“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 01 June 2015 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Gabriele Erno Palandri

Written by 

Gabriele Erno Palandri nasce a Pistoia nel 1970, consegue il Diploma di Arredatore e la Maturità d’Arte Applicata all’Istituto d’Arte 'Petrocchi' di Pistoia e il Diploma di Grafico Pubblicitario. Inizia negli anni ‘90 la sperimentazione delle tecniche pittoriche, pastelli, acrilici, olii fino all’esecuzione ad aerografo. Inizialmente parte da una base surrealista che sfocia sempre piu’ nel figurativo. Cerca sempre immagini che diano un messaggio e non fini a se stesse.

All’inizio del 2000 lascia i colori e riprende in mano la penna biro, vecchio amore, ed inizia un nuovo percorso, sempre figurativo, ma dove la parte fondamentale è rappresentare un concetto con una sola immagine. Opera su carta, tela, tavola lasciata a nudo oppure lavorando il fondo con tecnica mista dove va a disegnare (o scrivere) con la penna.


Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
"Artista", è una parola così abusata ultimamente, tutti si considerano artisti. Io onestamente faccio un po' fatica a definirmi tale in mezzo a questo mare di “artisti”, ho bisogno di un altro termine.
Userò “bìcchero”, un po' per la tecnica usata e un po' per la toscanità. Voler essere, è diverso dal sentirsi, voler essere ha bisogno di un perchè, sentirsi no. Diciamo che “mi ci sono sempre sentito”, anche quando, in periodi in cui facevo altri lavori per mantenermi, ero attraversato da milioni di idee per nuove opere. Ci sono stati periodi in cui ho odiato l'arte, perchè non mi “rendeva”. Periodi in cui distruggi le opere, non ne vuoi piu' sapere di dipingere, o disegnare, o scolpire, perchè nonostante quel che fai sia buono, non funziona, senza poi un motivo. Così finisci la giornata arrabbiato, frustrato, solo che la mattina ti svegli con in testa l'idea per una nuova opera. È li che ti metti l'anima in pace e dai sfogo a quel che sei senza per forza volerlo essere. Ho cercato così di far diventare un lavoro quello che sapevo e volevo fare, con apertura di studio e partita Iva, perchè non mi sono mai considerato un “pittore della domenica” e volevo dare un riconoscimento e una dignità ai miei sforzi.


Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?

Sono partito come tanti penso, dipingendo con colori acrilici e olii. La prima fase è stata surrealista, ammirando Magritte e Dalì, poi piu' fotorealista. L'amore per la fotografia macro riportava su tela particolari di fiori o piante. Purtroppo, o per fortuna il mio bisogno interiore di precisione certosina, non si sposava con la tecnica.
Non sono mai riuscito a padroneggiare come volevo gli acrilici, gli strati di colore aumentavano e aumentava anche la pesantezza che avvertivo nelle opere.Ad un certo punto ho sentito il bisogno di togliere tutto, via i colori, via i pennelli. Ritorno al vecchio amore, la biro sulla carta, a scuola nelle ore di lezione.
Leggerezza.
Poi biro su legno, materiale naturale.
Leggerezza.
Poi la comunicazione dell'opera stessa.
Un po' meno leggerezza, perchè ho sempre cercato di affrontare temi, mai fini a se stessi. Mi sento come il giornalista di cronaca che racconta il fatto del giorno o di sensazioni che mi vengono da ciò che mi circonda. Probabilmente avrei voluto fare lo scrittore, ma ho avuto un dono diverso; invece che raccontare per scritto posso raccontare storie con un immagine disegnata.
Usare la penna per scrivere immagini, lo scrittore che si fonde con il pittore, il cronista che racconta immagini del pittore scritte dalla penna dello scrittore. Ho creato, a suo tempo, un neologismo per le mie opere: scrisegnate. Ad esempio in Praticante non credente, ho voluto affrontare il tema della messa la domenica mattina, la parte disegnata della figura, cioè quella visibile si fa il segno della croce, la parte della figura che mostra solo il profilo, che io considero come interiorità, ha le braccia distese lungo il corpo, l'importante è apparire, il tema sarà anche abusato ma io lo svolgo in un luogo diverso dai soliti.


Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
All'inizio − come già detto − Magritte e Dalì, Frida Kahlo. Dalla penna in poi ho adorato alcuni illustratori, Norman Rockwell su tutti, ma l'ispirazione maggiore mi viene da altre cose. Per esempio, quando c'è qualcuno ­artista, cantante, attore o persona normale­, che mi convince, inizio a studiarlo per capire come ci riesce.Non mi interessa la retorica che dice che l'arte si fa per sé e non per gli altri, io parlo attraverso le opere e voglio essere ascoltato attraverso di esse.


Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Non capisco i parametri di giudizio, ho tanti amici artisti bravissimi non solo tecnicamente, poi vado alle fiere e vedo esposte delle cose così scontate e tecnicamente scadenti che non capisco, sarà un problema mio. Non vorrei avventurarmi oltre.


Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
La sensazione è sempre quella, come in politica, da una parte c'è il popolo (artisti) dall'altra ci sono i politici (mercato, gallerie, critici), raramente si parla la stessa lingua, perciò penso che le idee che propongono gli artisti, rispetto alla domanda, se non rendono non si attuano.
Si continuano a fare mostre a pagamento: su Picasso, gli Espressionisti, i maestri del '900, che ormai sono viste e riviste.
Perchè devo andare a Milano o chissà dove a vedere una mostra di cose così inflazionate e non sapere nemmeno che artisti vivono e operano nel raggio di cinque chilometri da casa mia? Le istituzioni dovrebbero organizzare mostre di artisti locali in spazi che altrimenti non sarebbero utilizzati. Dovrebbero far pagare l'ingresso a un cifra simbolica, attivare le scuole, uniformare gli eventi. Quello che rimane difficile, penso sia la selezione. Torniamo al discorso del pittore professionista, se ci fosse piu' riconoscimento della professione sarebbe piu' facile.


Qual'è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?
A parte L'Impero delle luci di Magritte e il Ritratto di Papa Innocenzo X di Bacon, direi l'opera che è in grado di fare in ogni momento la Natura, non ha, ne avrà mai eguali. C'è qualche pezzo che ho fatto in cui ho rivelato un'emozione personale non finalizzata alla comunicazione, mi viene in mente Into the Wild, era un periodo abbastanza nero, voglia di stare solo e di fuggire, ero totalmente in linea con la storia di Christopher Mc Endless, nel film Into the Wild di Sean Penn. Mi sono messo a disegnare il paesaggio dell'Alaska con il bus dove il protagonista muore, ma visto che ho una tecnica non proprio veloce, verso la fine, quello stato d'animo era passato, allora mi sono aggiunto io che esco dalla scena come per dire che ho metabolizzato la sensazione: “Ciao Chris io torno a casa”.


Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell'anno?
Periodo, primavera perchè solitamente d'inverno sono creativo. Dove? In Italia per come vanno le cose forse sarebbe funzionale esporre in un qualsiasi reality. All'estero, Germania, Francia, Inghilterra, nord Europa, Stati Uniti, Cina e Giappone.


Secondo te si può vivere di arte in Italia?

Mah, io faccio un po' fatica, ma anche chi fa altro non mi sembra navighi nell'oro.


Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?

Spesso la difficoltà maggiore è la propriocezione, dicevo prima, oggi tutti sono artisti da casa, espongono sui social, prendono qualche like dagli amici, e poi non capiscono perchè nessuno li faccia esporre. E qui il secondo problema, vogliono esporre per vendere. Internet è croce e delizia, perchè tutti possono accedere a tutto ma siamo veramente troppi, una marea indistinta di buoni e meno buoni. Secondo me si è persa di vista, la possibilità di andare allo studio dell'artista e chiedere direttamente a lui, toccare con mano, respirare arte, quando c'è.


Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?

La comunicazione dell'arte ai fruitori che non devono essere solo gli appassionati. Se togli una classe due ore da scuola e la porti a vedere una mostra con l'artista presente puo' far male? Non possiamo fare a meno della tecnologia? Trovate un sistema veloce ed efficace per spiegare l'arte in modo che chiunque possa capire. Qui sarei veramente curioso di leggere o sentire come viene spiegata certa arte contemporanea in parole povere. Citando Denzel Washington nel film Philadelphia: “Me lo spieghi come lo spiegherebbe ad un bambino di sei anni".


Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?
Parlo per esperienza, un paio di volte per una personale il critico di turno, volle presentarmi avendo visto solo qualche opera. Avrei preferito che fosse venuto in studio per parlare delle tecniche, delle poetiche etc. Il pregio potrebbe essere tornare negli studi, parlare con gli artisti. Ma soprattutto parlare una lingua comprensibile a chiunque e non infarcita di paroloni utili solo a gonfiare la bocca dell'oratore di turno.


Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
In primis, sarebbe bello se questi lettori, non fossero solo altri artisti o appassionati d'arte, altrimenti è un cane che si morde la coda. Vorrei che dell'artista si conoscesse anche il lato umano extra artista. L'artista è una persona, che spesso ha una famiglia che ha la fortuna/sfortuna di supportarlo/sopportarlo, oggi il “dietro le quinte” è sempre poco affrontato. Fare l'artista professionista è lavoro duro, spesso non riconosciuto.Non ci sono orari, è una lotta continua per trovare l'idea, il concetto che non sia scontato, per una nuova opera. C'è tanto studio, tanta ricerca e c'è una persona che non si piega alle mode, che produce solo l'idea che abbia un valore comunicativo.
Mi piacerebbe dipingere paesaggi meravigliosi perchè adoro la natura e perchè mi danno pace, ma lo fa già la natura stessa, sicuramente meglio di me e qualunque altro, allora a volte faccio cose che rendo credibili anche se non esistono, X­man è un opera che voleva evidenziare la differenza tra chi è speciale e chi ha bisogno di mascherarsi per esserlo.


Infine, che
domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?

Vorrei che ci fosse piu' curiosità sui temi e i concetti che sulla tecnica. La domanda... Perchè dovrei acquistare un'opera di Gabriele Erno Palandri? Perchè in quell'opera c'è qualcosa di te, un concetto, un' idea che condividi e in cui ti rivedi, un messaggio non tuo ma che parla di te. Quante volte ascoltando una canzone pensi – Questo lo penso anch'io ma non avrei saputo dirlo meglio.­  I Want To Fucking Fly è perfetta per chiudere questo concetto. Vorrei ricordare che tutte le opere pubblicate in questa intervista sono realizzate a penna.

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Gabriele Erno Palandri
in collaborazione con Accademia dei Sensi
website www.ernopalandri.com

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook