“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 01 October 2016 00:00

La luce e l'ombra

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L’esposizione La luce vince l’ombra. Gli Uffizi a Casal di Principe (tenutasi dal 21 giugno al 21 ottobre 2015) ha ospitato, nei locali di una villa confiscata alla camorra, recuperata a fini museali, Casa don Diana di Casal di Principe, Caserta, una ventina di opere in cui la luce si fronteggia con l’ombra. Si trattava di opere provenienti in buona parte dalle collezioni degli Uffizi di Firenze, ma anche del Museo di Capodimonte, della Reggia di Caserta e del Museo Campano di Capua. L’esposizione si è concentrata sulla pittura secentesca di artisti napoletani o che, per diversi motivi, si sono intrecciati con la città campana, sull’onda della produzione caravaggesca.

In particolare si sono potute ammirare opere di Artemisia Gentileschi (Santa Caterina d’Alessandria), di Luca Giordano (Carità), di Mattia Preti (Vanità). Risulta chiaro come l’intento simbolico dell’iniziativa intendesse far leva sulla metafora della “luce che vince sull’ombra”, alludendo alla necessità di riscatto di un territorio controllato dalla criminalità e della cultura che intende confrontarsi con le tenebre dell’ignoranza.
La mostra casertana, diciottesimo appuntamento de “La città degli Uffizi”, iniziativa nata con l’intento di promuovere luoghi degni d’attenzione, è stata curata dall’ex Direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Natali, insieme a Marta Onali ed al Direttore del Polo Museale Regionale della Puglia, Fabrizio Vona.
Nel catalogo della mostra, pubblicato da Pendargon, Antonio Natali, nel suo intervento, ragiona su come nei Testi Sacri, sin dall’Antico Testamento, la luce sia indicata come sinonimo di Dio e di come, nei secoli in cui la cultura è fortemente legata alla religione, i riferimenti alla luce ed al buio da parte dei pittori, non siano esclusivamente di ordine mimetico. Lo studioso, prendendo Caravaggio come caso paradigmatico di una concezione di luce ed ombra fortemente legata a questioni di ordine teologico, sottolinea come la “rivelazione della realtà” da parte della luce, pur non riguardando solo i soggetti sacri, assume un chiaro valore simbolico nelle opere in cui accompagna/manifesta il divino. Cita come esempi di luce di rivelazione divina opere come la Vocazione di san Matteo in San Luigi dei Francesi, la Conversione di San Paolo in Santa Maria del Popolo a Roma, la Cena di Emmaus della National Gallery londinese ed il Sacrificio d’Isacco degli Uffizi. Nella buona copia, esposta a Casal di Principe, dell’Incredulità di san Tommaso del Merisi, realizzata da un pittore anonimo all’inizio del Seicento, proveniente dagli Uffizi, la luce irrompe sui personaggi nel momento in cui il dubbioso Tommaso mette il dito nella piaga del costato del Cristo giungendo così a credere. Nel suo scritto, oltre alle opere del Caravaggio e, più in generale, dei caravaggeschi, presenti od in linea con i dipinti esibiti nella mostra mostra casertana, Natali affronta il rapporto luce ed ombra in ambito manierista attraverso l’analisi di opere del Pontormo come la Cena di Emmaus degli Uffizi, realizzata attorno alla metà anni Venti del Cinquecento e la poco più tarda Deposizione di Santa Felicita. In particolare nella Cena di Emmaus lo spiccato luminismo finisce non solo col ravvivare la cromia dei tessuti ed abbagliare i volti dei commensali, ma sottolinea come altrettanto folgorante è il riconoscimento di Gesù da parte dei discepoli.
Stando al Vasari, dopo il ciclo della Passione, Pontormo lavora ad una Natività di Cristo (andata perduta) per la camera del priore della Certosa. In tale opera, sempre secondo Giorgio Vasari, il Pontormo lavora su particolari giochi di luce ed ombra che, ipotizza Natali, possono essere immaginati ricorrendo alla visione di un’analoga Natività (1527 ca.) realizzata da Lorenzo Lotto ed oggi conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena. La luce presente nell’opera solo in parte proviene da una lanterna, il bagliore che squarcia il buio della scena è dato dal corpo del Bambino che finisce letteralmente per abbagliare Maria.
Nell’intervento di Fabrizio Vona viene ricostruita la tradizione della pittura caravaggesca nel napoletano. La trattazione principia col ricostruire quel clima di rinnovamento urbanistico di fine ‘500 che offre innumerevoli possibilità di lavoro ai pittori tanto nelle nuove edificazioni quanto nelle ristrutturazioni di vecchi edifici. A lungo la committenza religiosa napoletana ricorre a pittori di tradizione tardo manierista contraddistinti da una maniera “cristallizzata in contegnosi contenuti di pietistica devozione” (p. 97). Il passaggio a Napoli del Cavalier d’Arpino, nel corso degli ultimi decenni del ‘500, secondo Vona, porta una ventata di novità nel linguaggio pittorico locale. La presenza di Caravaggio nel 1606 sembra rompere quel “clima di sospensione” in cui viveva la città e la realizzazione di opere come la Madonna della Misericordia segneranno profondamente non solo l’ambiente partenopeo ma l’intera storia dell’arte secentesca. Tra le altre opere napoletane del Merisi vanno ricordate la Flagellazione, ora conservata a Capodimonte, ed il Martirio di Sant’Orsola, ora alle Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos. Tra gli artisti che maggiormente hanno risentito dell’esempio caravaggesco Vona ricorda Carlo Sellitto, Battistello Caracciolo, del quale spicca la Liberazione di san Pietro dal carcere del 1615 per la chiesa del Pio Monte della Misericordia di Napoli. Elementi caravaggeschi non mancano nemmeno nella generazione di pittori successiva, come Filippo Vitale ed il pugliese Paolo Finoglio, attivo presso la Certosa di San Martino nei primi decenni del secolo. A partire dalla metà degli anni Dieci è presente in città anche Jusepe de Ribera, autore di dipinti che ricorrono a modelli tratti dal mondo quotidiano e popolano in linea del resto con le opere di Francesco Fracanzano, Francesco Guarino, Pacecco De Rosa, Andrea Vaccaro e Giovan Battista Spinelli anche se, questi ultimi, opteranno, strada facendo, per un’impostazione classicista desunta dall’esempio di Guido Reni e Domenichino presenti a Napoli per brevi periodi. Di notevole importanza sarà l’arrivo in città verso il 1630 di Artemisia Gentileschi.
A partire dagli anni Trenta al caravaggismo napoletano si affiancano soluzioni pittoriche di matrice neovenetista: “Il naturalismo resta sotteso alla pittura napoletana per quasi tutto il secolo, funzionale alla costruzione dell’immane attraverso l’uso della luce, un substrato al quale potrà essere aggregato il colore, anche nella sua declinazione neo-veneta” (p. 103).
La visione barocca conquista Napoli in ritardo rispetto a Roma. Grazie alle decorazioni aeree di Giovanni Lanfranco, giunto in città nel 1633, i pittori napoletani apprenderanno, seppure soltanto a partire dalla metà del secolo, le dilatate visioni barocche. Nell’ultima parte della sua ricostruzione, Vona ricorda Luca Giordano e Mattia Preti, in particolare di quest’ultimo vengono discusse Le storie di Santa Caterina d’Alessandria, per la chiesa di San Pietro a Majella, la Madonna di Costantinopoli, per Sant’Agostino degli Scalzi, ed i Conviti del museo di Capodimonte.
Non mancano nemmeno cenni alla pittura di genere che si afferma in città ad inizio del XVII secolo con paesaggisti come Filippo Napoletano e Domenico Gargiullo o “battaglisti” come Salvator Rosa, Micco Spadaro ed Andrea De Lione, pittori di nature morte come Luca Forte e, successivamente, Paolo Porpora, Giovan Battista Recco e Giuseppe Recco, famoso per le sue composizioni di pesci e crostacei.

 

 

 



Opere trattate nel catalogo:

1. Matres Matutae, III-II sec a.C., statua in tufo, reperto archeologico, Capua, Museo Provinciale 2. Mattia Preti, Vanità, 1656 ca., olio su tela, cm 113×92, Firenze, Galleria degli Uffizi; 3. Giovann Battista Caracciolo, Salomè con la testa del Battista, 1615-1620, olio su tela, cm 132×156, Firenze, Galleria degli Uffizi; 4. Luca Giordano, Carità, 1666, olio su tela, cm 129×100, Firenze, Galleria degli Uffizi; 5. Artemisia Gentileschi, Santa Caterina d’Alessandria, 1618-1620, olio su tela, cm 71×62, Firenze, Galleria degli Uffizi; 6. Jusepe de Ribera, San Girolamo, 1626, olio su tela, cm 117×95, Firenze, Galleria degli Uffizi; 7. Luca Giordano, Autoritratto, 1665, olio su tela, cm 72,5×57,5, Firenze, Galleria degli Uffizi; 8. Copia da Caravaggio, Incredulità di san Tommaso, inizio XVII sec., olio su tela, cm 108×146, Firenze, Galleria degli Uffizi; 9. Bartolomeo Manfredi, Concerto, 1617-1618, olio su tela, cm 130×191,5, Firenze, Galleria degli Uffizi; 10. Micco Spadaro, Morte di Assalonne, fine anni trenta del XVII sec., olio su tela, cm 78,5×106, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 11. Pacecco de Rosa, Venere dormiente con satiro, 1645-1650, olio su tela, cm 110×150, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 12. Maestro dell’Annuncio ai pastori, Avaro, olio su tela, cm 75×63, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 13. Mattia Preti, Cristo e la moneta, 1656-1660 ca., olio su tela, 128 x 100, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 14. Giuseppe Recco, Natura morta con pesci e tartaruga, 1680 ca., olio su tela; cm 159×214, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 15. Salvator Rosa, Parabola di san Matteo, 1651 (?), olio su tela, cm 201×124, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 16. Giovan Battista Ruoppolo, Natura morta con ortaggi fiasco e fiori, 1660-1670, olio su tela, cm 95×130, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 17. Massimo Stanzione, Strage degli Innocenti, prima metà anni Trenta del XVII sec., olio su tela, cm 155×128, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte; 18. Jusepe de Ribera, Cristo legato, 1618 ca., olio su tela, cm 140×118, Napoli, Quadreria dei Girolamini; 19. Andy Warhol, Fate presto, 1981, acrilico e serigrafia su tre tele, cm 270×200 ogni tela, Caserta, Palazzo Reale; 20. Video istallazione di Art Media Studio Firenze (Vincenzo Capalbo e Marilena Bertozzi) dedicata all’opera gravemente danneggiata dall’attentato mafioso del 1993 agli Uffizi di Firenze titolata L’Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti. Una luce nuova, 1619-1620, olio su tela, cm 338,5×198,5, Firenze, Galleria degli Uffizi.

 

 

 

Antonio Natali e Marta Onali (a cura di)
La Luce vince l'ombra. Gli Uffizi a Casal di Principe, Catalogo della mostra
Pendragon, Bologna, 2015
pp. 160

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