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Friday, 06 April 2018 00:00

Decoro urbano e monopolio dell’immagine

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Diffusisi a partire dagli anni Settanta del Novecento, i graffiti urbani possono essere visti come una forma di espressione, una pretesa dei giovani, soprattutto delle periferie, di lasciare una traccia di esistenza capace di infrangere il monopolio del potere urbano. In questa direzione si muove il nuovo saggio curato da Alessandro Dal Lago e Serena Giordano, Sporcare i muri. Graffiti, decoro, proprietà privata (DeriveApprodi, 2018) ove si legge nell’azione di writer e street artist un tentativo di infrazione del monopolio dell’immagine a cui aspirano i poteri esistenti.

Evitando di entrare nel merito della controversa distinzione tra graffiti, writer e street artist, i curatori del volume individuando nella “dimensione autonoma e non autorizzata dell’attività artistica di strada” il terreno comune a queste pratiche al di là delle pur esistenti specificità.
Dal Lago e Giordano hanno già avuto modo di ragionare nel loro libro Graffiti. Arte e ordine pubblico (Il Mulino, 2016) su come il paesaggio urbano sia un campo di conflitto in cui si scontrano poteri ed interessi eterogenei e di come i confini tra la sfera di chi pretende il monopolio dei segni e le proposte alternative non siano poi così definiti e netti. In questo nuovo lavoro, dopo una loro introduzione generale, i curatori strutturano il volume in due parti: nella prima viene data la parola ai protagonisti attraverso una serie di interviste a writer (Airone, Breezy G, Mork, Panama, TUFF, Soviet_Volkswriterz) e street artist (Blu, Bue 2530, Collettivo FX, Ex Voto, Groove, Guerrilla Spam, Hogre, Incursioni Decorative, Lina, Nemo’s, Tiler); nella seconda si raccolgono alcuni interventi (di Marcello Faletra, Monia Cappuccini, Raffaella Ganci, Mattia Tombolini) che ragionano circa “il rapporto tra significati dei graffiti e repressione in nome del decoro”.
Attraverso le interviste ad alcuni wrtiter e street artist il libro ricostruisce per sommi capi il panorama complesso e variegato del mondo dei graffiti urbani. I writer selezionati dai curatori sono soprattutto appartenenti alla “vecchia guardia” che, raccogliendo l’esperienza della scena statunitense degli anni Settanta, si sono dedicati al writing nel corso dei Novanta. “Il loro punto di vista è molto chiaro. Tag, throw up e bombing sono attività dichiaratamente e orgogliosamente vandaliche. Non è possibile dunque, immaginare alcuna compromissione col potere [...]. Questa generazione non vuole nemmeno avere nulla a che fare con il mercato dell’arte, perché i writer non si considerano artisti”.
Gli street artist a cui viene data la parola nel saggio presentano punti di vista variegati che spaziano da chi opera come illustratore murale magari non disdegnando di lavorare in pubblico a chi ha come obiettivo la trasmissione di messaggi politici. Si hanno street artist che dicono di operare per provocare e altri che dichiarano di volere “educare al bello”. In generale, fanno notare i curatori, mentre il mondo dei writer ha spesso adottato forme cifrate e astratte, la street art, non di rado, si è indirizzata verso un recupero della figurazione pur stilizzata o caricaturale.
Ai cittadini vengono quotidianamente imposte le immagini pubblicitarie che ricoprono gli spazi urbani senza che ad essi sia richiesto alcun permesso, dunque, sostengono i curatori del volume, si può vedere nella pratica dei graffiti una reazione alla “proprietà monopolistica dell’immagine”.
Anche se in tutto il mondo i graffiti sono combattuti in nome dell’ordine pubblico, i curatori del volume sottolineano un’interessante distinzione tra il mondo nordamericano e quello europeo: mentre nel caso degli Stati Uniti “l’ordine è essenzialmente una questione di controllo sociale classico – in nome della volontà dei cittadini, del bene della società, della difesa della proprietà privata, ecc. – in Europa, e in particolare in Italia, i graffiti sono avversati in quanto violerebbero il decoro urbano”.
“Agire in difesa del decoro significa [...] dare per scontato un concetto che non lo è affatto – e quindi produrre qualcosa mentre si agisce dicendo di agire in suo nome. Il mistero del decoro, categoria opaca e performativa (al pari di altre analoghe, come la sicurezza urbana) si risolve facilmente notando che esso rimanda a un conflitto incessante e senza esito; quello tra i detentori di proprietà, reali o immaginarie, e gli espropriati, i cittadini che non hanno accesso alle risorse, materiali, simboliche ed estetiche”.
La tesi di Dal Lago e Giordano è che, vista la mancanza di un criterio socialmente riconosciuto di “bellezza” della scena urbana, chi intende vietare o cancellare i graffiti in nome del decoro, in maniera più o meno consapevole, sotto alle motivazioni estetiche finisce col celare in realtà una spinta alla “conservazione della proprietà”. “Conservazione, ovviamente, nel senso di strenua difesa del proprio, ma anche di mantenimento di una tradizione, di ciò che Max Weber chiamava “eterno ieri” o autorità dell’antico e del vecchio in quanto tale – e quindi rifiuto del nuovo”.
Attorno ai discorsi sul degrado, sostengono i due studiosi, sembra esservi “la promozione di altri criteri: l’espressione della pluralità delle voci di una città, la libertà comunicativa, la lotta contro i privilegi della proprietà e, perché no, l’innovazione artistica. Decostruire il decoro può significare così non solo andare alle fonti di un luogo comune assai diffuso, ma difendere il diritto a un’effettiva democrazia urbana, se non altro visiva”. Dunque, continuano i due, l’ossessione del decoro urbano “in quanto manifestazione di una versione anacronistica di individualismo possessivo” finisce con l’essere “la negazione di qualsiasi pluralismo sociale e politico”. Attorno alla questione del decoro urbano si fronteggiano la pretesa che a decidere l’estetica urbana siano i detentori del potere economico e politico e l’espressione di messaggi che in qualche modo mettono in discussione tale pretesa.
La battaglia che si combatte attorno all’estetica urbana è un fenomeno complesso, e forse oggi lo è più che nei decenni passati. Tante le questioni che entrano in campo e il fronte degli “imbrattatori di mura” appare decisamente eterogeneo. Da parte sua il sistema-arte tende a riassorbire le produzioni persino di chi lo contesta sia lusingando gli autori di poter entrare a far parte dell’arte “che conta” (i quattrini) che appropriandosi delle opere di chi non ne vuole sapere della mercificazione della creatività. Da parte loro gli abitanti delle metropoli, nella maggior parte dei casi, restano sostanzialmente in balia tanto del potere politico-economico che disegna a proprio utile la scena cittadina, quanto di chi, magari nottetempo, armato di bomboletta decide l’immagine delle mura del quartiere.



 


Alessandro Dal Lago, Serena Giordano
Sporcare i muri. Graffiti, decoro, proprietà privata

DeriveApprodi, Roma, 2018
pp. 144 + 16 illustrazioni

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