“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 09 April 2013 10:03

The revolution will not be televised (parte seconda)

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II

   qualche giorno fa (almeno penso che fosse così) ho sentito alcune persone ridere, uno diceva: “ahahah”, l’altro invece rispondeva: “eheheh”, le loro voci mi arrivavano ovattate e le mie orecchie indolenzite e gonfie di pus formavano come un tappo, la notte immagino (o sogno?) spesso una sorta di cavatappi da infilarmi nelle orecchie, sogno chiaramente che con la mano destra faccio ruotare il perno e con la mano sinistra tengo fermo l’arnese, e poi sento pienamente lo sforzo che ci vuole per tirare fuori quel tappo, come quando la bottiglia di vino è stata messa in frigorifero e si fatica a stapparla,

  

   l’altra notte, dopo aver tirato fuori il tappo dal mio orecchio, ho sentito come una piccola esplosione (nell’orecchio), ora non sono più sicuro se nell’orecchio sinistro non si sia sfondato il timpano, poco male, comunque, non me lo sfonderà l’uomo che io amo e che mi rompe le ossa, l’uomo di cui un giorno o l’altro noi tutti ci ciberemo,

  

   è stato il mio pensiero ossessivo, forse, comunque non so come sia stato possibile, qui io non sono nel mondo, sono da qualche altra parte, non sono certo sugli schermi di qualcuno e sicuramente non sono sui volantini pubblicitari con i volti sorridenti delle nostre esistenze, no, io sono soltanto: non so da quanto tempo sono chiuso qui, e poi

 

   voglio cibarmi dei miei aguzzini,

  

   l’ultima persona che ho visto è il solito tipo con gli occhialini scuri che fa tante domande e vuole tante risposte, io dico quello che dico e non dico quello che non dico, quando gli spiego questo assunto, cioè che dico quello che dico e non dico quello che non dico, lui sorride (mi guarderà da sotto quegli occhialini o prova soltanto soddisfazione per la sua vittoria?) e mi dice che non fa nulla, a lui interessa soltanto che io dica qualcosa ogni tanto e che soprattutto non ne dica altre, basta questo, basta l’impressione che io stia tacendo importanti verità,

 

   che sia vero o no poi, è soltanto un problema filosofico, il problema della verità, per questo a volte penso di non avere speranza,

  

   la schiena mi fa male, comunque, e mi fanno male (e provo vergogna ma lo dico: io spesso piango dal dolore e a volte piango dal dolore anche dinanzi ai miei aguzzini) gli strappi ai muscoli delle braccia e le scapole spanate che non mantengono più bello fermo il testone dell’omero, questo maledetto omero, ogni volta che vuole, esce fuori a macinarmi i muscoli fiaccati, ma è un dolore che conosco e riconosco e anche lui conosce me e mi riconosce, e così mi fa un po’ meno male, basta poco tempo e il dolore va già sfumando, dopo qualche ora però è peggio, molto peggio, se avessi capelli in testa a volte li strapperei tutti, anche soltanto per fissare l’attenzione su qualcosa, sul quadretto, sul pescatore, ma poi infine il dolore sfuma veramente, non che il tempo sia importante in certe circostanze, i nostri filosofi ci hanno insegnato che il tempo è una condizione interiore, d’accordo, io solennemente concordo con i nostri filosofi intellettuali sapienti, quanto dura il dolore? non lo so, non ha importanza per me, ha importanza soprattutto per i miei aguzzini,

 

   ma c’è un piccolo problema: non credo nell’interiorità e non voglio stare più all’interno di me stesso, hanno scoperto la schiavitù perfetta, la perversione dell’intima solitudine, io voglio entrare nelle camere da letto delle persone, voglio starmene seduto in mezzo a una piazza, voglio uomini e donne da guardare mentre fanno questo o quello, voglio entrare in tutti i luoghi delle persone ed essere comunque sempre la loro verità esteriore,

 

   ma ora mi sto confondendo, ho perso ancora una volta il filo della mia riflessione, fissare l’attenzione è sempre il mio problema, le barche dei pescatori, il linoleum a quadri, il sorriso allegro di Alessandra (dove sei?), ma il fatto vero è che la questione dell’interiorità non mi ha mai convinto,

  

   e così ricordo ancora quando sono cominciate le mie ossessioni, può sembrare contraddittorio che uno che è palesemente impazzito, possa in uno slancio di lucidità raccontare la genesi della sua follia, non vi diverte questa cosa?,

 

   a me, no!,

  

   se almeno studiassero la mia anima, il mio spirito, sarei una cavia trattata bene (o almeno lo spero), e così vi chiedo: perché non si studia la fisiologia spirituale del rivoluzionario?, qui tutti mi darebbero da mangiare tutti i giorni, forse mi laverebbero, mi darebbero ogni tanto vestiti nuovi, ogni tanto riceverei le loro cure amorevoli soltanto perché sarei importante per le loro ricerche, mi studierebbero con i loro macchinari e finirei nello loro cartelle cliniche, potrei essere importante per il progresso della nostra umanità meravigliosa, e invece no, a nessuno interessa più l’origine della follia, l’origine della gioia e della rivoluzione, non sono tempi di studio questi, o la scienza è selettiva, questi sono tempi di reclusione e di distacco dal mondo, di assenza assoluta da ogni faccenda umana, ma perché allora non mi ammazzano?,

  

   di notte qualcuno entra nella mia cella, ma non pensate che la mia cella sia come quelle dei film che vedete o dei libri che leggete, non lasciatevi trascinare dal vostro immaginario, non si tratta di una cella lercia e sporca, con un materassino gettato da qualche parte, un pitale per i propri bisogni, una finestra da cui è possibile vedere il sole a scacchi, un topolino che scorazza allegro tra escrementi e chiazze di umidità impantanata, no no!, quella è letteratura (o reclusione ordinaria, chissà), quello sarebbe un sogno e a volte il mio pensiero arriva fino a lì, e invece la mia condizione è del tutto diversa, i tempi sono cambiati, l’unica cosa lercia e sporca di questa cella sono io, il resto è di un nitore e di una limpidezza che lascia atterriti, a volte mi rotolo a terra per sporcare questa stanza e vorrei gridare a causa della luminosa pulizia di queste pareti, i miei aguzzini forse vogliono anche questo, che io percepisca la differenza fra me e la cella, la mia cella viene lavata e disinfettata tutti i giorni, quando avviene questa operazione vengo rinchiuso in un piccolo sgabuzzino (pulito anch’esso), probabilmente la mia cella è molto più pulita delle case dei miei aguzzini,

 

   ma sono sicuro che non mi invidiano,

  

   comunque di notte qualcuno entra nella mia cella disinfettata,

 

   disinfettata e la mia prima paranoia è nata proprio da questo, da dove vengono tutte le infezioni che continuamente scavano il mio corpo?, da dove viene tutto questo pus che incrosta la superficie del mio corpo e (immagino) le sottili membrane dei miei organi interni?,

  

   mi rammarico di non aver mai studiato anatomia, ora saprei le cause di tutto, però quando la febbre sale alta a causa di un’infezione che sento propagarsi come uno sciame di locuste, questi signori entrano e con poche iniezioni mi rimettono in sesto, oggi posso addirittura alzarmi dal letto, soltanto la diarrea non si arresta quasi mai,

  

   comunque di notte qualcuno entra nella mia cella disinfettata e sono convinto che lo fa per farmi impazzire, io sento che c’è qualcuno ma non posso vederlo e toccarlo, avranno inventato qualche altra cosa perché io non li riesca a scorgere, poi sento zampettare qualcosa, un leggero fruscio metallico di ali tremanti e quasi tutte le notti qualcosa che cammina sulla mia gola,

  

   non ricordo bene, ma è proprio quello il momento in cui cominciano le ossessioni, sono cose che ho studiato un tempo, non lo dico per sentito dire, ma i nostri luminari non capiranno mai (se non mi studiano) come sia possibile indurre la follia e l’ossessione e la paranoia in una mente sana come la mia,

 

   di notte, a volte, non riesco a pensare neanche alla rivoluzione, ma soltanto agli scarafaggi (immaginari o reali, nella mia situazione poco cambia) che mi saltellano addosso e fanno frullare gioiosamente le loro alette da sotto la coriacea e azzurrina corazza del loro resistente corpo,

  

   per un periodo gridavo sempre: sono sano!,

  

   la mia mente era sana, io avevo le idee chiare quando ero libero, sapevo cosa fare e sapevo come organizzare le mie azioni, certo un po’ come tutti voi ero anche contemporaneamente uno schiavo, schiavo del lavoro, schiavo dello sfruttamento, schiavo della mentalità dominante, schiavo dello spettacolo generalizzato dell’economia, schiavo di me stesso come merce in vendita, ma lottavo in mezzo alla gente che però spesso si sentiva libera, libera di lavorare, libera di farsi sfruttare, libera di affidarsi ai pensieri altrui, libera di partecipare allo spettacolo, libera di vendersi,

 

   lo so!, dovrei chiedere scusa per la banalità di queste riflessioni, ma quando si vive immensamente soli, c’è bisogno di crearsi dei ritornelli di pensiero, e così è sempre più raro pensare a qualcosa di nuovo, più spesso si improvvisa con i pensieri su alcuni standard, quasi sempre invece lo si deve soltanto ripetere lo standard, così com’è, uguale a se stesso, tutto questo è necessario per riempire il tempo (che ora mi rappresento come un contenitore accartocciato di stagnola) ed è soltanto un altro modo e un estremo tentativo per fissare l’attenzione e non scomparire nell’immensità senza pareti di una mente senza mondo,

 

   e allora proseguo: il mondo non lo si vive nell’ascesi e nel distacco, sì! i nostri esimi teologi (così come i nostri altrettanto esimi uomini politici) possono anche dirci che è quella la vera libertà, il distacco dal mondo comune e la reclusione nei desideri più privati e inconfessabili, ma tutti indotti, e io rispondo: preferisco vivere la schiavitù della libertà dei nostri tempi e lottare sempre e comunque piuttosto che arrendermi, e io, cari signori, ho lottato per la libertà, o per una cosa del genere, ora non ricordo più bene, libertà è parola ostile e poco ospitale, e così mi hanno estirpato dal mondo, e non trovo pace, mai! mai!, il mio spirito è schiavo almeno quanto il mio corpo, ma quello che mi fa soffrire di più è l’estinzione di qualsiasi volontà e di qualsiasi finalità, sperare o supplicare di mangiare e di lavarsi sono scopi per i quali impegnarsi?, non avere diarrea che esplode quattro cinque volte al giorno è uno scopo?, la mia condizione è come la vostra: schiavo di falsi desideri e di bisogni indotti, e vita senza scopo, (lo so! è un paradosso: voi vivete all’aria aperta, vedete le barche e i colori, l’azzurro del cielo, il sorriso di Alessandra, il rosso di un possibile avvenire, e non fareste mai a cambio con la mia vita, lo so! è un maledetto paradosso ma serve per campare meglio), ma quanto sto diventando sentimentale!, ma quanto sono vecchie queste mie riflessioni!, quante persone lo hanno detto prima e meglio di me!, quanto mi annoio a sentirmele ripetere nella testa!, e così ripeto: perché non mi ammazzano?,

  

   ma io ero tutto dentro il mondo, lo penetravo e lui mi penetrava, a volte mi si gonfiano gli occhi soltanto a pensare alla folla per le strade, ai riti collettivi di lotta e protesta, ma anche a quando si va a comprare il pane e c’è qualcuno che si infila prima di te per pagare prima di te, o quando sentivi semplicemente la voce di qualcuno, che non era né amico né nemico,

 

   ma quando camminate per strada non siete contenti di sentire le voci delle persone?, 

  

   ma il mondo è violento e io l’ho assaggiato il mondo, ne subivo le violenze, ero costretto da orari e da ritmi di produzione, ero legato a tutti gli altri nella forma dello sfruttamento reciproco, c’era chi rimpiangeva la purezza dei tempi andati, e che io chiamavo ridicole figure sentimentali, e quelli come me che lavoravano giorno e notte per pensare a un nuovo modo per costruire un nuovo mondo lontano da questa impurità, non attraverso la fuga in un passato idealizzato ma soltanto attraverso la gioia che dà pensare a un mondo completamente diverso,

  

   accettavo tutte le violenze del mondo, la rabbia la costruivo giorno dopo giorno, dandole la forma adeguata e impastandola con i sogni, facevo tutto questo lavoro intellettuale e fisico perché avevo un sogno: la rivoluzione mondiale e globale,

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