“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 24 January 2017 00:00

L'uomo dei dolori

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“Un Samuel Beckett della generazione di John Stewart”. Questa la lapidaria definizione che il critico del New York Times, Charles Isherwood, ha usato per Will Eno, autore americano alla ribalta, tra i più quotati nel suo Paese, le cui opere hanno avuto un ottimo riscontro anche nel vecchio continente, con produzioni di teatri inglesi, irlandesi, francesi, tedesche, norvegesi (e riprese in vari altri Paesi del mondo, dal Brasile, ad Israele, al Messico).

Classe ‘65, beniamino della off-Broadway, appartiene alla generazione dei cinquantenni che, stando sempre alla frase del suiccitato critico, ritrovano nel commediografo, attore, produttore e critico John Stewart (classe ‘62) il loro nume tutelare. Uno dei suoi primi play è Thom Pain (based on nothing), che ha debuttato al Festival Internazionale di Edinburgo nel 2004, ripreso nel settembre dello stesso anno al Soho Theatre di Londra (la prima americana è al DR2 Theatre di Broadway, un anno dopo). Al festival scozzese si aggiudica il Fringe Award, ed è finalista nella sezione teatro al Premio Pulitzer del 2005.
In Italia il monologo viene presentato da Elio Germano (nel settembre 2010 a Le vie dei Festival all’Auditorium Parco della Musica di Roma) che ne cura la regia (con la collaborazione di Silvio Peroni) con la traduzione di Noemi Abe. Nel 2016 è ripreso dalla genovese Compagnia Gank (debutta ad aprile ad Imperia e a Genova), con l’interpretazione di Alberto Giusta e la regia di Antonio Zavatteri.
Fondamentali le note di regia di quest’ultimo per fissare un punto da cui partire per un’analisi generale: “Alla sua conclusione, il pubblico può non sapere esattamente quello che ha appena visto o che cosa avrebbe dovuto significare. È Thom Pain una meditazione sulle delusioni della vita? Un esercizio di futilità? Forse entrambe le cose. Una cosa è certa, però. Anche se il monologo è basato sul nulla, il suo stile non convenzionale lo rende molto più interessante di molti altri giochi teatrali che sono attualmente sulla scena”. L’accezione che dà il regista di gioco teatrale è quantomai chiara: con tale espressione egli intende gli escamotage che il teatro usa per rendere il discorso teatrale affascinante anche per i giovani, i neofiti, per venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più affamato di subitanee provocazioni o rassicurante comicità paratelevisiva. Ne fa, quindi, letteralmente, una questione di stile, di linguaggio, di registro. Bisogna, per onestà, affermare che il testo di Eno non si limita a sperimentare all’interno del contesto verbale, ma fa ricorso ad una insistita provocazione e complicità con il pubblico. Rivelando la sua natura di monologo nel senso più classico, ma anche di forma dell’intrattenimento contemporaneo come è stato rielaborato dalla tradizione americana degli stand up comedian. Thom si rivolge alla platea, ne è consapevole, è una premessa imprescindibile per la descrizione del personaggio e della situazione drammatica.
E così le storie che il Nostro narra sono sempre interrotte da continue digressioni, ricordi e considerazioni improvvise, provocazioni, giochi da entertainer mai portati a termine. Non parlerei di flusso di coscienza, perché quest’ultimo non necessità dell’abbattimento della quarta parete, e se lo fa è sempre in funzione della progressione drammatica di un argomento centrale, forte. Qui il senso di smarrimento del protagonista dovrebbe essere ricostruito dallo spettatore, il quale dovrebbe intuire che i personaggi degli aneddoti narrati da Thom sono lui stesso da bambino o da giovane. Ma il pubblico non sempre ci arriva. E da qui nasce anche il suo disorientamento. E se c’è questa mancanza di sintonia tra personaggio e spettatore, l’identificazione non scatta e si resta con la sensazione di aver assistito ad un’eccezionale prova d’attore, perfetta, ammirevole, ma che ci resta estranea. Anche la mancanza di elementi drammaturgici – in fondo sono i piccoli cambiamenti al testo, le improvvisazioni che rendono ogni sera lo spettacolo mai uguale a se stesso, le digressioni e i corollari propri del mestiere dell’attore gli “interventi” di regia, che non si avvale di commenti sonori o di giochi di luce – obbliga la fruizione a prediligere l’elemento testuale, a seguire con difficoltà la narrazione, a doversi limitare al contenuto, senza riuscire ad intravedere sullo sfondo il dramma del personaggio, la sua richiesta di aiuto, il suo disagio esistenziale. Rimane, come cifra dell’enigmaticità del personaggio, l’inciso che prontamente riappare quando Thom perde il filo (e noi con lui), quando rinuncia alla possibilità di stabilire un contatto empatico con l’altro: “Ma che ne so...”.

 

 


Thom Pain (basato sul niente)
di Will Eno
traduzione Noemi Abe
regia Antonio Zavatteri
con
Alberto Giusta
luci Fausto Perri
produzione Compagnia Gank
lingua italiano
durata 1h 30’
Monza, Teatro Binario 7, 18 dicembre 2016
in scena dal 17 al 18 dicembre 2016

 

tags: Will Eno, Samuel Beckett, John Stewart, off-Broadway, Fringe Festival, Edinburgo, Premio Pulitzer, Alberto Giusta, Antonio Zavatteri, Fausto Perri, Noemi Abe, Elio Germano, Silvio Peroni, Compagnia Gank, Imperia, Genova, Auditorium Parco dell Musica, Soho Theatre, DR2 Theatre, Le vie dei Festival, stand up comedian, entertainer, monologo, Binario 7, Monza 

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