“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 13 September 2016 00:00

“Urban Rainbow” al Museo Michetti

Written by 

Al Museo Michetti si apre un percorso già aperto, inoltratosi nei diversi spazi dell’arte, proiettatosi nel campo visivo di architettura, pittura, scultura, performance, dell’installazione e del design. Franco Summa, chiamato a risintonizzare le aree del museo sui diversi canali del proprio cammino artistico/filosofico, presenta un’accurata selezione delle “invenzioni” concretizzate da metà anni ’70 ad oggi.

Ed ogni opera, è questo il caso di dirlo, “opera” un esplicito intervento sulla città, intesa come sintesi urbana, spesso brutalizzata e deformata, dell’apparato etico, spirituale, fisico e morale della società.
Dal supporto bidimensionale al più strutturato organismo architettonico, le peculiarità dell’artista viaggiano sul filo della continuità tra l’una e l’altra creazione e si parla, a ragione, di segnaletica. Ogni pezzo di questo itinerario visivo rappresenta in effetti un segnale acceso dal colore, declinato in una sembianza pura ed essenziale, organizzabile o organizzata in una più ampia e talvolta mutevole “macchina visiva”.
Come avviene nel disco solare di variopinti cerchi concentrici, il quale svetta sull’oggetto sedia investendone in parte lo schienale con la proiezione della sua circolarità irrompente, a guisa di bersaglio rotante. In questi interventi si cercano direzioni alternative, che depurino e riqualifichino lo sguardo ancor prima dell’ambiente circostante, permettendo ad esso di compensare, dove necessario, l’annichilimento e le aberrazioni perpetrate da quest’ultimo, o di potenziarne l’armonia.
Tale mappatura di segni plasmata per lo più su forme archetipe e su quelle familiari della quotidianità, stabilisce un varco costantemente attivo tra lo spazio privato dell’abitazione e quello pubblico, in cui vacuità e spersonalizzazione sono ammortizzate e riprogrammate dall’arcobaleno (culturale) della doppia serie dei dodici timbri cromatici, emblematico del lavoro di Summa.
L’azione di decostruzione e ricostruzione postmoderna si esplica così naturalmente entro una dimensione di interesse oggettivo e collettivo, ma solo riconducendo il potere di espressione ed interpretazione al soggetto, principale attore di questa dimensione.
Il linguaggio visivo è tutt’uno con quello scritto, posto di sovente all’interno della stessa opera quasi fosse monito sul basamento o nel fregio di un antico tempio, all’interno di un’ottica in cui la progettualità è sospinta da un concetto specifico, prestabilito, che solo in un secondo momento si presta all’artigianalità del lavoro manuale e mostra di essere programmata per creare l’imprescindibile interazione con il pubblico. Ma tra il mucchio di mattoni che sono come polvere di pigmenti addensatasi in parallelepipedi sparsi in libertà sul pavimento, ed il taccuino posto nella teca di vetro in cui il colore pastoso e vario straborda nell’invisibile dell’aria per poi tornare a scorrere nella composizione di immagini stagliate sul bianco del muro antistante, si libera un candido e lineare cannocchiale prospettico. Questo è segnato da due teorie laterali di Fanciulle d’Abruzzo, le quali assumono il valore di tante cose insieme: potenti, ingrandite figure di scacchi, matriosche astratte, piccoli e mitici simulacri di elementi a metà fra l’umano e l’urbano o addirittura rivisitazioni di quel kitsch dei pezzi di un design dal gusto anni ’70.
Ma qui esse divengono prima di tutto, ancora una volta, segnali, punti di riferimento di un breve sentiero il quale conduce alla fotografia sospesa dell’intervento Un arcobaleno in fondo alla via (Città Sant’Angelo, ‘75). È la scalinata che smaterializza la visione e l’architettura della scalinata (con un effetto analogo a quello della Porta del mare a Pescara, ‘93), pur lasciando intatta la proporzione dei singoli gradini, alternati nello schema ripetuto dei timbri cromatici di Summa, simili a fluorescenti tasti di un pianoforte scorciato, in un sinestetico accorpamento di sensazione visiva e vibrazione sonora, dato dall’accostamento netto di singoli toni puri. Su di essi le tinte dei vestiti indossati da casuali camminatori si modulavano diversamente a seconda della loro qualità cromatica, partecipando in modo attivo al risultato di una gradinata statica ed insieme dinamica, come un’ascesa infinita di abbacinanti colori.

 

 

 

 

Urban Rainbow
Franco Summa
presentazione critica Enrico Crispolti
Museo della Fondazione Michetti (www.fondazionemichetti.it)
Francavilla al Mare (CH), dal 23 luglio al 24 settembre 2016

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook