“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 05 December 2017 00:00

“Proiezoni (oltre il tempo)”: Candeloro al MANN

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Non ci sono strati di esistenza da nascondere dietro ad altri, e nemmeno piani di materia e luce di diversa dignità rispetto a quelli apparenti. In questi intagli di plexiglass l’artista suole scavare, definire un possibile attraversamento di tali diverse stratificazioni, e più fortemente la loro convivenza, rendendola chiaramente visibile, semplificandola a livello formale come si farebbe con una sezione abitativa, utilizzando lo skyline di città molto diverse fra loro, per tracciare le linee sovrapponibili della realtà, in direzione di una riflessione che sulle fattezze del moderno ricostruisce l’immagine mentale di ciò che compone il reale, analitica ma idealizzata, perché priva della consapevolezza di tutti i dettagli ed i dati universali, inconoscibili nella loro interezza e nel loro vero aspetto.

Negli stessi istanti in cui vive il progetto Pompei@Madre, il “Matronato” del Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina accordato all’esposizione illustra la compartecipazione delle diverse istituzioni nella realizzazione di quello scopo di approfondimento del legame fra arte del passato ed arte contemporanea di cui l’Archeologico è da molto tempo fautore, e più precisamente della sottile e profonda corrispondenza fra esse, considerando che tutta l’arte è sincronica al proprio momento storico, e che dunque anche la mostra del più remoto manufatto significa occasione per riconsiderare un’espressione nata quale contemporanea, e trarre da essa una rinnovata sostanza culturale (in fondo nella città di Napoli si è sempre portato e si continuerà a portare contestualmente l’antico fra i contemporanei ed il contemporaneo fra gli antichi). Tutto è quindi un giocare con emanazioni e frammenti non immersi nella fluidità del tempo e dello spazio ma in quella del pensiero umano, che non ha data di scadenza e che pur modificando incisivamente l’ambiente e le circostante durante il passare dei secoli resta saldo nelle sue linee guida, attraverso le sue proprie caratteristiche prospettive di azione e di interpretazione.
Tommaso Trini pronuncia il termine ‘bizantino’ durante il discorso in merito alla qualità che la luce assume nel veneziano Candeloro, intercettando un importante riferimento, qualitativo molto più che storico, per identificare la proprietà luminosa di tali cromie accese di un’artificiale, per cui astratta, ieratica rifrazione. Essa si avvale di uno spettro e di conseguenti riflessi acidi come nella tinta di un evidenziatore, distesi ed ingentiliti nel loro espandersi sul pavimento e sulle pareti del museo, pensiamo anche all’intervento sui vetri delle finestre, tramite l’attivazione data dalla luce naturale del giorno, interagendo con l’ambiente circostante e varcando le soglie dell’immateriale, pronto a richiamare il concetto e la spiritualità che aleggia gravitando intorno alle teste dell’Ercole Farnese e di tutti i freddi e potenti marmi antichi, accentratori di valori eterni ed impalpabili proprio grazie all’opposizione di una consistenza ben diversa, solida come la durezza della loro pietra, la quale non reca le tracce del colore che migliaia di anni fa aderiva alla “pelle” di molti degli originali greci.
L’installazione Città delle Città, risalenti al 2010, la quale ci saluta dall’atrio del museo (si tratta di Kassel, Castel del Monte, Napoli e Seul), conta diverse lastre come proiezioni dalla colorazione “velenosa” di toni arancio, verde, viola. Superfici intagliate dal laser schermano stampe a raggi UV di immagini fotografiche, e sono una differente declinazione di un progetto visivo continuativo, che procede con la nettezza e la scarnificazione ulteriore di quella materia negli Alterni Passaggi e Passaggi Alterni, in cui il verso del contorno della sagoma si rapporta con il suo rovescio, interpella il suo “sottosopra” e, viceversa, viene interpellato da esso. Ma entrambi non sono mai opinione sulla città e sull’abitare umano, bensì sviluppo concettuale che nel filo di forma dei neon dai toni complementari, contrastanti nella disposizione dipanata dietro l’esemplarità del gruppo scultoreo del Toro Farnese, trova il suo culmine. Le piccole animulae che puntellano la composizione, già presenti nei lavori precedenti, superano, insieme a quel filo elettrificato in cui la tinta si manifesta gradualmente, ad alternanza e poi in simultanea con le altre, gli screzi presenti sui molteplici Occhi, sparsi variamente lungo le sale ed ancora immaturi, specie se confrontati con questi ultimi sviluppi. Ma le Linee del tempo che sono alle spalle del Toro Farnese e ne contornano la figura vanno lette congiuntamente all’opera che con una strana, violenta e al contempo pacata eleganza dell’essenziale arabesco segmentato, incorniciano.
Lo skyline, che qui appartiene alla città di Beirut, come negli altri casi, non si fa ricordo della città, si costituisce da subito come percorso sospeso nell’etere, nello stesso modo in cui l’idea prende il volo ascendendo dall’immagine che l’ha suggerita, contestualizzandosi in qualità di impressione puntuale dal punto di vista geometrico, ma vaga per quel che riguarda un contenuto il quale è fattezza di un ricordo pur senza esserlo precisamente. Si arriva ad interiorizzare qualcosa di non delineato ma presente, a commisurarlo con le proprie memorie ed a metabolizzarlo come la sensazione visiva di un tracciato che si è percorso eppure non si è fattivamente percorso, in un richiamo all’umano che qui è più a latere nella rappresentazione sul piano della forma perché spostato, per l’appunto proiettato, e concentrato, su quello intellettuale. L’intervento consta in un’installazione bidimensionale, è però la tridimensionalità o meglio la multidimensionalità dell’estensione dell’esistenza ad accomunare le due manifestazioni, incorporando sia l’opera antica che quella odierna come due essenze naviganti nel medesimo fluido, sulla stessa traiettoria priva di direzione e consequenzialità temporale, creata e contaminata dall’intelletto e dal sentire.

 




Proiezioni (Oltre il tempo)
Installazioni ambientali dell’artista Francesco Candeloro
a cura di Valentina Rippa
catalogo Marsilio Editore, testi diTommaso Trini e Valentina Rippa
Museo MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli)
Napoli, dal 14 ottobre 2017 all'8 gennaio 2018

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