“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 10 October 2013 02:00

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 7): Una vita per l’arte di Vittorio Vastarelli

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È un bellissimo pomeriggio che sembra più primaverile che autunnale quello che ci accompagna in questo giro per il lungomare. La tappa è Castel dell’Ovo dove un paio di giorni fa è stata inaugurata la mostra di Vittorio Vastarelli. Restiamo immediatamente colpiti da una frase che si trova nel libretto disponibile per i visitatori, Vittorio Vastarelli scrive: “volendo rappresentare una mia idea del mondo, utilizzo un linguaggio pittorico comprensibile a tutti, prima perché non dipingo solo per i critici e gli addetti ai lavori, poi perché la gente non ha troppo tempo da dedicare all’arte”.

In questa frase è condensata non soltanto l’esperienza pittorica che stiamo attraversando ma è essa stessa un’idea di arte che entra immediatamente in conflitto con ogni forma di concettualismo e lo fa in forma schietta e senza acredine. Una cosa è l’arte per critici e addetti ai lavori, un’altra è quella che guarda al pubblico in generale. Semplice. E guardare al pubblico in generale significa volersi far capire da tutti e subito, mostrare un’idea nella sua rappresentazione e parlare con gli esclusi dalle vette dell’arte che poi sono quasi sempre gli esclusi dalla cultura in generale e gli esclusi dal punto di vista sociale. Un’idea di arte e una potenza visiva che raccoglie in sé tutta una serie di stimoli novecenteschi, ma per noi a farla da padrone perlomeno in alcuni momenti dell’esperienza pittorica di Vastarelli, è una forma di realismo socialista o, anche quando il percorso sfocia in un immaginario carico di simboli, in un simbolismo socialista e in un espressionismo socialista. Ripetiamo quasi in maniera anaforica il termine “socialista” perché è soltanto da poco tempo che è divenuta una parola innominabile. Non conosciamo di persona Vittorio Vastarelli ma noi lo vediamo così e per noi risulta un viaggio in un “come eravamo” che dà un senso di profonda malinconia. E così mentre ci immergiamo nella prima sala della retrospettiva, che presenta un nome che vuole essere esso stesso immediato, Nel sociale, che raccoglie le opere degli anni ’50, a farla da padrone sono le proteste operaie con grossi uomini col pugno chiuso, figure “sancite” da tratti decisi e da colori vivaci e aggressivi, o, cosa di cui tanto si parla oggi (ma con il gusto del puro e semplice pour parler), gli incidenti sul lavoro con il feroce e aggressivo Tragica fatalità in cui una figura precipita tra violente pennellate e lo fa con una posa di estrema freddezza e lucidità. In questa sala si respira il senso profondo della solidarietà, c’è un Atto d’amore che rappresenta qualcuno che soccorre qualcun altro così come Nobile gesto che rappresenta una scena simile. Tutto è semplice, non è per critici d’arte o per addetti ai lavori, il messaggio è schietto e diretto, coglierlo poi è una questione di sensibilità epocale. Altre tele rappresentano contadini e la durezza della vita degli esclusi. Durezza e solitudine. La sala successiva, dal titolo Alienazione, presenta una serie di tele a partire dalla seconda metà degli anni ’60, ed è ancora l’uomo al suo centro, ma questa volta il realismo si declina in simbolismo, simbolismo anch’esso diretto e immediato. Si tratta di visioni di mescolanza di elementi macchinici e umani, opere come Smarrimento e ancor di più Disumanizzazione mostrano operai annichiliti al lavoro o senza volto come semplici protuberanze organiche delle macchine. Ma ci sono anche strane visioni di bambini colte con feroce espressività, sdraiati e in situazioni metafisiche, che raccontano di un destino segnato. Anche qui si respira l’aria degli anni ‘60 e di rivolta, un profumo di cui abbiamo dimenticato l’intensità e che quasi quasi, noi veri nichilisti contemporanei, leggiamo con un pizzico di senso di superiorità, un po’ come i sogni dei bambini. La terza sala è Verso l’espressionismo nella quale, oltre a una tecnica mutata e dal forte impatto appunto espressionistico, con una tavolozza di colori vigorosi e impietosi, dominano le immagini dell’esclusione sociale, su tutti val la pena ricordare Isolamento, un giovane uomo in piedi che si staglia su uno sfondo che ricorda gli incubi di Van Gogh e che soprattutto indossa una camicia di forza oppure il senso profondo della marginalità rappresentato da figure confinate dietro le sbarre di alcune scale (Scale immobili e Tra sogno e realtà). Il percorso prosegue poi con la sala Antropomorfismo dove, in un immaginario più rarefatto e in atmosfere al punto giusto naïf, a essere raccontato sempre in maniera diretta e immediatamente comprensibile è il rapporto tra uomo e natura. E così colpisce l’opera Antropomorfismo in cui un uomo e un animale stretti in un abbraccio diventano elementi di un paesaggio naturale, diventano nodosi rami o radici, o anche “Ciò che (r)esiste un albero spettrale che si staglia su uno sfondo cittadino e che presenta una testa d’uomo senza caratterizzazioni, non la testa di un uomo, ma la testa dell’uomo. Altre sale mostrano, infine, schizzi e disegni anch’essi attraversati dalla medesima ispirazione e poi ne troviamo un’ultima in cui le tele rappresentano scene tratte dal gioco del calcio, sì proprio lo sport più diffuso e sentito in Italia, segno ancora una volta che Vastarelli non ha vergogna a rappresentare il reale e la sua mitologia popolare.
Mentre ce ne torniamo verso casa riflettiamo su un paio di cose, la prima riguarda il “metodo” e cioè ci chiediamo quand’è e come mai l’arte sia diventata definitivamente roba da critici e da addetti ai lavori, e ce lo chiediamo con il gusto di conoscere già la risposta, la seconda riguarda l’“espressione” e ha a che vedere con il modo con cui ci rapportiamo al reale. Siamo insoddisfatti, esclusi e reietti, eppure non riteniamo più che il mondo possa cambiare. E lo diciamo così in maniera schietta e semplice perché così ci va dopo questa mostra, per non stonare con l’esperienza di un pittore che forse non ha fatto e non farà la storia ma che in un certo senso ci riguarda o per meglio dire ci dovrebbe ancora e sempre riguardare.              

 

(di-vagazione: 07/10/2013; imbrattamento di carta: 07/10/2013)

 

Una vita per l’arte

di Vittorio Vastarelli

Castel dell’Ovo

Napoli, dal 5 al 20 ottobre 2013

 

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