Ma anche religiosamente ci sono elementi che accorciano le distanze in modo sorprendente. Uno di questi è l’esistenza di una raccolta islamica di detti di Cristo, quasi un vero e proprio “vangelo islamico”, che delinea la figura di Gesù da un punto di vista inedito, e indica come presso l’Islam essa godesse di una dignità e di un rispetto per nulla di secondo piano.
L’Islam è l’unica religione, oltre il Cristianesimo, che riconosca la figura di Cristo, sia dal punto di vista storico, sia da quello religioso. Questo non è strano, qualora si pensi che l’Islam nasce come religione “del libro”, come l’Ebraismo e il Cristianesimo − facendo riferimento a un unico padre comune, Abramo − e che Maometto aveva ben presenti entrambe queste religioni nel momento in cui cominciò a delineare la nuova fede. Che all’inizio, infatti, non si poneva assolutamente in contraddizione alle due sorelle maggiori, ma che anzi voleva in qualche modo continuare e perfezionare. Non è strano nemmeno che ci siano altre tradizioni scritte sulla figura di Cristo, non inserite nella documentazione ufficiale; del resto, anche nel bagaglio cristiano, esistono una miriade di fonti, di varia natura e origine, riunite sotto il nome di Vangeli apocrifi, che seppur private di un valore riconosciuto dal punto di vista dottrinale, lo mantengono senza dubbio almeno sotto l’aspetto storico, documentario, antropologico.
I detti islamici di Gesù, edito dalla Fondazione Lorenzo Valla per Mondadori, a cura di Sabino Chialà, è un libro assai affascinante e prezioso, che per la prima volta propone in italiano una raccolta completa di tutti i riferimenti a Cristo presenti nella cultura musulmana. “Un Vangelo che è espressione di una riflessione su Gesù all’interno dell’Islam, e di conseguenza è anche un discorso di Gesù all’Islam”, per usare le stesse efficaci parole di Ignazio De Francesco, che del volume ha curato la splendida introduzione. Un Gesù che per i musulmani non è figlio di Dio, ma è tuttavia nato miracolosamente senza intervento umano da una Vergine, Maria − considerata sempre con grande rispetto dalla tradizione islamica, la prima delle quattro donne giunte alla perfezione – tanto da elevarlo al di sopra di tutti gli altri profeti, e per certi versi quasi in competizione con lo stesso Maometto.
Le vie attraverso le quali questi “detti” sono passati all’Islam sono probabilmente tre: la stessa conoscenza più o meno diretta del Cristianesimo da parte di Maometto – che ebbe anche una concubina cristiana, Maria la copta –; i contatti molto stretti tra cristiani e musulmani in tutta l’area del Vicino e Medio Oriente, per un periodo molto lungo, in cui non erano ben chiari i confini né geografici né religiosi tra le due parti; i contatti altrettanto stretti tra mistica islamica e mistica cristiana, e cioè tra comunità rispettivamente di sufi e monaci, che condividevano analoghe impostazioni spirituali e ideali di vita ascetica.
I detti raccolti, che abbracciano un ambito cronologico ampissimo, dall’VIII al XIX secolo – con una maggiore concentrazione durante tutto l’arco del periodo medievale – inseriti nel Corano, nel diritto islamico (cioè la Sunna), nelle Vite dei Profeti, nei testi sufi, sono di varia natura: vi sono quelli derivati in modo diretto e ben leggibile dalla tradizione cristiana, sia dai vangeli canonici che da quelli apocrifi, e sono per lo più contenuti nel Corano; ve ne sono altri, invece, la cui origine non è cristiana, ma sembra essere una sorta di rielaborazione di concetti propri dell’Islam attribuiti a Cristo per rafforzarne l’autorità, o rivendicare una origine illustre. Questi sembrano essere più recenti, e dovuti a una dimensione quasi “mitica” di Cristo, slegata dalla dimensione storica. La figura che è emerge non è univoca: a tratti maestro, profeta, modello di musulmano perfetto, santo, mistico, senza dubbio molto più frammentata e a volte incoerente rispetto a quella cristiana, ma è chiaro che lo scopo dei detti islamici è molto diverso: essi non devono costruire “una religione”, ma semplicemente inserire una figura così importante, che non volevano e non potevano ignorare, nell’ambito della loro fede.
L’incidenza maggiore di fonti medievali, in cui si riscontra anche una conoscenza più consapevole e un interesse diretto per la figura di Cristo, testimonia come il periodo spesso definito “oscuro”, sia stato in realtà un terreno fertile per contaminazioni e scambi, che se sul piano politico si traducevano spesso in scontri violenti, su quello culturale invece davano origine a una sintesi originale di vari elementi, mostrando una tolleranza reciproca da cui, mi pare, avremmo molto da imparare.
I detti islamici di Gesù
a cura di Sabino Chialà
traduzione di Ignazio De Francesco
Fondazione Lorenzo Valla. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2009
pp. 444