“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 13 July 2015 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Rodolfo Meli

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Quando ho letto il suo racconto sul Guardiano del Sonno – ed è avvenuto dopo aver visto tanti pastelli e quadri nati da quella storia che non mi veniva ancora narrata – ho creduto che le due sentinelle in due torri isolate di confine fossero figura del pittore stesso, e del giovane amico e modello nella sua casa lontana; ma non era così, Rodolfo mi ha spiegato: i due personaggi danno figura a due tendenze che sono in lui e nella sua arte: il personaggio dell'architetto, a quella intellettiva e metafisica; il contadino, che desiderava la vicinanza della terra a quella spoglia d'invenzione che non siano pose semplicemente liriche, al giovane suggerite e poi da lui lentamente variate. (Carlo Del Bravo – Bandecchi e Vivaldi 2006).


Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Sono nato con questa vocazione e verso i sette anni mi piaceva molto disegnare e dipingere, questo mi faceva sentire importante e utile. L'arte secondo me è una missione.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
I passaggi fondamentali della mia evoluzione artistica sono stati: la scuola d'arte a Porta Romana dove ho scoperto Giotto, il Rinascimento, Piero della Francesca: erano gli anni '70. Nei primi anni duemila ho dedicato proprio a Piero della Francesca un ciclo di pittura di quarantacinque opere ed un video di quaranta minuti dal titolo Il Guardiano del Sonno. Ho scritto in un articolo per la rivista Artista: quando un pittore non lavora non può fare altro che guardare. Esentato in tal modo dalla vigilanza, l'Architetto smette di guardare dalla finestra e dalla torre scoprendo che a forza di guardare aveva finito per non più vedere – come avviene – e non più veramente essere, e si rivolge verso l'interno della stanza (“il posto perfetto”) per rivedere i suoi cari, antichi pensieri. Sono quelli espressi da Piero della Francesca in una lettera a Leon Battista Alberti: “Il lume e l'ombra fanno parere le cose rilevate” e“i colori pilliano variatione dai lumi”, concetti nati nell'osservazione, e da intuizioni attraverso le quali Piero supera l'aspetto scientifico della propria ricerca per essere pittore. Si può dire che il mio Architetto sogni di essere pittore, e cerchi di immaginare il volto (“profondamente simile” al proprio) dell'amato, del Contadino, senza riuscirvi. È per questo che buona parte del ciclo del Guardiano del Sonno è dedicata ai volti. Le teste, un termine vasariano che mi piace usare per i ritratti del Contadino, eliminano la narrazione, e rimandano ad un piano immaginativo. In più, evito di marcare espressivamente quei volti, per suggerirne una contemplazione priva di distrazioni, nella ricerca della bellezza.

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Come precedentemente avrai intuito, mi sono ispirato, almeo per alcuni periodi a Piero della Francesca per la fissità, il senso sospeso, la geometria e la prospettiva, la luce e le figure umili, semplici e nobili. Sono importanti figure di riferimento i manieristi toscani come Pontormo e Rosso Fiorentino perché recuperano i colori più di quanto non facciano i loro colleghi della fine del '300, così come Beato Angelico, ma ne traducono l'essenza in una nuova visione. Cambia anche la prospettiva e la figura si trova nello spazio immaginativo.
A diciotto anni inoltre, conobbi a Venezia Peggy Guggenheim, grazie a Francesco Guicciardini. Quando lei aprì il cancello di casa, cancello in ferro con inserti di vetro costruito da Max Ernst, rimase impressionata dal mio abito rosso coordinato con le scarpe dato che anche lei era vestita interamente di rosso. A quel punto esclamò: “Questo è un segno!” e mi portò a vedere le opere di Giovanni Bellini che lei amava molto e aggiunse “Queste le dipinse quando aveva la tua età”, poi guardandomi mi chiese: “Ma tuo padre cosa ne pensa che vuoi fare l'artista?”; subito dopo mi raccontò un aneddoto su Picasso e suo padre e io ho sempre pensato che lo avesse appreso direttamente dalla fonte.

Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Non ho conoscenze del mercato dell'arte avendo delegato i miei curatori. La mia è una scelta consapevole perché desidero non essere influenzato dalla volubilità del mercato. Preferisco rapportarmi con persone colte e amanti dell'arte perché stimolano la mia ricerca e ampliano le mie conoscenze.

Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Suggerirei, come accade nei Paesi del Nord Europa, un'attenzione e un'aiuto verso gli artisti promettenti. In questi Paesi esiste una commissione in grado di valutare i talenti e un magazzino dove vengono conservate le opere di molti artisti, le opere spesso riguardano i periodi migliori degli stessi e adesso il loro valore ha superato di molto quello di acquisto. L'interesse verso gli artisti non è volto al solo acquisto delle opere, ma vengono approntati percorsi espositivi per valorizzarli e farli conoscere alla nazione. A tale scopo ogni città organizza biennali nelle quali espone gli artisti del territorio. Sempre negli anni '70, ad esempio, frequentavo Erik Roos, artista olandese, al quale la commissione del suo Paese aveva riconosciuto un certo valore acquistando da lui alcune opere e sostenendolo con un contributo fisso. Con lui ho confiviso lo studio per dieci anni in via dei Serragli a Firenze e grazie a lui ho esposto e venduto in Olanda tutta la mia produzione fino al '79.

Qual è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?
La Resurrezione di Cristo di Piero della Francesca, la Deposizione di Rosso Fiorentino e la Deposizione di Pontormo. Per quanto riguarda le mie opere sono legato a Omaggio a Giovanni Colacicchi perché ho avuto la fortuna di conoscerlo poco prima che morisse e fu per me una forte emozione poter visitare il suo studio, toccare le sue opere e dimostrargli la mia reale ammirazione per il suo lavoro. L'opera fu commissionata e creata con il Prof. Carlo Del Bravo.

Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell'anno?
Vorrei esporre alla Sala Bianca di Palazzo Pitti perché in quel luogo c'è una continua osmosi con “l'antico”.

Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?
Non ho incontrato difficoltà insormontabili, perché ogni lavoro, ma potrei dire ogni passione, richiede un costante confronto con le problematiche contingenti. Il superamento delle stesse poi, dimostra la volontà e la disciplina.

Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?
Credo che oggi non si comunichi l'arte perché non è un bene di consumo. La globalizzazione porta gli individui ad essere solo consumatori e non esseri pensanti che si rapportano in modo critico nei confronti del teatro, della musica e dell'arte in generale.

Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?
Secondo me come prima cosa va fatta una distinzione tra critico e storico dell'arte. Il critico spesso è un prezzolato, lo storico invece offre una visione completa che insegna a leggere e contestualizzare le opere. Il critico invece si limita spesso a dare il suo giudizio personale.

Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Vorrei suscitare emozioni e trasmettere loro bellezza attraverso le mie opere.

 

 

 

 

Art 3.0 – AutoRiTratto
Rodolfo Meli
in collaborazione con Accademia dei Sensi
website www.rodolfomeli.com

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