“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 23 October 2018 00:00

Dell'orrore e dei suoi derivati: NO

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Germania 1938: in un clima di orrore e indecenza sociale, Bertolt Brecht conclude la scrittura di Terrore e miseria del Terzo Reich, un lavoro di ventiquattro scene ovvero ventiquattro manifesti pubblici di quotidiana disfatta.
Il cerchio è chiuso, la svastica è in bella mostra, l’orrore compatto prende spazio nell’angolo giro e luminoso che definisce la scena: siamo al Teatro Elicantropo di Napoli, è un venerdì di ottobre dell’anno 2018 in cui l’autunno tarda ad arrivare, e il pubblico napoletano − ventaglio alla mano − gode dell’ennesimo regalo teatrale che porta l’inconfondibile firma di Carlo Cerciello.

Ci si trova davanti a flash, racconti veloci e squarci dilanianti offerti a quel tempo alla visione della borghesia tedesca della Germania nazionalsocialista (1933/1945), e riproposti oggi in Italia all’alba di nuove derive fasciste che prendono spazio tra le fila del governo e alimentano l’animo più nero e intollerante del popolo.
Ad essere coinvolti e messi in scena sono rappresentanti di ogni classe sociale: intellettuali, scienziati, medici, giudici, operai qualificati, bottegai, domestici, disoccupati e soldati. Nessuno si salva dal vortice nero del Terzo Reich, espressione con cui si suole riferirsi alla dittatura di Adolf Hitler che fu causa non soltanto di terrore e miseria tra la popolazione tedesca, ma anzi e soprattutto fu motivo di un black-out morale che fece chiudere gli occhi su indescrivibili orrori e spalancò le fauci dell’ingiustizia e della cattiveria sociale. 
La messinscena a cui si assiste e che viene riproposta dalle precedenti stagioni si avvale del gruppo di lavoro di allievi ed ex allievi del Teatro Elicantropo. La formazione di stampo elicantropino si evince in maniera perfettamente riconoscibile in tutti gli attori: dalla struttura asciutta e decisa di ogni aspetto della rappresentazione, alla forte espressività dei volti, alla gravità dei momenti passando per la tensione nervosa e la tenuta corporea, senza dimenticare il ritmo battente delle scene, l’impostazione della voce, la precisione geometrica degli spostamenti dei corpi nello spazio e su tutti la competenza tecnica.
Il tono generale che predomina è di natura tragica con tocchi e sfumature nettamente contrastanti.
Così si va dal taglio drammatico della scena della moglie ebrea costretta a lasciare suo marito tedesco pur di non rovinare la sua carriera, al comico e all’irriverente di momenti di puro cabaret come nella scena in cui una coppia di genitori, dato l’insolito allontanamento del figlio, comincia a sospettare che questi li abbia traditi e li stia denunciando ad una S.A.. Poco dopo si vedrà il figlio ignaro di tutte le elucubrazione genitoriali, fare ritorno a casa con in mano una barretta di cioccolata: in sostanza − e in una maniera che appare tragicomica − il ragazzino si era allontanato semplicemente perché aveva voglia di mangiare qualcosa di dolce.
È così che il paradosso prende il sopravvento su tutto attraverso gesti portati in scena che non sono mai fini a se stessi, ma si fanno portavoce di un significato altro e distorcente dei fatti.
In altre parole, alla vista dello spettatore si offre non soltanto la realtà per quello che appare e che è di facile comprensione, ma soprattutto la realtà per ciò che comporta, per la manipolazione psicologica e gli effetti allucinogeni che mette in atto; così ogni sospetto si traduce in certezza, ogni palese atto di discriminazione e abuso d’ufficio si trasforma magicamente in “malattia professionale”: così l’uomo licenziato ingiustamente diventa l’uomo caduto dalle scale. Sembra di essere davanti ad un antico trisavolo di Stefano Cucchi o qualcosa del genere.
Degna di nota è la scena a cui si è fatto riferimento poc’anzi della moglie ebrea costretta a lasciare suo marito: un’improvvisa sensazione di straniamento pervade lo spettatore assieme ad un arcaico e inevitabile bisogno di immedesimazione. Il dramma della donna costretta da forze superiori ad abbandonare l’uomo che ama e a pensare addirittura di dover portare con sé della biancheria intima nell’eventualità − auspicabile − di trovare un nuovo compagno, diventa il dramma di tutti.
Notevole la maestria di Cerciello nella costruzione delle scene: colori cupi e opprimenti, poca luce, pannelli che proiettano silhouette, abiti poveri e divise dell’epoca, scarsi oggetti, qualche telefono e poco altro scelto non a caso, ma con l’obiettivo preciso di trasmettere messaggi, manicale precisione dei gesti, ordine geometrico dei personaggi in scena come pedine in scacchiera nello spazio poco vitale della propria cella.
Qual è l’epilogo di tutto questo?
La soluzione è arrendersi alla miseria e al terrore del Terzo Reich o coltivare l’ottimismo?
La risposta è affidata ad una pasionaria di prim’ora che conclude la pièce con un tocco di speranza e di sana incoscienza come solo nell’animo di una donna si riesce a preservare: la soluzione è nel dire NO e opporsi all’orrore con forza d’animo e sorriso beffardo.
Praticare la strada della disobbedienza, sottrarsi alla paura, innaffiare i semi della rinascita.
Sul finale torna alla mente Chile, la alegría ya viene, ovvero la canzone simbolo della campagna pubblicitaria di Eugenio García per sostenere il comitato del "NO" al plebiscito cileno del 1988 per determinare se il popolo volesse conferire ad Augusto Pinochet un ulteriore mandato di otto anni come presidente della Repubblica. Il referendum vide la vittoria del NO, ma − è giusto il caso ricordarlo − tale episodio è successivo al Terzo Reich di cui abbiamo discusso sinora.
Che la storia continui ad essere una maestra senza alunni?
E se cominciassimo proprio noi ad praticare la dura, ma possibile strada del NO? Se lo facessimo oggi nel 2018, in Italia, davanti alla miseria e al terrore di nuove e moderne pratiche xenofobe, razziste e di stampo neofascista?


“Chile, la alegria ya viene
Chile, la alegria ya viene
Porque diga lo que diga
Yo soy libre de pensar
Porque siento que es la hora
De ganar la libertad
Hasta cuanda ya de abusos
Es el tiempo de cambiar
Porque basta de miseria
Voy a decir que no
Vamos a decir que no, oh oh
Con la fuerza de mi voz
Vamos a decir que no, oh oh
Yo lo canto sin temor
Vamos decir que no, oh oh
Todos juntos a triunfar
Vamos a decir que nooo
Por la vida y por la paaaaz
Vamos a decir que noooo
Chile la alegria ya vieeneee
Chile la alegria ya vieeneee”

 



Terrore e miseria del Terzo Reich
di  Bertolt Brecht
regia Carlo Cerciello
con Arianna Boccamaiello, Gianluca Bonagura, Elisa Buttà, Claudio Cacciaglia, Lorenzo Cavallo, Antonio Cilvelli, Valentina Dalsigre Cirillo, Francesca Davide, Luciano Dell’Aglio, Francesco De Landro, Giuseppe Del Sorbo, Giovanni Di Bonito, Andrea Di Ronza, Luigi Esposito, Mariachiara Falcone, Benedetta Fontana, Andrea Iacopino, Sara Iadicicco, Francesca Ieluzzo, Marta Marinelli, Alessandro Mastroserio, Marco Panico, Adriano Paschitto, Fabrizio Pino, Antonio Saulle, Roberto Savastano, Mattia Tassar, Alessandra Vallefuoco
scene Roberto Crea
musiche originali Paolo Coletta
foto di scena Guglielmo Verrienti
lingua italiano
durata 1h 30'
Napoli, Teatro Elicantropo, 19 ottobre 2018
in scena dal 18 ottobre all’11 novembre 2018

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