“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 21 February 2015 00:00

Della luce e di altri demoni. Franco Fontana, "Full Color"

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La curva e l'orizzonte sono il principio della forma. Ma cosa succede se la linea alla fine della vista è una diga che esplode, da una parte e dall'altra, in preda a un rigurgito di colore vivo, pulsante, fagocitato dalla luce e dal giorno? Guardando le foto del maestro della fotografia a colori si ha la forte intuizione che la sensibilità venga sopraffatta da un'immagine irreale, dove le tonalità accese sembrano dipinte e accecanti. Franco Fontana, fotografo modenese, ha sempre dimostrato, per tutti gli anni della sua carriera, quel gusto particolare che si accorda a un talento speciale, un occhio lungimirante che ha saputo trovare la sua personale risposta al mondo degli spazi naturali dove l'uomo è il punto zero, l'escatologia fallita.

Le foto delle piscine testimoniano la verità più crudele sulla centralità degli uomini. Un umanismo superfluo che mette in mostra esempi umani dalle fattezze perfette, ma prosciugati di vita. Le sagome che posano senza spettacolarità sono illusioni corporee e ipnotiche. Nonostante il minimalismo nella geometria e l'asciuttezza della composizione: i campi, i mari, le terre e le spiagge, le ombre e le strade, sono imbevuti di un divino splendore che offende la falsa tristezza e incoraggia quella innata. Ovunque lo sguardo si posi, l'omogeneità delle tinte e la sfumatura autoritaria della luce concorrono verso un vissuto intimo e solitario. L'accordo tra l'energia della natura terrena e quella più misterica celeste è un tripudio per gli occhi incupiti dalla serietà dei paesaggisti. Non intendo asserire che questa scelta cromatica così arrogante sia il palese segnale di un positivismo e vitalismo conscio o inconscio dell'artista, vero è però che il mondo da che esiste ha sempre avuto una tonalità specifica per ogni singola cosa vivente. Nella mondanità la vita parla il linguaggio antico della metamorfosi la quale dà la spinta affinché i fenomeni si manifestino attraverso l'invasione selvaggia del colore sopra le forme. La tinta che bolle al centro dell’immagine è sempre ben gestita, riesce a stare in cornice anche se a guardare bene pare che la distesa possa continuare all'infinito, oltre il limite. Sprigiona una libertà che l'occhio non può capire, ci ubriaca e con paesaggi naturalistici perdiamo il contatto con la realtà e iniziamo per tappe a distaccarcene, fino a pensare alla pittura o alla magnificenza dei colori segreti, invisibili. Perché se: "La realtà è un po' come un blocco di marmo. Ci puoi tirar fuori un posacenere o la pietà di Michelangelo", allora tanto vale esagerare.

Paesaggi naturali
Dalla Puglia alla Lucania, dalla Francia alla Spagna al Mare del Nord, i paesaggi scorti dal suo obbiettivo sono forme linguistiche prive di alienazione, espressioni ricche di vissuti e predicati spirituali. Non scadono mai nel verismo di un'immagine che ricalca i tratti scientifici di una linea netta. Questa trasparenza la si deve al colore. Potrei ripetere all'infinito tale parola, risultando anche pedante, ma è comunque il perno attorno al quale ruota tutto. Vallate, campi di grano, orizzonti come spilli tra il cielo e la terra, alberi solitari in mezzo agli sconfinati spazi, dove neppure il vento è contemplato, colline che si alternano sembrando stoffe srotolate dal sarto più capace. La solitudine è un cane sciolto, vaga ed ispeziona ogni minimo dettaglio, si accovaccia ovunque e il respiro contamina tutto, persino quello che non c'è. Eppure non è una bestia serafica, quieta e marginale, non è mai completamente in pace, ringhia amaramente, cerca qualcosa, meglio ancora qualcuno. Pare di sentire i movimenti tellurici che hanno generato una cosi perfetta fusione. La tristezza dello spopolamento, di un mondo senza uomini e il sublime sfoggio delle tinte diventa un discorso architettonico che scaraventa sulla terra il potere delle idee e dei principi. Ogni luogo appare come frontiera, come incontro immortale, ma anche malinconico, un'eco sorda a mezz'aria che aspetta le labbra e l'orecchio per poter sfogare la rabbia. È evidente quanto sia surreale una pianura ubriaca di colori, senza la minima traccia di uomo che si lasci impressionare. Le foto dedicate ai paesaggi sono un attimo di meditazione nell'osservatore che si trova diviso tra la volontà di potenza e il panico del silenzio. Dalla parete gli scatti rimangono fermi come monito, come un pensiero di Dio prima della creazione.

Paesaggi urbani
Se nel mondo naturale, bucolico, si alternano i colori e le forme primigenie, nel mondo umano, nei paesaggi urbani, nelle città e nelle metropoli, l'alternanza è affidata agli stili, all'arte e al gusto personale di un'epoca o di un uomo. Dalla maniera della natura passiamo a quella di un artista del cemento. Grosse costruzioni si stagliano una sopra l'altra, si sovrappongono, si spintonano, si aggiustano, si offrono all'occhio che sa dove guardare. Angoli di palazzi e costruzioni sono colti in prospettiva, sembrano cartoncini colorati ordinati secondo un disegno preciso, persino il cielo concorre come sfondo. La collettività dei grandi spostamenti lascia il passo all'individualismo, eppure l'autonomia della norma persiste. La direzionalità da inspiegata diventa manifesta. L'uomo riacquista visibilità solo attraverso le sue opere, attraverso i mondi possibili che crea. Non c'è ancora posto per lui in queste foto, ma i suoi prodotti vengono folgorati dall'obbiettivo di Fontana, come la testimonianza che qualcuno, oltre Dio, può progettare. È l'artista che immortala l'opera di un altro artista. Freddi agglomerati di grattacieli tutti diversi si scorticano per un posto nell'immagine, poi si chetano e il fotografo dalla giusta prospettiva scatta. Il risultato potrete vederlo voi stessi, è una babele, una comunicazione fitta tra aspirazioni e desideri. È il messaggio da decifrare della civiltà vana. Qui la libertà dei paesaggi viene soppiantata da un rigore geometrico che impone dei limiti al cuore pulsante delle tinte. Eppure non può nulla contro l'animarsi del balenio.

Presenza assenza
Per quanto tempo si può camminare con gli occhi lungo immense distese di terra e mare senza incontrare anima viva? E infatti incontriamo qualcuno, soprattutto negli scenari urbani, qualcuno che è meno di uno: è un'ombra. Franco Fontana immette l'elemento 'uomo' nei suoi scatti, ma non gli concede la visibilità che ci aspetteremmo dopo tanto peregrinare. Su un asfalto segnato da strisce pedonali, tante rigide ombre si stagliano contro il suolo. È un'illusione, una folla, ora paralizzata per terra, prigioniera della segnaletica stradale. Riflessi neri, senza volto e nome attraversano le città privi di identità, licenziati dal colore. La presenza/assenza è un sogno metropolitano confuso e coerente. Uomini e donne si affacciano all'opera, vagano come fantasmi, incedono ma sono fermi, privati di qualsiasi indipendenza e sguardo. L'osservatore riconosce con familiarità quelle sagome frastagliate, intuisce la presenza di qualcuno eppure non c'è nessuno, solo soggetti ancora una volta estromessi dalla scena. La luce e il suo dominio, anche in queste proiezioni immateriali, si riconferma la regina dell'incorporeo, l'unica energia capace di creare e distruggere imperi. Macchie scure invadono le città, l'avanzata è un esercito di voci udibili. Il maestro riprende tutto come se il mondo fosse un bel quadro a pezzettini messo lì per essere osservato da altri, in altri luoghi e tempi, lontani dall'assoluto silenzio che può fare una strada senza pedoni.

Luci americane
La plasticità che raggiunge negli scenari americani verrà solo consacrata definitivamente nei lavori sulle Piscine. Qui tutto si tinge fortemente con le tonalità più estrose e variopinte, l'uomo è presente per intero, ma è l'uomo americano, quello che muore tutti i giorni tra il verde sintetico dei quartieri felici e alte pareti di grattacieli ferrosi. Persiste la geometria dei paesaggi urbani, continua la scelta cromatica, eppure avviene un'esplosione diversa della luce. Come nei quadri di Edward Hopper, così anche in questi scatti gli uomini sono i guardiani stanchi, le sentinelle spente del giorno. Il bagliore del sole o quello finto di un lampione solitario, invade le case e le strade, chiarifica gli angoli e scansa il resto. Non c'è casa o via o ancora stanza in cui un cono polveroso di luce non penetri nelle ossa delle cose fino a metterne in risalto i segreti più banali e corrotti, la tristezza più nera e l'alienazione più rabbiosa. Come Hopper, Fontana, fotografa qua e là situazioni nelle quali i soggetti americani si spostano senza muoversi, assorti e svuotati vengono impressi in un modo talmente schietto che qualsiasi rancore, verso un'umanità tanto arresa, tanto kitsch, sarebbe spietato. Ognuno fissa il vuoto, aspetta, resta ai bordi farinosi del nulla. È inutile provare pietà per questi uomini così nuovi e già cosi ridicoli. Un muro nel buio si illumina con pudicizia, un uomo lo fiancheggia. Non guarda verso di noi, mira la zona d'ombra, come se non aspettasse più nulla da questa falsa lampadina che ora lo evidenzia, al pari di una cosa importante da ricordare, ma poi dimenticata. È l'ultima traccia vivente che ancora possediamo nel repertorio di Franco Fontana, l'ultimo ritratto di uomini trafitti da un raggio di sole.

Piscine
Corpi abbacinati, molli nella caduta e sodi nella prestanza. Atmosfere manieristiche, dove il puro culto del corpo sfocia in un edonismo contemporaneo e privo di vita. La gravità abbandona la massa, questa si libera dentro un silenzio post-apocalittico, ormai i superstiti non dialogano più come uomini, ma col linguaggio marmoreo delle statue. Le ombre lunghe, come colonne, non sono umane, solo un passo falso della luce. Sembrano manichini asessuati, strizzati della loro fecondità, in asettiche pose il corpo non esprime più passioni e tormenti, solo abbandoni lenti e irrimediabili, solo pigro mirare nelle acque igieniche di una piscina. Non sono rigidi, hanno il carisma delle sculture, eppure non sono nemmeno carnosi, piuttosto fieri, religiosi di una dottrina glaciale, inalienabile. Se i loro occhi osservano non li vediamo, eppure la postura indica uno sguardo vuoto, una completa assenza di interesse verso il mondo. Ripuliti di tutte le verità, gli avatar nelle piscine, per un cavillo poetico non scadono mai nello scientifico. Restano begli esempi di perfezione priva di pudore. Appena scacciati dal paradiso terreste, in un neon a risparmio energetico, conservano il piglio divino dei giorni felici, senza vergogna per le loro nudità sterili. Nonostante tutto, fuori dal tempo e dallo spazio, sarei più propensa a leggere l'insieme come la fine di un universo già vaticinata. L'impero turgido dopo la decadenza e lo squallore così caldo e così caro. È l'ultima giovinezza per sempre giovane, priva di qualsiasi ricordo.

(Conclusioni)
Per concludere, qualcosa di saliente e fondamentale che tengo ad indicare come semplice ammiccamento a chiunque fosse interessato. Per i posteri o i veterani: capire la fotografia di Fontana è stato e sarà in futuro, per me, sempre molto difficile e intimo, non è l'occhio della storia, delle guerre o delle grandi folle, come dei grandi temi. È il maestro della luce, ha il potere di una saetta divina rimanendo uno dei più grandi scrutatori dei grandi e minuscoli sistemi, dall'uomo di spalle alla curva dolce di una collina colma di grano. La natura si mostra con la veemenza e la partecipazione che i suoi umani non riescono a mostrare. Dalle valli profonde, all'immobilita di una figura, ai confini irreali di una piscina fino alla libertà del mare. Il maestro è un umanista in pensione che ha scelto la pazienza della terra al saṃsāra dell'uomo. La sua filosofia è tra le più interessanti per gli occhi e la mente. Franco Fontana chiama in causa non più gli anni, i calendari e la storia, ma lo stile, il tempo e la sua volontà.

 

 

 

 

Franco Fontana – FULL COLOR
curata da
Denis Curtis
promossa da Regione Lazio nell’ambito del Progetto ABC Arte Bellezza Cultura e organizzata da Civita
Roma, Palazzo Incontro
15 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015

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