“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 14 March 2019 00:00

“Il primo re": tremate, questa è Roma

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“Due fratelli, soli, nell'uno la forza dell'altro, in un mondo antico e ostile sfideranno il volere implacabile degli Dei. Dal loro sangue nascerà una città, Roma, il più grande impero che la Storia ricordi. Un legame fortissimo, destinato a diventare leggenda"

 

Uscito il 31 Gennaio scorso nelle sale cinematografiche, Il primo re, per la regia di Matteo Rovere − quello del pluripremiato Veloce come il vento − è un film semplice e complesso al tempo stesso: semplice poiché racconta una delle storie di genesi che più appartiene al nostro immaginario collettivo, ovvero la storia della fondazione di Roma, complesso perché decide di farlo attraverso delle scelte linguistiche e tecniche davvero poco usuali per il panorama cinematografico italiano, che già di per sé, non è abituato al cosiddetto genere peplum, che invece tanto bene hanno saputo declinare i registi americani con kolossal come Ben-Hur.

Ma Il primo re è qualcosa di diverso dal classico peplum, sia da film similari più recenti, come Apocalypto di Mel Gibson, che pur nella sua complessa struttura, racconta una storia primordiale di caduta e genesi.
Il primo re è un film storico ma moderno, che potrebbe essere definito quasi di formazione: formazione di una civiltà, quella Romana, formazione umana, quella dei due fratelli, Romolo e Remo, che nonostante il profondo rapporto che li leghi saranno l’uno contro l’altro, formazione religiosa, per i continui simbolismi e riferimenti ad una divinità superiore che sempre più è identificata con la madre terra, con la natura e i suoi elementi.
VIII secolo a.C., la storia è quella dei due fratelli allevati dalla famosa Lupa, Romolo e Remo, i gemelli che secondo la leggenda erano figli di Rea Silvia, discendente di Enea e del dio della guerra Marte. Il film si apre con un primo grande effetto speciale di forte impatto: travolti dall'esondazione del Tevere, i due fratelli si ritrovano senza più nulla se non loro stessi. Fatti prigionieri dalle genti di Alba, con astuzia riescono a scatenare una rivolta, dando inizio a questo viaggio nell’impervia foresta. Romolo è ferito, mentre Remo conquista la fiducia del gruppo dando prova di grande forza e coraggio, fino a quando, per volere degli Dei, i due fratelli saranno messi l’uno contro l’altro e solo uno potrà dare inizio alla grande storia dell’Impero Romano.
È interessante notare come la figura di Remo, per anni vista nei libri di storia come negativa e avida di potere, in realtà traspaia come figura moderna per il periodo: una sorta di self-made-man ante litteram che a un certo punto si ribella ad un sistema gerarchico governato dagli dèi e dal fato, per affermare la propria personalità e farsi unico padrone del proprio destino. Romolo appare come figura più debole, da accudire, proteggere, proprio per preservarne il ruolo di predestinato. La religione e il modo di viverla dei due fratelli sarà il vero motivo di scontro che li porterà ad un inesorabile mors tua, vita mea.
Il primo re ci propone una descrizione delle società arcaiche essenziale nella propria brutalità. Una natura primordiale e spesso avversa,  piena di spiriti e presenze demoniache, che il film non nasconde ma anzi, ci mostra in tutta la sua bellezza e bruttezza: una rappresentazione della leggenda poco lirica, ma anzi violenta, però di una violenza che sembra essere giustificata dallo spettatore e che dimentica alcuni valori estetici di questa natura ostile.
Il film è davvero un’opera ambiziosa, non solo per il genere ibrido e inconsueto per il nostro cinema, ma anche per alcune scelte tecniche: i personaggi parlano il protolatino, il film dunque è sottotitolato per tutti i suoi 127 minuti; i dialoghi sono in realtà pochi, lasciando ampio spazio alle azioni e alle immagini. Costato molto più di tanti altri film italiani − si parla di nove milioni di euro − la produzione è durata  ben quattordici mesi, ed è stato molto importate, per le ricostruzioni storiche, l’aiuto di storici ed archeologi, in modo da rendere il tutto quanto più vicino alla realtà di quegli anni lontani. Girato nei boschi e sui monti del Lazio, tutti gli attori coinvolti nel cast, in primis in due protagonisti, Alessandro Borghi (Remo) e Alessio Larice (Romolo), hanno dovuto calarsi nei panni dell’epoca mangiando davvero nelle foreste, ricolmi di fango, e lontani dalla civiltà.
Un film da vedere, che nonostante il protolatino e le scene splatter, fugge via e si lascia scoprire via via verso il finale, che tutti si aspettano ovviamente, ma che, rispetto al resto del film, risulta meno approfondito e dettagliato: l’impressione seduta in sala è stata quella di essersi soffermato poco sul momento in cui i due fratelli decidono di mettersi contro, come se ad un certo punto il film accelerasse improvvisamente e tu ti ritrovi lì, a tifare per Romolo o Remo, quasi sperando in un epilogo diverso.
La bellezza del film è quella di raccontare un mito antico dandone una lettura in chiave moderna, lasciando libero lo spettatore di decidere, arbitrariamente, chi sia per lui il primo re.





Il primo re
regia Matteo Rovere
soggetto e sceneggiatura Filippo Gravino, Francesca Manieri, Matteo Rovere
con Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Massimiliano Rossi, Tania Garribba, Lorenzo Gleijeses, Vincenzo Crea, Max Malatesta, Fiorenzo Mattu, Gabriel Montesi, Antonio Orlando, Vincenzo Pirrotta, Michael Schermi, Ludovico Succio, Martinus Tocchi, Nina Fotaras, Emilio De Marchi, Luca Elmi
fotografia Daniele Ciprì
musiche Andrea Farri
produzione Groenlandia, Gapbusters, Rai Cinema, Voo, BeeTV
distribuzione
01 Distribution
paese
Italia, Belgio
lingua originale protolatino
colore a colori
anno 2019
durata 127 min.

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