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Monday, 16 March 2020 00:00

Artemisia Gentileschi, la “pittora”

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“Mi ritrovo una figliuola femina con tre altri maschi, e questa femina, come è piaciuto a Dio, havendola drizzata nella professione della pittura, in tre anni si è talmente appraticata, che posso ardir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere, che forse principali Mastri di questa professione non arrivano al suo sapere”. Così scrive il pittore Orazio Gentileschi parlando della figlia Artemisia.

Proprio a lei lo studioso Raoul Melotto ha recentemente dedicato il volume Artemisia Gentileschi. L’artista in Italia (Odoya, 2019) ove viene ricostruita la parabola artistica di una grande protagonista della pittura secentesca trovatasi a lottare contro le violenze e le discriminazioni dell’epoca per “essere riconosciuta al pari di un uomo”. Il libro guida alla scoperta di musei, chiese e collezioni testimonianti la produzione artistica di questa “pittora” che tenacemente ha saputo conquistarsi un suo spazio all’interno del panorama artistico del XVII secolo.
Il volume propone percorsi ragionati che conducono in alcune città d’arte italiane alla scoperta di Artemisia: Roma (Palazzo Barberini, Basilica di San Carlo al Corso, Galleria Spada), Firenze (Casa Buonarroti, Galleria degli Uffizi, Galleria Palatina, Palazzo Pitti), Napoli (Museo di Capodimonte, Palazzo Zevallos Stigliano, Duomo di Pozzuoli). A tali percorsi principali si aggiungono poi itinerari bolognesi e pisani.
Pur godendo di una certa fama in vita, l’opera di Artemisia Gentileschi può dirsi del tutto trascurata nei due secoli successivi, ad eccezione di qualche breve annotazione su di lei, il più delle volte a margine di scritti dedicati al padre Orazio, pittore affermato.
Occorre attendere i primi decenni del Novecento affinché il nome della pittrice faccia nuovamente capolino all’interno di trattazioni di carattere artistico grazie a Roberto Longhi. Alla moglie di quest’ultimo, la scrittrice Anna Banti, si deve, invece, la pubblicazione nell'immediato dopoguerra di un racconto intitolato Artemisia, “considerato da alcuni il primo esempio in Italia di narrazione sperimentale, ma anche di documento leggibile in chiave femminista”. Avendo perso le prime bozze dell’opera, la scrittrice si è trovata a doverla ricomporre “sovrapponendo i ricordi personali a quelli della protagonista della vicenda artistica” dando luogo a “un’audace sperimentazione dell’istanza narrativa, con un io dotato di prerogative tipiche del narratore onnisciente, tuttavia limitata da una focalizzazione assai ristretta, generata dall’empatia che la scrittrice andava ricercando col personaggio di Artemisia”.
Nel corso degli anni Settanta la figura di Artemisia viene recuperata soprattutto in ambito femminista che ne metterà in risalto tanto la rimozione della pittrice-donna operata dalla cultura ufficiale, quanto la vicenda dello stupro e del successivo processo a cui è stata sottoposta.
L’interesse internazionale contemporaneo circa la figura e l’opera di Artemisia è invece in buona parte riconducibile alla mostra e relativo catalogo “Women Artists 1550-1950” tenutasi nel 1976 a Los Angeles. Sul finire del medesimo decennio lo stesso Roland Barthes si occupa della pittrice proponendo una sua analisi della rappresentazione della decapitazione di Oloferne in cui evidenzia soprattutto i riferimenti alle vicende personali patite dalla donna. “La ricerca di riflessi biografici nelle vendicative eroine dipinte dalla Gentileschi (quindi non solo Giuditta, ma anche Susanna, Lucrezia, Cleopatra) emergerà come un’ondata di piena in gran parte della letteratura femminista degli anni successivi” generando una lettura delle opere incentrata soprattutto sui riferimenti autobiografici.
Secondo Melotto, per un maggior equilibro interpretativo tra vicende biografiche e personalità artistica di Artemisia, occorre attendere il volume della storica dell’arte Mary D. Garrard, Artemisia Gentileschi. The Image of the Female Hero in Italian Baroque Art (1989), opera che indaga i modelli artistici su cui si è formata la pittrice.
Nei decenni attorno al cambio di millennio si sono moltiplicati tanto gli studi specialistici quanto i lavori  divulgativi sull’opera della Gentileschi. Tra questi Melotto ricorda “il lavoro di Alexandra Lapierre del 1998, un voluminoso ‘docufiction’ scritto come un romanzo ma documentato meticolosamente sulla base di fonti spesso inaccessibili e sino ad allora inesplorate, con una particolare attenzione agli anni più enigmatici della biografia della Gentileschi”.
Melotto si sofferma anche sulle principali mostre dedicate alla “pittora”: quella allestita nel 1991 a Casa Buonarroti a Firenze; l’esposizione “Orazio e Artemisia Gentileschi” del 2001 dislocata su ben tre sedi (Roma, New York e Saint Louis); la mostra del 2011 a Palazzo Reale a Milano (replicata in Francia); “Artemisia, la musa Clio e gli anni napoletani” del 2013 a Palazzo Blu di Pisa; l’esposizione tenutasi a Palazzo Braschi di Roma nel 2017, che, sottolinea lo studioso, “ha stabilito definitivamente le ‘ascendenze’ di pittori come Furini, Allori, Cigoli nello stile della giovane Artemisia, ma ha evidenziato altresì l’apporto di bottega nella sua produzione più tarda, rivelando in tal modo a un pubblico di non soli esperti i nomi di Palumbo, Cavallino, Stanzione, Codazzi e Gargiulo”.
Parallelamente agli studi di carattere artistico, anche le ricostruzioni della vita della pittrice hanno smesso di concentrarsi esclusivamente sui drammatici episodi della sua giovinezza ed a tal proposito Melotto segnala tanto l’importante lavoro di Francesco Solinas del 2011 – da cui si ricava un ritratto ben più complesso rispetto a quello incentrato esclusivamente sui soli eventi traumatici che avevano quasi monopolizzato le ricostruzioni precedenti –, quanto la monografia realizzata da Maurizia Tazartes nel 2013.
Per quanto riguarda le opere di fiction dedicate alla pittrice, nel volume si fa riferimento soprattutto al racconto di successo della scrittrice californiana Susan Vreeland, The Passion of Artemisia (2002), pur non esente da imprecisioni. “In esso l’autrice coglie sfumature della personalità della Gentileschi che avvicinano il suo personaggio alla sensibilità di un’eroina moderna; lo stile con cui l’autrice ha descritto alcune ‘scene chiave’ della sua vita, penso ad esempio a quella della tortura dei “sibilli” durante il processo o a quella del ricongiungimento col padre in Inghilterra, ha reso la figura dell’artista in qualche modo più familiare al lettore, rendendolo partecipe di una vicenda che per drammaticità e colpi di scena si direbbe già pensata per il cinema”.
Anche la studiosa Alex Connor si occupa della pittrice dedicandole il terzo capitolo di una serie incentrata su Caravaggio proponendo una lettura secondo cui “Artemisia si sarebbe riscattata da quanto subìto in gioventù offrendo al mecenatismo maschile del suo tempo un’immagine di vera e propria exploitation, un misto di sesso e violenza con cui stuzzicare le fantasie degli uomini. In tal modo, Artemisia risalta ancor più in tutta la sua eccentricità, non solo di artista donna, bensì anche di figlia che, contrariamente ai modi e ai costumi delle giovani di buona famiglia del Seicento, sceglie di comportarsi nella vita pensando come un uomo. Forse perché da sempre, così almeno ritiene la Connor, essa ha creduto di essere uguale agli uomini”.
Ne Le disobbedienti (2019) Elisabetta Rasy miscela invece l’attenzione per la diversità di genere a quella di carattere artistico. “Ricostruendo sei biografie in tutto, la scrittrice vuole mostrare un’indole che accomuna alcune artiste tra loro lontane per secolo, stile e destini di vita, ma grazie alla quale il loro nome è divenuto esemplare per la disobbedienza della donna nei confronti del dominio maschile”.
A far conoscere Artemisia al grande pubblico è però soprattutto una recente serie di documentari e docufiction, tra questi Melotto ricorda in particolare Artemisia Undaunted (2011) e Michael Palin’s Quest for Artemisia (2015).
“Non più considerata esclusivamente (e anacronisticamente) paladina di rivendicazioni femministe o alla stregua di episodio secondario di una corrente (non ben definita) come quella del caravaggismo secentesco, Artemisia può di diritto rientrare nell’ambito di studi che tengano conto di entrambi gli aspetti, vita e arte, indispensabili quando si vuole scrivere d’arte, qualunque siano l’artista e l’epoca in questione”.
Il volume di Raoul Melotto si rivela pertanto prezioso non solo per le analisi delle opere della pittrice e per le vicende che hanno segnato la sua vita di donna e di artista, ma anche per aver tratteggiato la fortuna critica di una pittrice oggi fortunatamente riscoperta dopo un interminabile periodo di oblio.
“Artemisia, testimone di un’esistenza intensa come poche altre nel panorama artistico del tempo, riuscirà a dare espressione alle sue passioni sapendo cogliere per ogni stagione della sua vita il mezzo più giusto con cui negoziare tra la sua indole donnesca e la cultura profondamente maschile della committenza. In questo, il caso della “pittora” o “pitturessa” costituisce davvero un’eccezione e una sfida, ancora tutta da vincere, nella comprensione delle arti figurative nel Seicento, secolo in cui gli affetti più forti e contrastanti trovano il loro palcoscenico ideale grazie a nuove o rivisitate forme di rappresentazione: a teatro, in architettura, nella ritrattistica e nel protoromanzo. La cultura dei sentimenti assumerà allora un valore, ineguagliato da altre civiltà, durante tutta l’epoca del Barocco europeo. Se ciò è stato possibile, lo dobbiamo anche a Artemisia”.






Raoul Melotto
Artemisia Gentileschi. L’artista in Italia
Odoya edizioni, Città di Castello (PG), 2019
pp. 352

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