“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 21 April 2013 18:28

Un delirio e alcuni mostriciattoli rossi. L'arte di Elio Varuna

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In effetti l’Ilva chiude, 5 mila a casa e certo non ti aspetteresti che quel mostriciattolo rosso che zampetta di qua e di là, dall’apparenza innocua (apparenza ho detto, eh!), si occupi di questioni tanto dolorose e irrisolvibili perché poi i dividendi, perché poi la salute, perché poi senza lavoro che dobbiamo fare?, ma poi grida di panico e occhiate atterrite perché scippi e aggressioni nei decumani al buio dove l’uomo nero scugnizzo napoletano IGT di un tempo ora veste Prada e impugna fiero feroci smartphone e questo è niente! e questo è niente! quando poi capita anche che le nozze gay suicidio dell’Europa e tu sei già lì a brindare con gli amici alla fine di questa oscenità mediatica da frustini tedeschi marca Merkel (era solo per il gioco di parole e le assonanze assonanti!) o da calze autoreggenti stile Standard&Poor’s o da produzione di violenza preconfezionata verso negri, marocchini, albanesi di post-achea memoria e dorata alba di (neo)repressione che prima Hitler (evidentemente al mostriciattolo rosso interessa ancora! il nostro caro e colto amico, mostriciattolo rosso) e poi obiettivo Teheran (qualcuno in fondo, mentre sgranocchia un grosso gatto nero grida: “non ci crede nessuno!”) e infine la scelta del Papa che poi è stata quella di godersi la vecchiaia, scelta mirabilissima in un Paese in cui la vecchiaia è sacra almeno quanto una ricevuta vincente del Super Enalotto.

Poi arriva trafelato il mostriciattolo rosso di prima (intanto era andato un attimino in bagno a evacuare sacche di plasma) che racconta di una razzia in villa, l’avvocato spara al rom – scoppio di grida, di risa e giubilo, isterismo collettivo. Colpa degli zingari, sempre e solo colpa loro e poi: è sufficiente chiamarli “rom” e la coscienza è a posto, il rispetto della pluralità è rispettato, il pensiero della differenza differisce. Poco convinti? E invece poi mi è sembrato di vedere da più parti arrampicarsi quel mostriciattolo (spesso rosso, ma a volte quasi come evanescente e/o mimetizzato) capace di abbracciare l’Italia tutta intera, osservare il ratto d’Europa, asserragliarsi in una tela dai contorni chiari, e anche di arrampicarsi, dopo essersi moltiplicato più e più volte, sul vestito di qualcuno che vedo laggiù. Il neo-pop è anche questo.

Ma poi, senza pensarci troppo su, invito a cena con palpeggiamenti e una grossa e gigantesca vulva (ben depilata, a dire il vero, ma oscenamente ginecologica e scientifica) compare sulla grossa fronte spaziosa del cavaliere senza macchia né paura, Berlusconi, quella italica sacra e irrinunciabile abitudine (abitudine anche e soprattutto di centro-sinistrorsi incapaci di vedere al di là del naso o all’interno della vulva – come dir si voglia), che a botta di viagra e di spinaci alla Popeye, più o meno nello stesso momento che quanto è libero il nostro cervello sembra sorridere di gusto mentre legge scene del Decameron di Boccaccio ma quando poi la voglia di scherzare, cialtrona e da Basso Impero trascorre via, noi trasecoliamo perché in primo luogo omertà e pizzo (che poi è sempre il sud a raccontare meglio il nord – e che poi: che male c’è se amiamo il taglio e cucito e invitiamo la monnezza del nord quaggiù?) ma anche Puglia tossica dove si balla allegramente e si fanno dei bagni da favola acida oppure l’Italia dei brogli (che poi il mostriciattolo rosso, divenuto all’improvviso voce della coscienza e tonante super-Io, diviene psicanalista in doppiopetto e mi dice: tutta la democrazia è un imbroglio, e si gratta le palle che si sfaldano in forfora) – nel frattempo quello stesso mostriciattolo rosso che è poi sempre lo stesso almeno quanto è sempre diverso si arrampica un po’ ovunque e la sua espressione è triste forse, ma anche allegra, insomma è proprio un caro mostriciattolo dagli strani ma affascinanti lineamenti che tutto abbrancano. Poi ci troviamo dinanzi al fatto che Milano perde il 3,39% sentendo un profondo senso di malinconia e il nostro cuore struggendosi di dolorosa passione se non fosse altro perché le tasse salgono e in contemporanea (quasi si trattasse di un gioco perverso pensato da menti perverse adatte a un mondo perverso) la bolletta sempre più cara. In tutto ciò il mostriciattolo rosso, fagocitando idee e pensieri, malevole riflessioni e sorrisi benevoli, ingurgitando qualsiasi forma di produzione mentale umana sorride e diviene grosso sempre-più-grosso fino a che vorrebbe ingollare quel grosso gatto nero che si aggira per i cornicioni ma intanto si ferma e con voce basso-baritonale comincia una sorta di monologo su cose del tipo non abbiamo regole né discipline (e tutti i coglioni lì a fare il saluto romano o a sorridere grillinamente) e poi (cosa che a lui interessa oltremodo, evidentemente) la persistenza degli stereotipi che ci fa stare sempre abbastanza tranquilli e ovattati – non dico bambagia, ma ovatta ovatta ovatta – e infine – il momento più commovente dell’intera serata con mostriciattoli che gridavano allegri e malinconici – che cosa succede all’Europa se si spezza la coesione sociale fino a che (e lì grida e schiamazzi, scene di panico e disperazione collettiva, comunità di pianto rituale) Europa e mercati ora hanno paura.

Credo che così possa andare, mi dice il lobo frontale. E io rispondo semplicemente che questa è l’arte di Elio Varuna che ho potuto incontrare iersera, se poi sia veramente arte (ma poi: cos’è veramente Arte con la “A” maiuscola?) a questo punto non lo so, se sia invece la creazione di un mondo in cui la follia degli uni e degli altri, dei lucidi e degli opachi, debba costituirsi in opera, nemmeno. Ho preferito rincorrere un delirio, ché la razionalità di questi tempi mi sembra un gioco fin troppo serio e i cimiteri intellettuali si riempiono di gente di talento ma che sta male. Soltanto per questo. Si può allora parlare di surrealismo, mi dice il lobo frontale. Certo, rispondo un po’ piccato, ma parlare di surrealismo significa parlare e non surrealismo. Chiaro? No! Ma il problema, lo so, è mio: è che non ne ho voglia più di parlare perché so soltanto che di arte in questo momento non so parlare liberamente e serenamente. E che ho questo viziaccio, che di tanto in tanto piace anche a me divertirmi.

 

(Soltanto una breve nota: le parole in corsivo sono ritagli di articoli di giornale con il quale l’artista Elio Varuna ha farcito le sue tele e i suo collages. Tutto il resto è opera mia, cioè vacuità. Dunque: il responsabile sono io)

 

 

Elio e le storie fraintese

di Elio Varuna

Galleria 1Opera

Napoli, dal 20 aprile al 20 maggio 2013 

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