“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 08 June 2018 00:00

Valeria Malpeso, madonnara di corpi

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Quando sono andato a intervistare Valeria Malpeso, trentenne, creativa di straordinario talento, body painter e make-up artist dello spettacolo, avevo seguito le regole di un buon giornalista: fogli, penna e appunti. E li avevo persino presi, gli appunti.
Solo che da un po’ di tempo vivo in una bolgia, tanto che alcuni amici mi stanno pressando per creare cartelline in cui raccogliere bollette, documenti, interviste prese a penna. Figuratevi se li sto a sentire. Risultato: ho perso i fogli.

Eppure mi è davvero dispiaciuto smarrire quelli relativi a Valeria: un po’ perché lei non li perderebbe mai. Un po’ perché è una che ti inchioda, quando parla di arte. Un po’ perchè mi ero segnato i nomi delle sue allieve e delle modelle e adesso non li ricordo. Peccato. Una era anche carina.
Se mi sono deciso a scrivere lo stesso è per via dell’ultima frase che Valeria mi ha detto quando ho lasciato la sua scuola a Fuorigrotta: “Hai notato che facciamo tutta questa fatica a dipingere un corpo? E che dopo la fotografia che immortala il lavoro sarà fatica persa, in pochi secondi sotto l’acqua”. Lo avevo notato ma non osavo chiederlo. Eppure è questo il nodo. Chi dipinge un corpo lo fa con la stessa speranza di vita, per la sua creazione, di un madonnaro: poca. Però lo fa lo stesso.
A me i madonnari hanno sempre ispirato. Dipingono capolavori nei posti meno lussuosi, con i colori più poveri. Al posto della tela hanno il marciapiede. Poi, ad opera compiuta, si alzano e se ne vanno. Perchè devono proseguire il loro cammino, lasciando che quello che hanno fatto si dissolva materialmente e resti nella memoria, nell'immaginario delle persone. Tu lo guardi andare via, sotto la pioggia che ha lavato la sua opera, e gli vuoi bene per sempre.
Come sento di volerne a lei istintivamente, senza conoscerla. Fa bene le sue cose e le sue cose parlano di lei. Tanto basta.
Tornando alla mia capacità di smarrimento: se Valeria e i madonnari fanno uno sforzo effimero eppure pressoché eterno, cosa ci metto io a risuscitare il senso di quei geroglifici che insisto a scarabocchiare su pezzi di carta? La lezione è quella: non vale la testimonianza ma l’effetto, che dura per molto. A volte per sempre.
Così decido di raccontare l’esperienza sul filo di un ricordo ammirato.
La nostra madonnara dei corpi, a differenza dei suoi colleghi di strada, ha a che fare con la superficie più nobile, delicata, ostica e al contempo plasmabile che esiste: il corpo, appunto. Il fisico umano. Tuttavia lei spiega che dai difetti si trae ispirazione: “Il seno, le clavicole, il petto. Nella loro varietà diventano motivi”, dice. Quella mattina guardo i modelli e le modelle trasformarsi in figure della Santa Muerte, divinità messicana di origine precolombiana. Sono scheletri colorati che dovrebbero rievocare la sacerrità del decesso, a quanto mi dicono. Le allieve di Valeria, assecondando l’esempio diretto e le sue istruzioni continue, sempre puntuali (sembra che sappia continuamente dove vuole andare a parare e gliela invidio, ‘sta capacità), prendono una persona e nel giro di due ore le cambiano tutto. Connotati, luce, forse l’anima. Quando i ragazzi si girano sono Santi Morti. Fantocci che non fanno paura. Anzi, attraggono, rapiscono lo sguardo, si illuminano di veste nuova.
Valeria ha lavorato per il teatro, il cinema, la moda. Tempo fa ha vestito un gruppo con le maschere della vera Piedigrotta. Mi mostra il risultato ed è sbalorditivo. Anche perché una delle modelle la conosco, è la bravissima attrice Annarita Ferraro. “E questa sarebbe Anna?”, le chiedo. Trasfigurata in un abito composto da cartacrespa, come voleva la festa napoletana per eccellenza. “Si”, risponde lei. Parla poco e fa molto. Il corpo modellato dall’uso incredibile che sente nei colori lo dice al suo posto. Una bellezza senza fine.
Valeria non si ferma. Si aggiorna di continuo. L’ultima idea che ha avuto è metapittorica. Vuole fondere i suoi modelli dipinti allo sfondo che lei stessa provvede a creare. Dipingendo. Alla base della sua arte c’è tanto lavoro di matita e pennello. Tanti anni a scivolare su carta, legno, pietre. Ora su uomini e donne. Che in questa nuova maniera diventano una sola cosa con il contesto, in un gioco tra arte, umanità ed effetto ipnotico: dove inizia il vero e dove finisce il verosimile? Ma soprattutto: chi è vero e chi quasi?
Probabilmente lo sa solo lei. Se la cercate (ha una pagina Facebook molto attiva e piena di informazioni) vi dirà il nome delle tecniche che ho nominato. Me le ero segnate. Ho perso il taccuino, come sapete. Lei non me lo perdonerà, senza dirmelo. Perciò non parlatele di questo articolo da madonnaro.

 




Postilla:

Dato che senza conoscermi mi ha capito al volo, guardate cosa scrive Valeria nella mail in cui mi ha mandato le incredibili foto che vedete affianco al pezzo: Non so di preciso cosa scrivi in queste interviste, in ogni caso alcune cose me le hai chieste, ma se le dimentichi te le dico io: mi sono formata attraverso un percorso teatrale oltre che artistico (Accademia di belle arti) e per questo ogni volta che sviluppo un progetto per un body painting ricerco sempre la parte culturale e letteraria del tema che ho scelto, quel qualcosa in più che mi permette, attraverso questa ‘nuova’ e sempre più in evoluzione forma d'arte, di esprimere non solo la mia creatività, il mio punto di vista  e la mia visione del mondo (a volte anche distorta), della natura e dell'essere umano ma attraverso il ‘corpo’ della modella dar vita, movimento ed eleganza alla mia opera d'arte che, ahimè, ‘come tutte le più belle cose, dura solo un giorno. Come le rose’”.

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