie di caratteristi.
Nella scena in questione, Vianello è l’onorevole che tutti attendono per commemorare un busto eretto a una importante personalità del paesino dove è ambientata buona parte della vicenda che vede Totò e Tognazzi protagonisti.

Ma il deputato perde il discorso che gli avevano scritto ed è costretto a improvvisare il tutto, senza sapere neanche l’identità della persona da celebrare, nemmeno se uomo o donna, con un Tognazzi più confuso di lui che si offre di aiutarlo. Il busto riproduce un atleta pressocchè sconosciuto, che l’impeccabile onorevole, per giustificare la sua gaffe iniziale, indicherà come “l’erede spirituale di Maria Pocchiola”.
Uno dei caratteristi di questo classico di Mario Mattoli è Ignazio Leone, qui nel ruolo di Gennarino, il complice del ladro interpretato da Totò.
Quando si parla di caratteristi si rischia spesso di sbagliare nomi o filmografie. Specie se si tratta di personaggi che attraversano la storia del cinema con ruoli molto sobri, discreti, mantenendosi ai margini, senza essere particolarmente appariscenti, come appunto l’attore che interpreta il rispettosissimo complice-assistente del Principe De Curtis nel film del 1961, rischiando di essere dimenticati. O confusi con altri caratteristi, magari completamente diversi, più o meno famosi di loro. Rischiano, in pratica, di passare alla storia come tanti "eredi spirituali di Maria Pocchiola".
Accade, infatti, che nel film documentario Come inguaiammo il cinema italiano (2004) per la regia di Ciprì e Maresco, perfetta ricostruzione della carriera di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, la voce narrante sbagli il nome di uno dei vari caratteristi che accompagnavano la coppia comica siciliana come presenze fisse nei loro film e l’attore Alfonso Tomas, famoso per i suoi personaggi con numerosi tic (celebre la sequenza di Vieni avanti, cretino! con Lino Banfi) venga invece chiamato Ignazio Leone…
Approfittiamo di questa divertente gaffe dei due autori di Cinico TV per tentare di ripercorrere a grandi linee la carriera di entrambi gli attori, che più opposti non potrebbero essere; tanto è misurato l’uno, quanto più è istrionico l’altro. Condividono l’attività nell’avanspettacolo, che Ignazio Leone, nato a Palermo nel 1923, abbandonò presto per darsi al cinema a partire dal 1952, mentre Alfonso Mostacci (vero nome di Alfonso Tomas), nato a Roma nel 1928, non ha mai abbandonato, dedicando al cinema solo poche memorabili apparizioni, la prima delle quali nel 1970 nel film del suo grande amico Nando Cicero Ma chi t’ha dato la patente? con Ciccio e Franco (da ricordare una mitica scena in auto con Franco…), dove recita anche il veterano Leone, che proprio coi due comici suoi concittadini aveva esordito sulle tavole del palcoscenico.
Una delle prime apparizioni degne di nota di Ignazio Leone nella sua lunga filmografia, con oltre cento titoli, è in Un americano a Roma (1954) di Steno nel ruolo del regista Verdolini, chiaro omaggio a Rossellini, nella sequenza in cui Sordi/Nando se ne va nudo, prima sui tetti di via Margutta, poi in casa del regista e sua moglie (omaggio-parodia di Ingrid Bergman), neo-genitori intervistati da tal Fred Buonanotte (un giovanissimo Galeazzo Benti), in procinto di mostrare alle telecamere il loro “pupone di 8 chili”, in una meravigliosa parodia ante litteram di trasmissioni quali La vita in diretta    
Nello stesso periodo, ritroveremo il caratterista palermitano in altre note pellicole di Alberto Sordi, come Il vedovo di Dino Risi e Ladra lui, ladra lei di Luigi Zampa e in alcuni successi di Totò, come I tartassati, Totò nella luna, entrambi di Steno, Totòtruffa 62 di Camillo Mastrocinque e, appunto, Sua eccellenza si fermò a mangiare. Da quest’ultimo lo ricordiamo, come detto, per il ruolo di Gennarino e per i suoi siparietti col grande comico partenopeo, in particolare una scena tra i due al telefono. Nel film, ambientato durante il fascismo, Totò è un ladro, ma viene creduto da tutti il medico personale di Benito Mussolini. Nel finale, quando Gennarino gli telefona, il “maestro", fingendo di parlare con il Duce, manda in confusione l’ignaro complice.
La ricca carriera cinematografica dell’attore siciliano proseguirà negli anni '60 come caratterista fisso nei film della coppia Franchi-Ingrassia, tra cui ricordiamo 002 operazione Luna e I due parà, entrambi diretti da Lucio Fulci, e come presenza costante in musicarelli e film d’avventura; in un western, in particolare, intitolato Spara, Gringo, spara! (1968) di Bruno Corbucci, Ignazio Leone è accreditato con lo pseudonimo di Clive Stancon, come era in uso allora nei film italiani destinati al pubblico straniero.
Con l’arrivo dei piccanti anni '70, il caratterista dalla presenza discreta vanterà nell’ampia filmografia anche alcuni "decamerotici!, come Boccaccio, sempre diretto da Corbucci, e Le notti peccaminose di Pietro l’Aretino, regia di Manlio Scarpelli, fotografia nientemeno che di Aristide Massaccesi, accanto a famosi titoli con Lando Buzzanca, come L’arbitro di Luigi Filippo D’Amico.
Ci lascerà prematuramente nel 1976, all’età di cinquantatré anni. Tra gli altri film interpretati insieme al duo parlermitano, Armiamoci e partite (1971), sempre diretto da Cicero, dove ricompare il nevrotico Tomas, che, nella sua seconda apparizione cinematografica, rifà con Franco la gag del film precedente, questa volta sul side-car.
A differenza del prolifico Leone, Alfonso Tomas, sempre in giro per l’Italia, in tournèe per teatri, night e locali di cabaret, rifiuterà il ruolo di caratterista fisso nella sterminata produzione di Franchi-Ingrassia, recitando comunque per l’amico Nando Cicero in ben sette film (su un totale di soli dodici titoli, interpretati dall’attore romano, tra il 1970 e il 2005), tra cui Ku Fu? Dalla Sicilia con furore, con Franco Franchi senza Ingrassia, e Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia con Lino Banfi, la cui regia viene erroneamente attribuita a Luca Davan (alias Mario Forges Davanzati).
Ma per l’artista romano sarà proprio con il popolare attore pugliese che arriverà nel 1982 il ruolo più importante della breve e concentrata carriera cinematografica: il dottor Tomas di Vieni avanti, cretino!, film-culto per la regia di Luciano Salce. L’omino pieno di tic portato tante volte in scena avrà la collocazione più adeguata: un’industria piena di computer e strani aggeggi, dove lui sarà l’allucinato direttore e il povero Baudaffi Pasquale/Banfi sottoposto a una serie di compiti sempre più improponibili.
La fama di Alfonso Tomas grazie a questo ruolo sarà tale che le sue battute vengono ancora oggi citate a memoria e i suoi gesti vanamente imitati. Del resto, il film di Salce rappresenta una summa degli sketches presi dal repertorio dell’avanspettacolo. Lino Banfi, proveniente anche egli da quella gavetta e avendo lavorato con Tomas molti anni prima, non esita ad inserirlo, facendolo incontrare col regista, che, entusiasta, dà carta bianca all’attore romano, il quale, una volta sul set, improvvisa praticamente tutto: battute, tic, movimenti, pernacchie…
Insieme alla moglie Elettra Romani, compagna di vita e di teatro, Alfonso Tomas racconterà questa  meravigliosa esperienza cinematografica, oltre a una serie di altre curiosità, in una bellissima intervista esclusiva raccolta da Matteo Norcini e Stefano Ippoliti sulla rivista Cine70 e dintorni nel 2004.
Nel 1983, all’apice della fama, impegnatissimo nei night, l’inarrestabile Tomas accetterà di partecipare a quella che sarà l’ultima regia del suo amico Nando Cicero, Paulo Roberto Cotechino centravanti di sfondamento con Alvaro Vitali, che lo rivuole nel 1990 nel tardo Pierino torna a scuola. Ultima apparizione nel 2005, anno della sua scomparsa, nel primo Manuale d’amore, per la regia di Giovanni Veronesi.
Ecco dunque due caratteri, almeno sul grande schermo, praticamente agli antipodi, oltre che due epoche diverse, unite da un paio di film in comune e dalla formazione teatrale di base: da un lato, l’umile e trattenuto comprimario, di volta in volta ladro, regista, sindaco, cameriere, ragioniere, vigile, poliziotto, ma sempre funzionale alla storia e al protagonista di turno; dall’altro, il caratterista esuberante e sopra le righe che inventa e improvvisa, trasforma le sintetiche sceneggiature in canovacci, creando un personaggio facilmente riconoscibile di volta in volta, di film in film, togliendo per una manciata di secondi la scena al protagonista. Scorrendo le rispettive filmografie, ci accorgiamo che uno lo conosciamo perché ci ha fatto ridere, l’altro non lo conosciamo, ma era presente mentre ridevamo o ci emozionavamo per le gesta eroicomiche di qualcun altro; quindi, forse, era lui a conoscere noi…
Pur essendo così diversi, si sono trovati dieci anni fa ad essere scambiati l’uno con l’altro, fusi in una sola persona con le fattezze (e i tic) dell’uno e il nome dell’altro.
In fondo, entrambi potrebbero essere indicati come gli eredi spirituali di Maria Pocchiola.
Anche perché chi sia Maria Pocchiola, come suggerirà Tognazzi all’orecchio di Vianello, "non lo sa nessuno”…                                

 

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