“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 06 March 2017 00:00

E se non fossero di Leonardo da Vinci?

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È da qualche tempo che lo studioso Renato Barilli, con alle spalle tre decenni di docenza universitaria in Fenomenologia degli Stili presso l'Università degli Studi di Bologna ed una lunga lista di pubblicazioni, mette in discussione l'attribuzione leonardesca di due opere che ormai vengono automaticamente annoverate tra i capolavori del genio vinciano: La dama con l’ermellino di Cracovia e La Belle Ferronnière del Louvre. Lo studioso torna sulla questione con un articolato intervento intitolato Due discutibili attribuzioni leonardesche, pubblicato sulle pagine della rivista Ricerche di Storia dell'arte (n. 120; 2017) edita da Carocci.

A proposito dell'opera custodita a Cracovia, l'esposizione dei dubbi circa l'attribuzione in voga da parte di Barilli − di cui chi scrive si onora di essere stato allievo − risalgono alla fine degli anni Novanta, quando ne scrive la prima volta su L'Espresso (dicembre 1998) suscitando, inevitabilmente, la reazione stizzita di diversi studiosi, tra cui Pietro C. Marani, autore della celebre monografia Leonardo. Una carriera di pittore (Milano, 24Ore Cultura, 1999). Il convincimento barilliano si fonda soprattutto su un'analisi di carattere stilistico, pur nella consapevolezza che questa necessiti di un adeguato sostegno filologico.
Barilli ricorda che Giorgio Vasari, nel suo Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, pubblicato attorno alla metà del XVI secolo, fa riferimento a due soli ritratti leonardeschi: Ginevra Benci e la Gioconda. È dal confronto stilistico con i due soli ritratti indicati dal testo vasariano che sorgono i dubbi circa la paternità leonardesca dei dipinti La dama con l’ermellino e La Belle Ferronnière. In entrambi i ritratti citati dal testo cinquecentesco lo studioso individua la presenza di un mento sporgente rispetto al resto del volto ed una capigliatura libera e fluida, “all'aria”, in modo che questa possa fondersi con l'ambiente circostante, del tutto in linea con i convincimenti del Maestro votati all'atmosferismo. Ed è, probabilmente, questo il motivo per cui, continua Barilli, in entrambe le opere il pittore ha evitato di inserire “elementi coercitivi” come collane e monili vari.
Ne La dama con l’ermellino, in cui è negato spazio al paesaggio, pur in presenza di un mento prominente, il resto del volto si discosta dai canoni leonardeschi e, soprattutto, la capigliatura appare “incollata” al capo facendo venir meno quel “liberare i capelli all'aria” tipico di Leonardo. Alla generale tendenza alla perimetrazione del viso spigoloso della donna si aggiunge un'ancora più accentuata spigolosità della mano scheletrica in primo piano che contraddice la caratteristica morbidezza presente nelle opere di Leonardo. Barilli sottolinea anche come lo stesso animaletto in braccio alla donna risulti troppo schematico per la mano del pittore, abituato com'è al meticoloso studio dal vero. Tali caratteristiche davvero “poco leonardesche”, continua lo studioso, sono ancora più evidenti nel caso della Belle Ferronnière, ove il mento risulta totalmente incorporato nel volto, non vi sono concessioni alla morbidezza ed allo sfumato tipici del Maestro e la stessa capigliatura evita di con-fondersi con l'ambiente.
Barilli non si limita a mettere in discussione l'attribuzione leonardesca ma propone anche una paternità alternativa, quella di Giovanni Antonio Boltraffio, artista a contatto con la produzione del vinciano durante la sua permanenza milanese. A tale nome lo studioso giunge esaminando l'intensa produzione ritrattistica di Boltraffio in cui, sovente, tanto i volti delle figure femminili, quanto la mancanza di uno sfondo paesaggistico, richiamano le modalità stilistiche proprie delle due opere erroneamente attribuite a Leonardo.
Esibite le motivazioni stilistiche, nel suo scritto Barilli si occupa dell'aspetto filologico, ribadendo che nelle Vite il Vasari non menziona mai i due ritratti in questione. Circa la Dama con l'ermellino Barilli, con correttezza, affronta di petto i versi che il poeta di corte Bernardo Bellincioni dedica all'opera nei primi anni Novanta del XV indicandola come opera leonardesca. Questi potrebbero però derivare dal medesimo automatismo che ha portato gli studiosi a vedere nel capolavoro per forza di cose un'opera del Maestro vinciano, inoltre, ricorda Barilli, in quei versi non viene stranamente fatto alcun riferimento alla presenza dell'animaletto in braccio alla donna.
Circa la Belle Ferronnière le testimonianze storiche sembrano avvalorare soltanto la sua provenienza dalle collezioni reali francesi e, anche in questo caso, la maestria dell'opera potrebbe aver determinato l'assegnazione alla mano leonardesca. Inoltre, sottolinea Barilli, in molti sembrano non dar peso al fatto che a cavallo tra il XIX e XX secolo si hanno diversi pronunciamenti dubbiosi circa la paternità delle due opere ed il nome di Boltraffio viene fatto più volte.
La disamina barilliana si chiude con l'auspicio che si diano risposte soprattutto alle incongruenze stilistiche esposte e che sono alla base delle sue perplessità nei confronti di quell'attribuzione leonardesca ripetuta da tutti ostinatamente, forse nel timore di fare un torto al grande Maestro nel sottrargli quelli che, indipendentemente da chi li ha dipinti, anche per Barilli, restano due autentici capolavori.

 




Renato Barilli
Due discutibili attribuzioni leonardesche
in Ricerche di Storia dell'arte,
fascicolo n. 120
Roma, Carocci, 2017

 

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