“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 23 October 2013 02:00

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 9): Redemption di Salvino Campos

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Che poi Sam Weller sa benissimo che per quanto riguarda l’arte contemporanea è necessario sempre e comunque che l’idea che plasma una mostra venga esposta, sennò non si capisce nulla di quello che si vede. Ma poi Sam Weller sa benissimo anche che è proprio quello il gioco dell’arte contemporanea, la necessità che l’idea sia, cioè “esista”, perché è l’idea quello che conta (e quando diciamo “quello che conta”, lo intendiamo in un senso particolarmente vasto e particolarmente calzato, le sfumature di quest’espressione sono, ovviamente, molto ampie – anche letterali).

E così Sam Weller ama leggere e raccogliere quei fogliettini che si trovano all’ingresso delle mostre, chiamiamoli per comodità “comunicati stampa”, e il suo è un combattimento per non farsi influenzare da quanto scritto. Un combattimento per non farsi influenzare da quello che è scritto superato in intensità soltanto dalla curiosità di vedere quanto di quello che è scritto può essere ritrovato in quello che si vede. Chiariamoci: spesso l’arte contemporanea è veramente “idea” e spesso la sua grandezza consiste soprattutto in questo, altre volte invece l’idea viene confezionata a tavolino nel momento della “creazione” della mostra – la qual cosa non è necessariamente disdicevole, è e basta. Ora quanto stiamo dicendo non riguarda direttamente la mostra Redemption di Salvino Campos, nel senso che essa non è l’esempio più smaccato di questa seconda fenomenologia. Ma se l’arte non vuole rinchiudersi soltanto nelle parole dei “comunicati stampa” (oltreché, e va da sé, nei portafogli dei compratori – Sam Weller chiede scusa per il suo cinismo serale) l’idea deve essere veramente forte e così noi nella nostra passeggiata abbiamo messo alla prova quanto si diceva nel bugiardino (pardon, “comunicato stampa”) della mostra.
Va detto immediatamente che le foto di Salvino Campos sono belle, alcune anche molto belle, sono spesso squarci improvvisi, inusitate prospettive, lampi di luce accecanti, bagliori di senso. La cosa che forse maggiormente rende l’idea della maniera con cui questa mostra è stata pensata da Salvino Campos è quella di creazione di accostamenti particolari tra foto di soggetti completamente differenti. Una delle più efficaci serie di fotografie è una composizione di quattro scatti: uno racconta Auschwitz-Birkenau attraverso le montagne di scarpe prelevate ai reclusi non appena arrivavano nei campi e ora testimonianza concreta e cruda di ciò che significa essere ridotti a nuda vita, uno è invece uno squarcio del cimitero delle Fontanelle di Napoli, montagne di teschi senza nome (nuda vita, oltreché nuda morte, un po’ come molti reclusi di Auschwitz-Birkenau) di gente morta per epidemie varie nel corso dei secoli, un altro è l’immagine dei danni provocati da un tornado negli USA (dunque la potenza irrefrenabile della natura), infine la fiancata di una nave da guerra americana nel porto di Napoli. Ecco cosa può significare “idea”, su una serie del genere si può lavorare. Si può discutere sulle tante mediazioni umane che conducono alla morte e alla spoliazione (Auschwitz-Birkenau e nave da guerra USA), ma anche sulla potenza devastante (vendicativa?) della natura come nel caso del tornado che ha devastato città negli USA o della peste che ha riempito di teschi il cimitero delle Fontanelle. Altre serie sono più “limpide” e corrette invece: una racconta le folle delle strade delle città, dal Brasile alla Cina, un’altra le feste popolari e religiose in Brasile e in Italia, un’altra ancora le favelas e Manhattan, un’altra un frate in estasi (o ritardato?) e ebrei ortodossi in file ordinate, e poi il muro di Gerusalemme e il filo spinato tra Israele e Libano, infine chiese sfarzose e chiese abbandonate e cadenti. Una folla di immagini e di suggestioni. La tecnica è quella di un bianco e nero intenso in cui la luce deve squarciare l’immagine sennò non procura dimensione di senso. L’efficacia visiva è spesso riuscita e gli scatti riescono ad attirare l’attenzione ben più del normale tempo di visione di una foto qualsiasi.
Ecco il punto, allora: la mostra è intitolata Redemption, si parla nel foglietto illustrativo (pardon, “comunicato stampa”) di redenzione e riscatto della natura umana, si parla, citando il Vangelo di Giovanni, della luce che sconfigge le tenebre, si aggiunge qualcosa sull’ansia che si prova quando si cerca l’elevazione spirituale, si delineano discordanze tra il sacro e le miserie del mondo. Ma poi si accenna anche alla sacralità della vita o addirittura del mistero della vita e dell’universo.
Ecco il punto, allora: c’era bisogno di tutto questo?  

 

(di-vagazione: 15/10/2013; imbrattamento di carta: 15/10/2013)

 

Redemption

di Salvino Campos

PAN – Palazzo delle Arti di Napoli

Napoli, dal 15 al 30 ottobre 2013  

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