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Friday, 24 November 2017 00:00

Bernini multimediale e montaggio ejzenštejniano

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Scultore, architetto, pittore, scenografo e drammaturgo, Gian Lorenzo Bernini ha orientato la ricerca espressiva verso l'unificazione delle diverse arti in nome di un unico grande programma retorico. L’opera berniniana palesa l'ambizione a espandere gli aspetti naturali in portati immaginari ed è soprattutto nell’intervento architettonico che, avvalendosi di una prospettiva sviluppata in chiave illusionistica, intersecandosi con le altre arti, riesce a collegare lo spazio fisico a quello fantastico, prolungando la fruizione nella compartecipazione, il vero nel verosimile, il reale nel vagheggiato, giocando sull’espansione e la dilatazione formale, su di una dialettica di pieni e di vuoti condotta sotto il segno dell’apertura atmosferica e luminosa.

L’arte del Bernini è volta all’esemplificazione dell’universalità di un cattolicesimo glorioso, capace com’è di captare enfasi e sicurezze del dopo Controriforma per farsene consapevole metafora stilistica. Si colloca pertanto in quest’ottica la chiarezza della retorica berniniana, brillantemente orientata nel proprio accordo di forme e contenuti alla scioltezza dell’allegoria piuttosto che alla gravità di un simbolismo ai più vago ed oscuro.
A proposito del grande artista, è da poco stata data alle stampe una nuova edizione dell'interessante saggio Voli d'amore. Architettura, pittura e scultura nel “bel composto” di Bernini (Mimesis, 2017) di Giovanni Careri, docente presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales e allo IUAV di Venezia, uscito una prima volta nel 1991 da Laterza.
In anticipo rispetto agli studi sull'intermedialità diffusisi negli ultimi tre lustri, lo studioso, già all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso, indica la possibilità di ravvisare in alcune composizioni di Gian Lorenzo Berninii un montaggio intermediale indirizzato al superamento dei limiti di ciascuna delle arti violandone le regole. Rispetto alla prima uscita del libro l'autore si trova a dar conto di alcuni studi che nel frattempo hanno aggiornato o modificato alcuni dati utilizzati nella stesura originale ma non al punto da contraddire le ipotesi presentate nella prima edizione.
Careri esamina tre composizioni realizzate dal grande artista tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta del XVII secolo: due cappelle (Fonseca e Albertoni) e un altare maggiore (in Sant'Andrea al Quirinale) ragionando su quel bel composto di cui parla in un'annotazione del 1682 il biografo Filippo Baldinucci: “È concetto molto universale ch’egli sia stato il primo, c’abbia tentato di unire l’architettura colla scultura e pittura in tal modo che di tutte si facesse un bel composto” (F. Baldinucci, Vita del cavaliere Gio. Lorenzo Bernino, scvltore, architetto, e pittore).
In Voli d'amore lo studioso ragiona sui meccanismi berniniani d'inclusione dello spettatore attraverso modalità di collaborazione tra registri espressivi differenti. Lasciando cadere il solito riferimento teatrale, Careri preferisce confrontarsi con le teorie sul montaggio elaborate per il cinema da Sergej Ejzenštejn.
Scrive a tal proposito Hubert Damisch nella prefazione al volume: “Nel suo studio del bel composto, Giovanni Careri ha voluto rompere con il modello scenografico e con la referenza al teatro, che assume all’occorrenza la figura di un luogo comune: se c’è un composto, le procedure che lo definiscono, così come gli effetti ai quali mira, non devono nulla al teatro della pittura, né a quello della scultura e dell’architettura. Abbiamo piuttosto a che fare con qualcosa che è più vicino a ciò che un uomo di cinema come Ejzenstejn ha chiamato il montaggio delle attrazioni: ovvero a una sequenza calcolata che mette in gioco degli elementi eterogenei, tanto per la loro sostanza che per il loro modo di fare appello ai sensi o all’intelletto per farli concorrere a una sintesi espressiva che mira ad agire sullo spettatore, a manipolarlo, a muoverlo, ad agitarlo [...]. Con la differenza che laddove il cinema riduce le attrazioni all’unità di una medesima sostanza, in definitiva cinematografica, il bel composto utilizza i netti dislivelli delle diverse materie per meglio confondere o spostare le frontiere tra pittura, scultura e architettura, e trasporre e pervertire i loro limiti e le regole tradizionali ai quali obbediscono le tre arti, così bene che la loro stessa differenza interviene come un fattore di sintesi o d’integrazione”.
Le progettazioni berniniane della cappella Fonseca in San Lorenzo in Lucina (1664-1675), della cappella Albertoni in San Francesco a Ripa (1665-1675) e dell’altare maggiore di Sant’Andrea al Quirinale (1658-1670) non solo sono state in parte determinate dai diversi vincoli architettonici ma anche dalle differenti destinazioni devozionali: gesuita per la cappella Fonseca e Sant’Andrea, carmelitana e francescana per la cappella Albertoni. Nonostante le differenze, sottolinea lo studioso, le tre opere “possono essere confrontate in quanto composti per il ruolo determinante che vi gioca la relazione tra pittura, scultura e architettura”.
Nel composto non si sommano semplicemente le singole arti: “L'integrazione dei tre sistemi di rappresentazione richiede infatti la violazione delle regole di ognuno e la loro ricomposizione secondo una regola nuova. Tuttavia, se la necessità di una nuova regola è un requisito generale, essa non potrà essere la medesima per ogni singolo composto. Il tema del composto e la sua specifica destinazione, così come la scelta dei materiali o la distribuzione dei colori, sono altrettanti esempi degli elementi che, ogni volta di nuovo, devono fondersi in una unità”.
Secondo Careri la realizzazione del composto deve assolutamente essere analizzata tanto dal punto d vista “della sua composizione da parte dell’artista” che da “quello della sua ricezione da parte dello spettatore/credente”. Ogni composto propone allo spettatore una differente “operazione di ricomposizione” e se si vuol tentare di comprendere una ricezione storicamente determinata occorre “tener conto della forma di contemplazione, storicamente definita [...] la fruizione del composto si realizza all’interno di una ben precisa pratica devozionale e implica non solo un articolato sistema di credenze ma anche una disciplina dell’immaginazione. Uno specifico allenamento dello spirito che, associato a un protocollo rituale, può trasformare il credente attraverso i suoi effetti sacramentali”. La ricostruzione dello spettatore proposta dallo studioso nel saggio si fonda sulle “relazioni tra le indicazioni inscritte nella forma particolare del montaggio di ogni composto e gli schemi di ricezione propri alle diverse forme della contemplazione cristiana del Seicento”.
Buona parte delle trattazioni relative alle cappelle del Bernini, per dar conto della natura globale e dell'efficacia emozionale che esercitano sullo spettatore, insistono su una descrizione in termini teatrali. “Tuttavia, benché i composti siano concepiti come macchine dell’emozione, il [...] paradigma teatrale [risulta] un modello troppo generale sia dal punto di vista storico che teorico. Nel caso del composto l’adesione dell’osservatore è prodotta dall’applicazione di una specifica forma di contemplazione alla ricomposizione di elementi eterogenei. La dinamica emozionale e cognitiva della contemplazione è sostenuta e sospinta dalla dinamica dei salti tra pittura, scultura e architettura. Il riferimento generico al teatro riduce l’eterogeneità costitutiva del composto al suo carattere spettacolare e non permette di smontarlo per comprendere come ciascuna delle sue componenti eserciti la sua particolare funzione”.
Lo studioso ricorda come il valore semantico fondamentale del termine composto, inteso come oggetto costruito e composito, rimandi all'uso architettonico ove l'ordine composito identifica una mescolanza tra l'ordine ionico e l'ordine corinzio. Se già Sebastiano Serlio ne parla in termini di rottura delle regole proprie degli ordini greci, anche Baldinucci pone “l’accento sull’originalità del composto berniniano, insistendo sui momenti di violazione delle regole. Tuttavia qui non si tratta più di regole interne a un’arte ma di passaggi da un sistema di rappresentazione a un altro e da un registro espressivo a un altro”. L'intento di Baldinucci è quello di sottolineare quel carattere dinamico e processuale che conduce Careri adescriverne le procedure in termini di montaggio” così come lo intende la riflessione estetica più matura di Ejzenstejn, cioè “come l’insieme di operazioni di commutazione tra diversi sistemi di rappresentazione o tra diversi registri espressivi”.
“Come Bernini, Ejzenstejn lavora sui salti di livello e sulle conversioni tra componenti eteroclite, calcolandone gli effetti patetici e cognitivi. Come Ejzenstejn Bernini comprende che l’associazione di più arti in un composto è un progresso solo a condizione di preservare nel montaggio la specificità di ognuna e di calibrare i passaggi dall’una all’altra in funzione degli effetti patetici e cognitivi che si intende produrre sullo spettatore. Il bel composto, come il montaggio di Ejzenstejn, ma secondo procedure particolari e ogni volta diverse, è un’operazione estetica di scomposizione e ricomposizione di un molteplice eterogeneo che si compie nello spettatore. Il modello eisensteiniano di montaggio si è costituito sullo sfondo di un’originale riflessione estetica, la cui produttività euristica va ben al di là del cinema. [...]. L’integrazione di questa teoria all’analisi dei composti fa sorgere nuove domande e conduce a nuove risposte rispetto alla metodologia corrente in storia dell’arte”.
Facendo riferimento alla nozione di montaggio è pertanto possibile considerare “secondo un unico modello la composizione degli elementi in un’unità realizzata dall’artista e la loro ricomposizione realizzata da uno spettatore virtuale”. La nozione di montaggio implica una teoria dinamica della ricezione, “restituisce a questa operazione, accanto alla dimensione cognitiva, privilegiata dall’iconografia, la dimensione sensibile e quella patetica” e introduce “il principio di ‘non indifferenza’ dei materiali rispetto alle operazioni che le mettono in forma”.
La metodologia proposta da Careri conduce pertanto a “un diverso tipo di conoscenza rispetto all’iconografia, fa emergere nuove articolazioni all’interno di oggetti già studiati e costituisce un’efficace strumento di controllo della stessa analisi iconografica. Le ricerche consacrate alle cappelle del Bernini e, più in generale, l’insieme delle analisi iconografiche degli ultimi vent’anni”, sostiene lo studioso, “sembrano sopravalutare l’importanza delle basi testuali ed accordare alle arti visive un solo tipo di complessità: quella dell’identificazione dei motivi, delle figure o dei programmi iconografici. Con il rischio di dimenticare la peculiare pregnanza visiva di ogni singola immagine, il suo valore sensibile e passionale, la sua specifica fattura materiale”.
Ecco allora che l'analisi del bel composto berniniano può essere presa come esempio utile al fine di dimostrare come le arti visive abbiano uno specifico modo di significare ed è questo che, secondo lo Careri, dovrebbe essere maggiormente approfondito dagli studiosi.

 


 

Giovanni Careri
Voli d'amore. Architettura, pittura e scultura nel “bel composto” di Bernini

Mimesis, Milano-Udine, 2017
pp. 190

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