“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 10 April 2013 08:58

Le colline del demonio

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Ottavo appuntamento con la rassegna Visioni dedicata al cinema d’autore. Questa volta viene presentato Oltre le colline, film vincitore all’ultimo Festival di Cannes della Palma d’oro per la migliore sceneggiatura e per la migliore interpretazione femminile (andata ex-aequo alle due protagoniste, Cristina Flutur e Cosmina Stratan). Cristian Mungiu porta a casa un altro prestigioso riconoscimento, dopo la Palma d’oro per il miglior film vinta nel 2007 con l’opera seconda 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (il suo esordio nel lungo risale al 2002 con Occident cui seguono un episodio del film collettivo Lost and Found nel 2005 e la co-produzione e co-regia di un altro film collettivo – Racconti dell’età dell’oro – nel 2009).

Luogo della vicenda è ancora la sua terra rumena, anzi un angolo della Moldavia dove sorge un piccolo monastero di suore ortodosse, poco lontano da un’anonima cittadina di provincia. Il tempo è quello presente, quello dell’era post Ceausescu che ha visto la Romania trasformarsi in terra di emigranti e impoverirsi del suo patrimonio umano e sociale. Alina è una giovane emigrata in Germania che torna momentaneamente a casa per convincere la sua unica amica Voichita – cresciuta in orfanotrofio come lei – a seguirla in Germania. Solo che, nel frattempo, Voichita è entrata in un monastero ortodosso, una piccola comunità di donne che lì hanno trovato rifugio dalle tempeste della vita (c’è pure una donna che ha abbandonato il marito), retta da un sacerdote che dice messa e da una madre superiora.
Alina è innamorata di Voichita (è l’unica persona a cui ha voluto bene, l’unico vero affetto, dato che né il fratello ritardato né i genitori adottivi, presso cui ha vissuto per pochi anni, hanno rappresentato per lei dei punti di riferimento) e fa di tutto per convincere l’amica ad andare via insieme. Vista l’inamovibilità di costei, Alina decide di restare al convento pur di rimanerle accanto, ma la sua insofferenza al rifiuto dell’amica più che alle regole del cenobio le provocano scatti d’ira e autolesionismo. Portata in ospedale, viene dimessa poiché fisicamente in buona salute. Ma le turbe continuano e la sua condotta convince il prete ad allontanarla dal convento e a rispedirla dai genitori adottivi in compagnia di Voichita. Qui scopre che il suo posto è stato preso da un’altra ragazza e, inoltre, la prospettiva di allontanarsi dalla sua amata la spinge a privarsi di tutti gli oggetti e a donare alle monache la piccola fortuna accumulata negli anni, pur di rientrare al monastero. Gli eventi precipitano allorquando la madre superiora ritiene che l’unico mezzo per salvarla dalla sua irrequietezza sia sottoporla ad un drastico esorcismo.
Ancora un film che parla di religione e dell’impatto che ha sulla vita delle donne (dopo l’ebraismo de La sposa promessa e l’islamismo de La bicicletta verde) anche se in questo caso il controllo dell’elemento fideistico si limita al microcosmo isolato del convento, mentre tutt’intorno la vita è regolata dalla modernità nella sua accezione postideologica. E proprio dall’antagonismo a un ateismo di stato subìto per decenni che si sviluppa il rinnovato interesse per la fede ortodossa nei suoi aspetti più radicali e antimoderni. Ma al regista non interessa criminalizzare la cecità e la chiusura dell’ortodossia. Anzi, in alcuni passaggi i ragionamenti del prete sembrano improntati ad una prudenza piena di buonsenso oltre che di premura sincera per il benessere psicofisico di Alina, e questo però non dà conto della scelta sorprendentemente tragica che, in buona fede, si risolve ad adottare. Anche il progressivo peggioramento dell’equilibrio psichico della povera ragazza non trova alcun argine di razionalità, nessuna dimensione credibile di compassione con cui venire controbilanciato, o quantomeno compreso.
Certo, altro elemento fondamentale della pellicola è la mancata conciliazione tra la dimensione privata e quella pubblica, sociale, dell’identità: Alina esiste solo in funzione di Voichita, l’amore che nutre per l’amica non ammette allontanamenti. E soprattutto è resa in modo evidente la frustrazione per l’amore non ricambiato: Alina non accetta che l’amica non la segua e che le preferisca la vita arida e mortificante del convento. A Mungiu i travagli interiori di Voichita non interessano, il personaggio ci viene presentato come già risolto nella decisione di prendere i voti. Del resto le sfumature interiori mal si adatterebbero ad una narrazione che procede per dinamiche sostanzialmente di genere.
La progressione drammatica degli eventi, i momenti delle svolte sono tenuti fuori campo, e lo sgomento che assale le suore che annunciano i drammatici eventi di cui Alina si fa protagonista appartiene più all’horror che al film d’autore. In ciò Mungiu sfrutta al meglio l’isolamento geografico del set, l’atmosfera da fiaba gotica avvalorata dalla neve, ottenendo tutto ciò senza l’ausilio di uno score tradizionale, ma solo di rumori di fondo, reali, presi dall’ambiente, ossessivi, meccanici. Mungiu si conferma regista di grande talento e si spera che il nuovo cinema rumeno conosca una distribuzione meno limitata nelle nostre sale.

 

 

Visioni
Oltre le colline (Dupa dealuri)
regia Cristian Mungiu
con Cristina Flutur, Cosmina Stratan, Valeriu Andriuta, Dana Tapalaga, Catalina Harabagiu, Gina Tandura, Luminita Gheorghiu, Costache Babli
sceneggiatura Cristian Mungiu, Tatiana Niculescu Bran
fotografia Oleg Mutu
musica suoni in presa diretta
paese Romania
distribuzione Bim
lingua originale rumeno
colore colore
anno 2012
durata 155 min
Avellino, Cinema Partenio, 3 aprile 2013

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