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Tuesday, 20 September 2016 00:00

Il “ritratto corporativo” olandese secondo Alois Riegl

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Nel lontano 1902 Alois Riegl (1858-1905) pubblica Das holländische Gruppenporträt, opera in cui vengono affrontate in particolare le modalità del ritratto di gruppo olandese come sistema di rappresentazione delle corporazioni. Dalle modalità di messa in scena della borghesia olandese analizzate da Riegl è possibile ricavare importanti informazioni circa le peculiarità del sistema di potere dell’epoca.

L’importante saggio scritto ad inizio Novecento viene tradotto, nelle sue parti più significative, in lingua italiana, grazie all’editore Castelvecchi, soltanto nel 2014 con il titolo Lo sguardo di Rembrandt. Nel testo Riegl contrappone la “volontà d’arte” (Kunstwollen) olandese a quella italiana o latina (Romanisch) sostenendo, come bene sintetizza Benjamin Binstock nell’introduzione, che mentre la tradizione pittorica italiana tende ad “esaltare le figure aptiche (tridimensionali in senso tattile), subordinate le une alle altre attraverso lo sviluppo narrativo sul piano bidimensionale in un’unità interna oggettivamente autonoma e smaccatamente lineare”, al contrario la pittura olandese cerca “il gioco ottico di luci ed ombre su figure tra di loro psicologicamente coordinate, che guardano fuori dal quadro per stabilire con lo spettatore un’unità esterna soggettiva attraverso lo spazio”.
Sebbene in Riegl non vi sia una formulazione di opposizioni formali come assoluti, ma come poli di rapporto dialettico tra di loro nell’evoluzione della pittura, il proporre una netta distinzione tra le diverse tradizioni geografiche, insieme ad un esasperato formalismo che ha finito con l’isolare le opere indagate dalla società attorno ad esse, hanno contribuito al declino delle sue teorie. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la tradizione degli studiosi di arte di lingua tedesca a cavallo tra i due secoli, alla quale appartiene lo stesso Riegl, viene soppiantata dalle proposte di Erwin Panofsky ed Ernst Gombrich. Ad Alois Riegl, figura di spicco della cosiddetta “Scuola di Vienna”, spetta sicuramente il merito di aver contribuito alla riabilitazione delle “arti minori” (elemento centrale nella grande stagione della Wiener Secession) e di essersi speso in favore della rivalutazione di alcune epoche storico-artistiche considerate, ai suoi tempi, “decadenti” (es. il tardoantico ed il periodo barocco). In particolare, la rilettura dell’antichità proposta da Riegl contribuisce al superamento dell’impostazione teorica winckelmanniana; svincolando il giudizio critico da tale impostazione antistorica, l’austriaco riconosce in ogni epoca una specifica “volontà d’arte”.
Riegl inizia la trattazione con l’indicare le caratteristiche specifiche del ritratto di gruppo, genere diffuso, tra il Sei e Settecento, soltanto in Olanda, in particolare nelle città di Amsterdam e di Haarlem. Si tratta di dipinti con molte figure, poste una accanto all’altra senza relazione reciproca o in una relazione vaga. Secondo lo studioso, tale tipo di opera non deve essere interpretato come un ritratto individuale ampliato, come nel caso del ritratto di famiglia o di un gruppo di amici, tipologie che attraversano la storia dell’arte europea. “Il ritratto di gruppo olandese non è, quindi, né un ritratto individuale ampliato, né un assemblaggio meccanico, per così dire, di più ritratti individuali dentro un solo quadro. Esso è piuttosto la raffigurazione di una deliberata aggregazione di individui autonomi e indipendenti. Si potrebbe anche chiamare ritratto corporativo”. Il periodo di fioritura di tale genere è quello degli ultimi decenni che precedono le guerre di religione ed è “segnato dalla prevalenza dell’uguaglianza democratica tra i personaggi ritratti e dall’enfasi individualistica sull’ordine gerarchico e la coerenza d’insieme”. Con le guerre d’indipendenza, sostiene Riegl, nelle corporazioni aumenta la subordinazione e ciò si evidenzia anche nei ritratti di gruppo. La subordinazione favorisce nei due ambiti (corporativo e ritrattistico) “l’unità a scapito dell’individualità”, senza che quest’ultima venga mai abbandonata completamente. Ciò risulta evidente fino alla pace di Vestfalia, in seguito per i due ambiti, che comunque perdurano fino al periodo napoleonico, inizia il periodo di decadenza.
Dopo aver evidenziato come la pittura olandese sia caratterizzata dalla mancanza d’azione esteriore a favore di moti interiori (ai movimenti fisici vengono preferiti i moti psichici), l’autore passa in rassegna alcune delle opere più importanti della ritrattistica di gruppo olandese. Tra i diversi autori, Rembrandt è certamente il punto di riferimento della ricerca, nonostante che in lui sia ravvisabile, secondo lo studioso austriaco, una tendenza alla subordinazione, caratteristica della tradizione italiana, il suo fine ultimo resta quello, proprio della ritrattistica di gruppo olandese: realizzare l’unità esterna con lo spettatore. L’analisi delle opere di Rembrand, nelle intenzioni dello studioso, è da intendersi come studio di un “problema artistico comune a tutta la pittura olandese”; anche la produzione del grande maestro viene ricondotta all’interno della Kunstwollen olandese.
Il ritratto di gruppo La lezione di anatomia del dottor Tulp (1632) di Rembrandt introduce un’unità interna mai vista prima nella pittura olandese: i chirurghi sono tutti impegnati (unità interna) a seguire la lezione del dottor Tulp, mentre uno, in seconda fila, guarda in direzione dell’osservatore costruendo così l’unità esterna. In tale opera, sostiene l’austriaco, anche la composizione rivela una duplice unità: “Quella oggettiva sul piano e quella soggettiva nello spazio”. Nell’opera si ha un rafforzamento dei due elementi contrastanti: l’effetto simmetrico sul piano e l’effetto nello spazio. Per la prima volta nella pittura olandese compare una composizione piramidale.
L’opera La ronda di notte (1642) è il secondo ritratto collettivo eseguito da Rembrandt. Mentre nei tradizionali dipinti ritraenti la milizia vengono mostrati uomini uno accanto all’altro con lo sguardo rivolto all’osservatore, qua invece l’artista preferisce mostrare il gruppo in procinto di effettuare la ronda. L’unità interiore si fonda qua sulla subordinazione della truppa al capitano che avanza in direzione dello spettatore stendendo la mano e volgendo il capo verso il luogotenente che, con deferenza, accolto l’ordine, lo trasmette agli altri uomini “facendosi mediatore della loro subordinazione al capitano”. In questo dipinto, sostiene Riegl, la questione centrale è data dall’ordine del capitano al suo luogotenente mentre la truppa rappresenta una presenza accidentale; l’artista avrebbe pertanto portato il principio della subordinazione alle estreme conseguenze. Questa collocazione sullo sfondo degli uomini della truppa al fine di dare il massimo risalto ai due personaggi centrali, implica quasi la sparizione del principio che è alla base del ritratto di gruppo olandese: la coordinazione. A determinare le critiche nei confronti dell’opera da parte dei cittadini di Amsterdam dell’epoca è il fatto che essa, anziché presentarsi come ritratto di gruppo, si presenta come un doppio ritratto (capitano e luogotenente) su sfondo animato da altre figure. All’artista viene imputato, pur con “finalità olandesi”, di ricorrere a mezzi della “tradizione italiana”, ossia la “subordinazione e l’azione fisica quale espressione di volontà”. L’unità interiore de La ronda di notte sarebbe stata raggiunta travalicando le caratteristiche olandesi del tempo. Per quanto riguarda l’unità esterna con lo spettatore, la tradizione richiede che la maggior parte degli archibugieri guardi in direzione dello spettatore, subordinandosi a lui, e che almeno uno di loro si rivolga direttamente ad esso, subordinandolo a sé. In tale opera mancano entrambe le cose.
Dell’opera La lezione di anatomia del dottor Deijman (1656), di Rembrandt, restano soltanto uno schizzo preparatorio ed un frammento della parte centrale del dipinto di 100×134 cm ca. (Amsterdams Historisch Museum). La distribuzione dei personaggi appare simmetrica, alla maniera italiana ma, secondo l’austriaco, tale scelta di subordinazione ed unità interna è finalizzata alla propensione olandese per la coordinazione e l’unità esterna.
Nell’ultimo ritratto di gruppo realizzato da Rembrandt nel 1662, Sindaci della gilda dei drappieri (De staalmeesters), secondo Riegl, che a sua volta riprende una tesi del francese Théophile Thoré, il presidente al centro della scena colloquia con il pubblico, probabilmente ricorrendo a quanto è scritto su di un testo su cui tiene la mano, i sindaci ascoltano tanto la domanda che proviene dal pubblico (unità esterna), quanto la risposta (unità interna), coordinandosi tra di loro e con lo spettatore attraverso lo spazio libero. Lo studioso sostiene che con questo dipinto è stato raggiunto l’apice del genere. “Il fatto che l’unità interna ed esterna non appaiano più scisse, dimostra che qui è stato raggiunto l’ideale olandese della ritrattistica di gruppo: la massima individualizzazione dell’unità esterna nel tempo e nello spazio”.
Concludendo, occorre spendere qualche parola sull’ottimo saggio introduttivo scritto dal curatore del testo, Benjamin Binstock. In esso vengono evidenziati, oltre agli indiscutibili meriti, alcuni limiti dell’approccio di Alois Riegl in generale ed, in particolare, alcuni errori interpretativi a proposito dei ritratti di gruppo di Rembrandt. In diversi casi, ad esempio, Riegl insiste nell’individuare nelle opere dell’olandese, una dimensione verbale che non vi si ravvisa, mancando di cogliere fino in fondo come a prevalere, nella costruzione dei rapporti tra i personaggi, sia l’aspetto visivo. Binstock, a proposito dell’opera La lezione di anatomia del dottor Tulp, sottolinea come “Rembrandt abbia inserito di proposito una dimostrazione visiva al posto di un gesto parlante, per dar risalto alla visione sulla parola, in coerenza con il rinnovamento epocale della scienza anatomica operato da Andrea Vesalio e fondato sull’osservazione empirica anziché sull’autorità dei testi. Allo stesso modo, il chirurgo che regge il disegno sta esaltando l’immagine rispetto al testo”.

 

 

 

 

 

Alois Riegl
Lo sguardo di Rembrandt

Castelvecchi, Roma, 2014
pp. 154

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