“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 21 May 2018 00:00

L’ottava meraviglia del mondo in mostra a Napoli

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Nel cuore dell’antichissima città, all’interno della Basilica dello Spirito Santo, si trovano ora riuniti centinaia di simulacri di persone un tempo viventi, guerrieri cinesi facenti parte dell’esercito del III secolo avanti Cristo, la grande armata del Primo Imperatore Qin Shi Huangdi, “ottava meraviglia del mondo” racchiusa tutta nella riproduzione di figure umane, cavalli, armi, oggetti e carri da utilizzare sul campo di battaglia.

Una volta scoperte dal contadino Yang Zhifa nel 1974, e riportate alla luce, le opere ritrovate nella regione di Xi’An hanno rapidamente perso la colorazione che le contraddistingueva, ma non i tratti salienti della loro espressività. Al di là della policromia estinta come quella della statuaria e dei templi greci, il tocco vivace nel segno inciso che, minuziosamente accorto, si cura di riassumere i fili dei capelli, andando a sagomare ogni viso in modo preciso e tentando di riflettere nella forma migliaia di diverse personalità (non vi è un volto che sia uguale ad un altro) diviene ritratto di ognuna di quelle persone, pur non essendo con ogni probabilità, o almeno non per tutte le migliaia di uomini, il vero ritratto di ogni specifico individuo.
Osservando queste sapienti costruzioni che superano di poco la grandezza naturale, sorte da uno schematico assemblaggio di braccia e gambe su di un torso attraverso l’uso di diversi moduli per i calchi, e sopra questi, in seguito, plasmate in ogni dettaglio dell’abbigliamento e delle teste, si ha l’impressione che il tempo si sia fermato in una dimensione a metà strada fra la verosimiglianza e la stilizzazione. La finezza di particolari quali baffi con le punte all’insù o verso il basso, elementi come le calzature dei generali, riconoscibili per il margine squadrato della punta rialzata, la perfezione delle acconciature, la differenza tra la fanteria più umile, adornata semplicemente da abiti di stoffa, e gli esponenti di più alto grado, protetti da diversi strati di vesti e corazze più o meno elaborate proporzionalmente al grado, sono attenzioni volte a sottolineare l’esatta posizione gerarchica dei membri dell’armata, ognuno dei quali possedeva un ruolo ben specifico, all’interno di una struttura rigida e piramidale, ricalcata nella triangolarità delle posizioni relative alle tre fosse di scavo (con il gruppo più ristretto, con tutta probabilità l’alto comando, concentrato nella terza). Ma la squisitezza di quelle stesse crocchie, le imponenti barbe ed i certosini tasselli di armatura, così come, possiamo figurarci, le armi che ogni statua impugnava e di cui non resta quasi alcuna testimonianza se non grazie al ritrovamento di qualche reperto, fra cui una balestra praticamente intatta, divengono pure intensi tributi rivolti a coloro i quali erano stati chiamati a servire onorevolmente una causa superiore ed a seguire con fedeltà il destino dell’imperatore, anche dopo la sua, piuttosto prematura, dipartita.
La sensibilità estetica, condotta sino alla minuta decorazione, è a tutti gli effetti non soltanto testimonianza di pregio artistico e di potere, ma forse anche dono di perpetua riconoscenza verso quelle migliaia di valorosi, in un impero sconfinato che sembrava conoscere poca indulgenza. Se varie ipotesi sono state avanzate a livello artistico, studiando la possibilità di un confronto diretto con la civiltà ellenistica (a causa, sembrerebbe, del ritrovamento di tracce di dna mitocondriale europeo), il quale avrebbe portato all’elaborazione di un notevole realismo espressivo, certo è che la creazione dell’esercito di terracotta è un peculiare prodotto di una cultura differentemente complessa, alla ricerca di quella che per l’appunto sembra essere una sofisticata traduzione di puntuali significanti ed articolati messaggi, sviluppati in un ben funzionante apparato scenico, in un aspetto chiaro e sottilmente circostanziato, pur in una sintesi valevole ben oltre il suo caratteristico contesto. Non si conoscono ancora i tesori conservati nella monumentale tomba ipogea di Quin Shi, ancora oggi sepolta sotto cinquanta metri di terreno, e la curiosità intorno al sito è alimentata dalla negazione del permesso di scavo in attesa del raggiungimento di un livello tecnologico tale da assicurare l’assoluta preservazione della delicata testimonianza, ma anche a causa di una grande forma di rispetto nei confronti dei defunti e della rilevazione di alti livelli di metallo velenoso nei pressi del sepolcro. Secondo antiche scritture il mausoleo conterrebbe infatti una simbolica riproduzione dell’Impero ed un fiume di mercurio, sostanza che all’epoca si credeva capace di condurre all’immortalità.
Per quanto straordinario, ciò che è già stato rinvenuto è dunque soltanto la parte di un tutto ancora da scoprire, porzione ben rievocata all’interno dello scenografico percorso della mostra. Ma sebbene l’impegno nel fornire puntuali notizie storiche risulti piuttosto evidente, ciò che in maniera più efficace viene trasmesso attraverso una simile operazione espositiva è l’impeto, composto e ricomposto, di una comunità, militare per vocazione o dovere, laddove in questo caso le due situazioni coincidono, che continua, a trattenere in sé lungo i secoli, muto ma presente, l’afflato della vita. Ed è singolare, pur dinanzi a quelle che ricordiamo essere impeccabili copie delle sculture realizzate, seguendo pedissequamente il metodo antico, dalle maestranze cinesi a lavoro nell’area della necropoli, il sentimento suscitato da questo spettacolo possente ed inconsueto, di cui, in tale occasione, possiamo avere una parziale ma significativa idea (colpisce in questo senso l’allestimento nella zona centrale della grandiosa basilica ospitante, in cui suggestivi giochi di luce illuminano un numeroso gruppo della milizia con cavalli a seguito). Si direbbe, e senza voler ricorrere ad un vago romanticismo che per noi occidentali sarà sempre esotico, che davvero questi “esemplari” in terracotta abbiano qualcosa della nobile e idealizzata fissità dell’eterno, come tutte le sculture o le fotografie, eppure che esse serbino al tempo stesso un insieme, in ogni singola riproduzione, di valori ed emozioni a ben vedere assolutamente non repressi, ma solo dignitosamente riequilibrati nello splendore della parte più forte di ogni essere umano, in una stirpe ed un popolo che sovrappone in modo ordinato e fieramente cosciente il mestiere all’esistenza pubblica ed a quella intima, privata.
La dedizione, l’assunzione senza compromesso della responsabilità verso ciò che si è conformato come fulcro del paese di appartenenza, e verso il proprio compito ufficiale, orgoglio dell’individuale identità, viene esaltata nel momento stesso in cui subisce l’integrazione a quella della vasta squadra di compagni di guerra, nella totale devozione all’idea, alla figura del signore e comandante supremo, che unì la Cina impartendo le sue direttive sociali, versando fiumi di sangue e unificando lontani ed eterogenei saperi e tradizioni, che affondavano però le radici nello stesso, immenso territorio. La più intrigante scoperta che una mostra del genere può incoraggiare, è la comprensione di quanto sempre infinitesimale sia la nostra conoscenza di culture millenarie come quella cinese, che a seguito di uno studio sempre maggiormente incrementato, ed ora al risvolto di un interesse storico maturo ed approfondito, vede accrescere la già nutrita quantità di misteri, di luoghi immateriali che non si arriva mai ad esplorare sino ai più estremi confini, ammesso che ve ne siano, di verità e segreti disseminati in ogni distinto aspetto della vita passata e presente, in bilico tra quel sogno e quella realtà che in pari misura ci affascina non poter mai esaurire in un’esatta interpretazione.

 






L’Esercito di Terracotta e il Primo Imperatore della Cina
Trecento fra riproduzioni di combattenti (soldati, ufficiali, arcieri ecc.), carri, oggetti ed animali
a cura di Fabio Di Gioia
foto di Mario Zifarelli
Basilica dello Spirito Santo
Napoli, dal 24 ottobre 2017 al 28 gennaio 2018 – prorogata fino al 1° luglio 2018
www.esercitoditerracotta.it
pagina FB della mostra

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