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Thursday, 17 December 2020 00:00

Il Gotico secondo Wilhelm Worringer

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Alois Riegl (1858-1905), figura di spicco della celebre Wiener Schule der Kunstgeschichte, oltre a contribuire alla riabilitazione delle “arti minori”, svincolando il giudizio critico dall’impostazione teorica “antistorica” winckelmanniana, dunque preoccupandosi di riconoscere in ogni epoca una specifica “volontà d’arte” (Kunstwollen), ha di fatto rivalutato epoche storico-artistiche ai suoi tempi considerate “decadenti”, come ad esempio i periodi Tardoantico e Barocco.

Dell’austriaco abbiamo avuto modo di analizzare su Il Pickwick il saggio Das holländische Gruppenporträt del 1902, incentrato sul ritratto di gruppo olandese come sistema di rappresentazione delle corporazioni, tradotto, nelle sue parti più significative, in italiano, grazie all’editore Castelvecchi, soltanto nel 2014 con il titolo Lo sguardo di Rembrandt.
È proprio agli studi dell’austriaco Riegl che si rifà lo storico dell’arte tedesco Wilhelm Worringer (1881-1965) quando, nel suo Abstraktion und Einfühlung: ein Beitrag zur Stilpsychologie del 1907 – Astrazione e empatia. Un contributo alla psicologia dello stile (Einaudi, 1975) – individua due principali tendenze nell’arte: una indirizzata all’astrazione e una al realismo. La prima, secondo il tedesco, sarebbe maggiormente rintracciabile nelle popolazioni primitive, in quelle orientali e nella produzione nordica gotica, mentre la seconda caratterizzerebbe soprattutto l’arte dell’Europa mediterranea.
Worringer, che torna su tali convincimenti anche nel successivo Formprobleme der Gotik, scritto nel 1911, prende di mira quell’estetica classicista greco-romana ripresa dal mondo occidentale nel corso della modernità, a partire dal suo incipit artistico individuabile nelle proposte rinascimentali. L’egemonia esercitata da tale estetica classicista, secondo lo studioso, avrebbe di fatto impedito di vedere, comprendere e valorizzare esperienze, epoche e popoli che si sono invece sottratti dai suoi valori e criteri. Worringer invita dunque a liberarsi una volta per tutte da quell’esaltazione del Rinascimento che, a suo modo di vedere, sovrasta, fin quasi a negarle, tutte le altre esperienze artistiche che hanno optato per un’altra via, non per forza di cose di valore minore.
Nell’ottima introduzione all’opera di Wilhelm Worringer, Il Gotico. Problemi di forma (Mimesis, 2020), Giovanni Gurisatti, traduttore e curatore del volume, scrive che per poter indagare questo ambito altro rispetto all’estetica classicista, secondo il tedesco è necessario mutare le categorie interpretative in favore di una “scienza dell’arte come psicologia dell’umanità”, una “psicologia dello stile”, a partire dal convincimento che vuole le variazioni storico-epocali delle forme artistiche come diretta “espressione stilistica” dei “modi di sentire e di volere di specifiche umanità storiche”.
Secondo Worringer, come sintetizza egregiamente Gurisatti, vi è un rapporto intrinseco “tra la costituzione psichico-spirituale di una specifica umanità (un’epoca, un popolo), il suo modo di pensare, sentire e volere – altrimenti detto: il suo ‘carattere’ – e le forme in cui tale carattere trova espressione, forme artistiche, religiose, filosofiche, mitologiche, culturali, della Weltanschauung, ecc., le quali, facendo tutte riferimento alla medesima struttura ‘caratterologica’ di fondo dell’epoca, pur nella differenza di configurazione sarebbero comunque affini tra di loro nella sostanza”.
Alla base della sua “psicologia-fisiognomica dello stile”, capace di connettere “energie psichiche” ed “energie plastiche”, Worringer pone come categorie la “volontà di forma” (Formwille) e la “volontà espressiva” (Ausdruckswille): “L’autentica psicologia dello stile inizia proprio là dove i valori formali esterni vengono resi comprensibili nella loro qualità di puntuale espressione dei valori interni, in modo tale che ogni dualismo tra forma e contenuto scompaia”.
Per lo psicologo dello stile, puntualizza Gurisatti, l’opera che appare “brutta”, “disarmonica”, “imperfetta” non può essere ricondotta a una sorta di incapacità di fare meglio, ma a una volontà diversamente orientata. Seguendo tale linea, il manufatto artistico non può essere considerato e valutato da un punto di vista classicisticamente “estetico”, “per la bellezza della sua forma in sé”; occorre piuttosto guardarlo per “l’espressività della sua forma”, “per la capacità dell’opera di manifestare immediatamente quel bisogno di arte e di stile in cui si esprime a sua volta, in termini micrologici, il ‘sentimento del mondo (Weltgefühl)’ caratteristico di un popolo e di un’epoca intera”. L’arte andrebbe, pertanto, considerata non per i suoi valori percettivi e formali, ma come “luogo privilegiato di espressione micro-monadologica che consente l’accesso conoscitivo e comprendente a ciò che un’umanità, un’epoca e un popolo hanno di più intimo e profondo: il loro stato d’animo generale, il loro modo di pensare, sentire e volere, in definitiva il loro carattere, che proprio nel risultato del gesto plastico [...] trova modo di imprimersi in tutta la sua verità”.
Secondo Worringer, ove si aspira “a conferire alle cose un valore di necessità e di eternità, sopprimendo l’organico e traducendolo entro un sistema di linee cristalline geometricamente rigide”, si ha a che fare “con un uomo, un popolo, un’epoca, uno stile tipicamente ‘anticlassici’, tanto che si tratti di arte primitiva, egizia, orientale o nordica, tutte esperienze contrassegnate da “forme espressive tendenti alla stilizzazione” lontane dalla mimesi della natura.
Ogni stile, secondo lo storico dell’arte tedesco, deriva dalla “paura” nei confronti del mondo, da “un’immensa agorafobia spirituale” che invita sia l’artista che il fruitore a “evadere dal suo legame con la vita” per cercare “fuori dalla vita la sua redenzione. Al fine di tratteggiare una corretta “caratterologia del Gotico”, secondo Worringer occorre chiarire e intrecciare “la posizione dell’uomo gotico nei confronti del mondo esterno”, “la particolare costituzione psichico-spirituale che ne deriva”, “gli elementi formali dell’arte da essa determinati”.
Visto che Worringer scrive i suoi due volumi –  Astrazione e empatia e Il Gotico. Problemi di forma – in quello Zeitgeist espressionista di inizio Novecento caratterizzato da un’impronta anticlassica e antinaturalistica, ci si dovrebbe pertanto attendere nei suoi studi qualche riferimento di affinità tra la sua idea di Gotico e la poetica espressionista primonovecentesca. L’“espressione intensificata su base inorganica”, scrive Gurisatti, “non costituisce forse il ductus più inconfondibile della grafia espressionista, impronta inequivoca di una Gestaltungskraft drammaticamente ‘isterica’? Ebbene, di tutto ciò in Worringer non v’è praticamente traccia in nessuna delle due opere che stiamo considerando”.
Per comprendere la posizione di Worringer nei confronti dell’espressionismo occorre prendere in esame alcuni suoi scritti successivi, poi raccolti nel volume Fragen und Gegenfragen. Schriften zum Kunstproblem del 1956, ove, pur riconoscendo “affinità spirituale di famiglia” tra l’opera gotica e quella espressionista, accomunate da una medesima “innaturalità”, dall’essere parimenti “minacciose nel loro suggestivo contenuto di realtà”, il tedesco segnala però che mentre le forme d’arte gotica “rappresentano grandiose prestazioni artistiche spirituali collettive, di massa, ed esprimono così il Kunstwollen caratteristico – sovraindividuale, comunitario – di un intero popolo e di un’intera epoca, l’Espressionismo moderno sembra inesorabilmente ridursi all’urlo individuale del singolo io prigioniero di un’isteria intima, che appare tanto più convulsa, parossistica, esasperata e forzata – quindi: tragica e disperata – quanto più fatica a tradursi su un piano sovraindividuale”. Insomma, l’Espressionismo, secondo Worringer, dimostrerebbe la sua inutilità proprio per il suo non essere voce di un’esperienza comunitaria.
In maniera ancora più radicale, scrive ancora Gurisatti, lo studioso tedesco “sposta il problema dall’inattualità dell’arte gotica nell’arte espressionista all’inattualità tout court dell’arte nella non-epoca espressionista. Priva di una comunità e di un popolo in cui affondare le sue radici, è l’arte stessa per Worringer a diventare heimatlos, ‘senza-patria’ e ‘senza-terra’, mera decorazione effimera di una ‘cattedrale invisibile dello spirito’”.
Tale lettura crepuscolare del fare artistico primonovecentesco finisce per estendersi a una visione altrettanto terminale dell’intera civiltà occidentale, una lettura che in filigrana non può che rimandare a Il tramonto dell’Occidente (1818) di Oswald Spengler, come viene confermato ancora più esplicitamente dal saggio Problemi attuali dell’arte (1921) di Worringer.





Wilhelm Worringer
Il Gotico. Problemi di forma
Curatela e traduzione Giovanni Gurisatti
Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2020
pp. 220

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